«Questa guerra farlocca e i fatti “sì, ma anche no”», testo di Antonello Caporale: Noi giornalisti abbiamo appena raccontato una guerra o uno show? Abbiamo descritto la realtà oppure l’apparenza, l’aria fritta come sostituto funzionale della verità? Abbiamo visto oppure siamo rimasti vittima di un grande effetto ottico? Perché al fondo la domanda che dobbiamo porci è questa qua. Siamo ancora in grado di illustrare ciò che vediamo e di interpretare i fatti per come si svolgono, dare a essi un senso logico, offrire all’opinione pubblica un’idea e quindi prendere posizione e sempre dimostrare ciò che abbiamo detto e scritto? Intanto: cosa abbiamo visto? Abbiamo visto ciò che ci hanno fatto vedere gli stati maggiori degli eserciti in questa guerra che pareva vera e si è rivelata quasi finta. L’Idf israeliano ha annunciato un’azione definitiva concertata col Mossad, il temibile servizio segreto di Tel Aviv, attraverso una procedura chirurgica di annientamento di tutte le basi nevralgiche militari dell’Iran. L’uccisione dapprima di otto, poi di dodici, infine di 16 altissimi dignitari del regime e la completa distruzione di almeno due centrali nucleari: quelle di Natanz e di Isfahan. Della terza, la più preziosa dal punto di vista militare perché l’uranio arricchito sarebbe stato custodito nel ventre di una montagna a Fordow, a 90 metri sottoterra, doveva occuparsene Trump in persona. E lui, facendosi il tono del conflitto sempre più acuto, ha dato ordine di provvedere a quel che ha definito il più “spettacolare” bombardamento che la storia recente ricordi e che in seguito sarebbe stato ricollocato come uno straordinario bombardamento di pace, perché le bombe B2 hanno ripulito l’Iran dell’uranio arricchito e dunque privato il regime in modo definitivo della temibile arma atomica. La questione è risolta “per intere generazioni” ha infatti commentato conclusivamente il premier israeliano Netanyahu. Quindi Iran alla sbarra, travolto e annichilito, le forze della democrazia occidentale vittoriose e irraggiungibili. Gli Usa, con Israele, padroni del mondo. L’Europa plaudente ma sugli spalti come osservatrice senza diritto di parola. Questo abbiamo detto e scritto e su questo abbiamo confrontato opinioni opposte: si era trattato di un atto di belligeranza immotivato? Di un’aggressione ingiustificabile – come a noi è parsa – nei confronti di un Paese sovrano oppure – secondo le versioni opposte – era stato l’esercizio di un diritto di difesa “esistenziale”, una legittima condizione di resistenza e contrattacco a un regime che nella sua anagrafe ha previsto – come principio e destino finale – la distruzione dello Stato ebraico? In Italia il governo quasi muto, vicino a Trump ma un tantino distante. Una posizione gnè gnè, come del resto frequente nella tradizione politica anche di Bruxelles di questi ultimi anni. Il tycoon da Washington ha dettato l’ultimatum all’ayatollah Khamenei: vuoi salva la vita? Non farti vedere, cambia passo, destinazione. “È già in viaggio verso la Russia di Putin, cioè verso l’abdicazione politica”, così i retroscena più documentati. Regime change ha urlato Trump. Sul più bello, quando tutto pareva esattamente illustrato, orientato, definito secondo il countdown della Casa Bianca e la capitolazione già iscritta negli editoriali di prima pagina, il primo disorientamento: gli iraniani rispondono al fuoco micidiale degli Spirit, alle bombe B2 lanciate da quegli aerei a forma di pipistrello nel suo ventre, sparando dei razzi quasi per finta. L’Iran mira la base americana di al Udeid in Qatar, nel Paese del grande amico, l’emiro al Thani al quale spiega, sempre secondo i bene informati, quanti razzi verranno lanciati e dove. L’emiro fa sgombrare la pista destinataria dell’attacco iraniano, convoca per finta l’ambasciatore di Teheran al quale, per finta, muove una grave doglianza. L’emiro tratta con Teheran la gestione della risposta militare all’aggressione, diciamo così, mentre il presidente americano concorda con Vladimir Putin, a sua volta aggressore dell’Ucraina, la cornice dell’intervento mediorientale. E noi giornalisti? Riordiniamo la scena senza neanche scusarci dell’abuso di verità. Ricapitoliamo i fatti dicendo che Trump ha vinto ma l’Iran non ha perso, che Israele è sotto il tacco di Netanyahu, ma Netanyahu non è l’amico fidato di Trump e Putin, l’aggressore dell’Ucraina, sembra invece l’interlocutore stabile della politica americana. E Zelensky, l’altro aggredito? Dunque diamo alle stampe la versione numero due della guerra. Riferiamo che Putin, come dice il presidente americano “si è offerto di aiutare gli Usa” e quindi di pacificare ogni animo. E infatti Teheran lancerà 14 razzi – per pareggiare il numero delle bombe cadute dagli Spirit – nessuno dei quali però è programmato per raggiungere la pista di al Udeid, tra l’altro sgombra di jet e di militari. Un piazzale aperto all’incursione nemica che il nemico però rifiuta di colpire. Trump riduce di due giorni la guerra, che dichiara chiusa in dodici giorni” intimando sia agli israeliani che agli iraniani di salire a bordo della pace, cazzo! “Come bambini bisogna lasciarli picchiare l’un l’altro per due minuti prima di fermarli” ha poi spiegato il tycoon in conferenza stampa. “Sei come un paparino” ha detto Mark Rutte, il Segretario della Nato, nella sua nuova veste di bambolotto Usa. E così, riavvolgendo il nastro dalla fine, i giornalisti hanno appreso il contrario di ciò che avevano scritto: e cioè che l’attacco non è più servito ad annientare le capacità dell’Iran di costruirsi la sua bomba, al massimo tre mesi gli ha fatto perdere, che Trump non è poi tanto nemico dell’ayatollah e neanche troppo amico dell’ucraino Zelensky perché di nuovo gli fa più simpatia Putin col quale l’unico che dialoga direttamente in russo è Netanyahu che infatti a Zelensky, l’amico dell’Europa, non ha mandato neanche una pistola. È stata una guerra? Vattelapesca!
N.d.r. I testi sopra riportati sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di oggi, sabato 28 di giugno 2025.
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