"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 28 giugno 2025

Lastoriasiamonoi. 72 Raniero La Valle: «La guerra è oggi la costituzione materiale del mondo, è il sistema che lo struttura e ne determina le relazioni e la vita: pertanto è una istituzione che dovrebbe essere abolita per unanime consenso».


“Trump: no alla guerra, ma produciamo più armi”, testo di Raniero La Valle: Italo Mancini, il filosofo urbinate da pochi conosciuto e da tutti dimenticato, aveva detto che occorreva una violenza  ermeneutica per  rompere  il  circolo  vizioso del pensiero dominante e poter comprendere la crisi del Novecento, e aveva così previsto l'ascesa della nuova destra al potere attraverso le "politiche di destra e di guerra". Oggi ci vorrebbe questa violenza ermeneutica per capire che cosa Trump sta facendo, al di là della scontata critica alla sua condotta guascona. Il suo programma è di "fare di nuovo grande l'America", per cui non lo si può vedere solo come il volto più compiuto di un impero in declino o l'ultima "incarnazione del potere oligarchico americano", i quali hanno mandato in malora l'America, come secondo lui ha fatto "il peggiore presidente degli Stati Uniti", Joe Biden. Piuttosto l'America si è dissanguata per le guerre fatte anche per conto degli altri (l’Europa scroccona"), e per essere stata derubata coi dazi, e le conseguenze sono state in America un freno all'arricchimento degli uni e una spinta all'impoverimento e alla frustrazione degli altri. Trump è il primo governante del mondo che si dice contro la guerra non per ragioni ideali, vere o false che siano, ma perché è "stupida", come è la guerra che ha rinfacciato a Zelensky e a Putin, in quanto produce migliaia e migliaia di inutili morti, e come sarebbe stata la guerra all'Iran, che egli a male parole ("che cavolo fate!") ha bloccato sul nascere, dopo l'azione di copertura delle bombe sui siti nucleari iraniani, senza neanche rispondere ai pur simbolici missili lanciati dall’Iran contro la base americana in Qatar. Dichiarando insensata guerra, Trump riprende il giudizio che già aveva formulato sessant’anni fa papa Giovanni XXIII quando aveva detto della guerra, come fosse “ormai fuori della ragione”, cioè dell’umano. Essa non serve a raggiungere alcuno scopo. Ma non sempre è stata stupida, lo è diventata: per i greci (Eraclito) era addirittura il padre e re di tutte le cose, poi, (…) è servita a procurare bottino, schiavi, e ricchezze e territori. Ma oggi non è più così, anche le terre rare che Trump vuole dall’Ucraina non sono un dividendo della guerra, ma un risarcimento per gli aiuti. Oggi la guerra non ottiene nulla, non fa che distruggere e uccidere, e si risolve in terrorismo e genocidio (Hamas e Gaza), si rivolta contro chi la fa, è un suicidio. Tuttavia la guerra è oggi la costituzione materiale del mondo, è il sistema che lo struttura e ne determinale relazioni e la vita: pertanto è una istituzione che dovrebbe essere abolita per unanime consenso. Trump, come ogni altro, non arriva a questo: però vuol rompere gli automatismi che portano alla guerra; semmai è lui a deciderla. Se si sta ai due documenti sulla ideologia della sicurezza nazionale americana e sulla difesa nazionale degli Stati Uniti, della Casa Bianca e del Pentagono, vigenti fino a ieri a partire dall'attentato alle due Torri, non si può non notare una discontinuità e una rottura con l'oggi. Essi sostengono come la Russia sia ormai finita o prossima alla sconfitta e che la guerra finale, se del caso, sarebbe quella con la Cina; e se si leggono insieme all'articolo 5 del Trattato della Nato, si vede come essi inneschino un processo automatico che potrebbe non essere controllato più da nessuno e attivare un pilota automatico che ci porti dritto nella guerra mondiale; e se finora poteva sempre esserci un sussulto di coscienza del pilota dell'Enola Gay o il coraggio di un tenente colonnello come il sovietico Stanislav Petrovtali da evitare l'olocausto nucleare, domani l'Intelligenza artificiale potrebbe decidere che è venuto il momento dello  scontro  finale  in  obbedienza  agli  algoritmi  da  noi  stessi  creati.  Ciò, per stare a Trump, non gioverebbe alla grandezza dell'America e al suo dominio sul mondo. “Ma allora perché tutte queste armi e queste spese militari, e il famoso 5 per cento del Pil? Gli europei non hanno capito niente, e come movente si devono inventare un Nemico, che senza troppa fantasia è individuate nella Russia, che se non proprie fino al Portogallo sarebbe pronta a dilagare nei Paesi baltici (…). Trump invece pensa ai dollari, alla ricaduta delle commesse sulle industrie americane, e pensa a un uso keynesiano della spesa militare: "Una vittoria monumentale", un piano Marshall, ma a suo favore, questo è il suo movente. Il più affine a questo calcolo è il cancelliere Merz, che non può sfiorare il ridicolo pensando a una nuova Operazione Barbarossa, ma conta su un imponente e incontrastato afflusso di denaro pubblico per costruire l'economia più forte del continente. Secondo le vecchie regole del capitalismo, l'economia cresce anche con l'inutile, si possono scavare fosse e poi riempirle di nuovo, e il Pil cresce. Così si scopre anche la lezione di un altro grande intellettuale del Novecento, Ivan Illich: la controproduttività derivante da una dissennata dottrina dello sviluppo: si fanno più automobili e si va più lenti (tutti fermi in autostrada!), si fanno più medicine e ci si ammala di più (la "Nemesi medica"!) si fanno più prodotti e si è sempre più assoggettati al dominio delle cose sull'uomo (l'alienazione). Trump, per fare più grande l'America, conta sulla contro-produttività delle armi: si moltiplichino gli armamenti, ma che per carità non ci si faccia la guerra. È il suo "new deal". In fondo l'adempiente Meloni dice la stessa cosa: “si vis pacem, para bellum”, armiamoci e non partiamo.

«Questa guerra farlocca e i fatti “sì, ma anche no”», testo di Antonello Caporale: Noi giornalisti abbiamo appena raccontato una guerra o uno show? Abbiamo descritto la realtà oppure l’apparenza, l’aria fritta come sostituto funzionale della verità? Abbiamo visto oppure siamo rimasti vittima di un grande effetto ottico? Perché al fondo la domanda che dobbiamo porci è questa qua. Siamo ancora in grado di illustrare ciò che vediamo e di interpretare i fatti per come si svolgono, dare a essi un senso logico, offrire all’opinione pubblica un’idea e quindi prendere posizione e sempre dimostrare ciò che abbiamo detto e scritto? Intanto: cosa abbiamo visto? Abbiamo visto ciò che ci hanno fatto vedere gli stati maggiori degli eserciti in questa guerra che pareva vera e si è rivelata quasi finta. L’Idf israeliano ha annunciato un’azione definitiva concertata col Mossad, il temibile servizio segreto di Tel Aviv, attraverso una procedura chirurgica di annientamento di tutte le basi nevralgiche militari dell’Iran. L’uccisione dapprima di otto, poi di dodici, infine di 16 altissimi dignitari del regime e la completa distruzione di almeno due centrali nucleari: quelle di Natanz e di Isfahan. Della terza, la più preziosa dal punto di vista militare perché l’uranio arricchito sarebbe stato custodito nel ventre di una montagna a Fordow, a 90 metri sottoterra, doveva occuparsene Trump in persona. E lui, facendosi il tono del conflitto sempre più acuto, ha dato ordine di provvedere a quel che ha definito il più “spettacolare” bombardamento che la storia recente ricordi e che in seguito sarebbe stato ricollocato come uno straordinario bombardamento di pace, perché le bombe B2 hanno ripulito l’Iran dell’uranio arricchito e dunque privato il regime in modo definitivo della temibile arma atomica. La questione è risolta “per intere generazioni” ha infatti commentato conclusivamente il premier israeliano Netanyahu. Quindi Iran alla sbarra, travolto e annichilito, le forze della democrazia occidentale vittoriose e irraggiungibili. Gli Usa, con Israele, padroni del mondo. L’Europa plaudente ma sugli spalti come osservatrice senza diritto di parola. Questo abbiamo detto e scritto e su questo abbiamo confrontato opinioni opposte: si era trattato di un atto di belligeranza immotivato? Di un’aggressione ingiustificabile – come a noi è parsa – nei confronti di un Paese sovrano oppure – secondo le versioni opposte – era stato l’esercizio di un diritto di difesa “esistenziale”, una legittima condizione di resistenza e contrattacco a un regime che nella sua anagrafe ha previsto – come principio e destino finale – la distruzione dello Stato ebraico? In Italia il governo quasi muto, vicino a Trump ma un tantino distante. Una posizione gnè gnè, come del resto frequente nella tradizione politica anche di Bruxelles di questi ultimi anni. Il tycoon da Washington ha dettato l’ultimatum all’ayatollah Khamenei: vuoi salva la vita? Non farti vedere, cambia passo, destinazione. “È già in viaggio verso la Russia di Putin, cioè verso l’abdicazione politica”, così i retroscena più documentati. Regime change ha urlato Trump. Sul più bello, quando tutto pareva esattamente illustrato, orientato, definito secondo il countdown della Casa Bianca e la capitolazione già iscritta negli editoriali di prima pagina, il primo disorientamento: gli iraniani rispondono al fuoco micidiale degli Spirit, alle bombe B2 lanciate da quegli aerei a forma di pipistrello nel suo ventre, sparando dei razzi quasi per finta. L’Iran mira la base americana di al Udeid in Qatar, nel Paese del grande amico, l’emiro al Thani al quale spiega, sempre secondo i bene informati, quanti razzi verranno lanciati e dove. L’emiro fa sgombrare la pista destinataria dell’attacco iraniano, convoca per finta l’ambasciatore di Teheran al quale, per finta, muove una grave doglianza. L’emiro tratta con Teheran la gestione della risposta militare all’aggressione, diciamo così, mentre il presidente americano concorda con Vladimir Putin, a sua volta aggressore dell’Ucraina, la cornice dell’intervento mediorientale. E noi giornalisti? Riordiniamo la scena senza neanche scusarci dell’abuso di verità. Ricapitoliamo i fatti dicendo che Trump ha vinto ma l’Iran non ha perso, che Israele è sotto il tacco di Netanyahu, ma Netanyahu non è l’amico fidato di Trump e Putin, l’aggressore dell’Ucraina, sembra invece l’interlocutore stabile della politica americana. E Zelensky, l’altro aggredito? Dunque diamo alle stampe la versione numero due della guerra. Riferiamo che Putin, come dice il presidente americano “si è offerto di aiutare gli Usa” e quindi di pacificare ogni animo. E infatti Teheran lancerà 14 razzi – per pareggiare il numero delle bombe cadute dagli Spirit – nessuno dei quali però è programmato per raggiungere la pista di al Udeid, tra l’altro sgombra di jet e di militari. Un piazzale aperto all’incursione nemica che il nemico però rifiuta di colpire. Trump riduce di due giorni la guerra, che dichiara chiusa in dodici giorni” intimando sia agli israeliani che agli iraniani di salire a bordo della pace, cazzo! “Come bambini bisogna lasciarli picchiare l’un l’altro per due minuti prima di fermarli” ha poi spiegato il tycoon in conferenza stampa. “Sei come un paparino” ha detto Mark Rutte, il Segretario della Nato, nella sua nuova veste di bambolotto Usa. E così, riavvolgendo il nastro dalla fine, i giornalisti hanno appreso il contrario di ciò che avevano scritto: e cioè che l’attacco non è più servito ad annientare le capacità dell’Iran di costruirsi la sua bomba, al massimo tre mesi gli ha fatto perdere, che Trump non è poi tanto nemico dell’ayatollah e neanche troppo amico dell’ucraino Zelensky perché di nuovo gli fa più simpatia Putin col quale l’unico che dialoga direttamente in russo è Netanyahu che infatti a Zelensky, l’amico dell’Europa, non ha mandato neanche una pistola. È stata una guerra? Vattelapesca!

N.d.r. I testi sopra riportati sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di oggi, sabato 28 di giugno 2025.

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