"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 18 giugno 2025

Lastoriasiamonoi. 68 Erasmo da Rotterdam: «Chi ama la guerra non l'ha vista in faccia. Se nel mondo c'è una cosa che ci viene da affrontare con esitazione di sicuro è la guerra: non c'è iniziativa più empia e più dannosa, più largamente rovinosa, più persistente e tenace, più squallida e nell'insieme più indegna di un uomo, per non dire di un cristiano».

Sopra. Da un ritaglio de' "il Fatto Quotidiano" di oggi, mercoledì 18 di giugno 2025, ove un tale, pur a capo di un governo del cristiano Occidente, sproloquia su di un "lavoro sporco" in corso, che riconosce essere tale, ma senza avvertire spinta "morale" alcuna per una sua condanna senza appello, "lavoro sporco" al quale, in verità, ambirebbe prontamente partecipare. 

La Grande Moschea di Omar, a Gaza, non c'è più: distrutta come 1'80 per cento dei luoghi di culto, islamici o cristiani, monumentali o no. Distrutta deliberatamente dall'esercito di Israele, in una campagna di cancellazione dell'identità storica palestinese che è parte integrante di quella strategia del genocidio che mira a fare sparire non solo le persone vive oggi, ma ogni traccia della loro esistenza. «Un popolo senza terra per una terra senza popolo»: questa famosa frase che, nel 1843, legittimava (da parte cristiana) l'idea coloniale e razzista di un insediamento statale ebraico in Terrasanta, sta diventando vera. Perché il popolo palestinese potrebbe presto sparire, insieme alla sua storia. Le rovine della moschea scoperchiata ci svelano quanto densa e plurale sia, quella storia. Gli archi gotici di una struttura evidentemente ecclesiale ci ricordano che nell'XI secolo i crociati trasformarono la moschea in una chiesa cristiana, con una violenza che poco aveva a che fare con il Vangelo in cui dicevano di credere. Del resto, la moschea era dedicata al profeta Yahya, cioè a Giovanni Battista, venerato anche dall'Islam. Era stata costruita su una chiesa bizantina, che a sua volta inglobava materiale sottratto ad una sinagoga e sorgeva su un antico tempio filisteo che secondo una tradizione avrebbe accolto la tomba di Sansone. Quello che chiamiamo patrimonio culturale è un palinsesto di incontri, scontri, dialoghi e distruzioni: un intreccio che dura, con tutte le sue cicatrici, finché il tempo non lo cancella, o finché noi umani, nella nostra demenza criminale, non lo annientiamo. Quando una nuova Norimberga processerà i capi di Israele - e i loro complici in tutto il mondo: quelli che abitano le "capitali che sotto il sole/ giocano il ruolo delle ancelle" di Te! Aviv (come scrive il poeta palestinese Ibrahim Nasrallah, la cui raccolta Maria di Gaza è stata scritta sotto i bombardamenti), tra cui anche Roma - allora anche la distruzione di questa moschea (e del suo intreccio di convivenze: così difficili, e tuttavia arrivate fino alla nostra generazione) sarà un capo di imputazione. Parlando dell'eccidio criminale compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, il presidente di Israele Isaac Herzog ha detto che «un'intera nazione è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera»: parole a loro volta criminali, che evidentemente comprendono anche i monumenti. Puniti e distrutti per eliminare anche solo l'idea di una possibile convivenza. (Tratto da “Cancellate quella moschea” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 13 di giugno 2025).

DellaGuerra”. “Noi, figli di una pace laica”, testo a firma del professor Michele Ciliberto – professore emerito di “Storia della Filosofia moderna e contemporanea” presso la “Scuola Normale Superiore di Pisa” – pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 15 di giugno 2025: Oggi è diventato normale sentir parlare di guerra.  Non è stato così per molto tempo, sembrava che la pace, almeno in Europa, fosse diventata una realtà acquisita, ferma, inattaccabile.  E si pensava che la lezione di Hiroshima e Nagasaki fosse definitiva: quelle bombe, che avevano ucciso migliaia e migliaia di uomini, sembrava avessero aperto gli occhi, facendo capire che, per la prima volta nella loro storia, gli esseri umani potevano autodistruggersi e cancellare anche la cultura, che nasce sulla nuda roccia e può essere sconvolta, d'improvviso, da un refolo di vento. Sembrava. Ma non è stato così. Ci sono state prima la guerra in Jugoslavia, poi la guerra in Ucraina, lo strazio quotidiano di Gaza, per limitarsi al nostro mondo. La pace sembra diventata un'utopia senza più credibilità. E una sorta di fantasma sembrano essere diventate le grandi idee di liberazione e di emancipazione elaborate dall'Europa nella sua storia, specie nell'età dell'Umanesimo e del Rinascimento. Sembra che un intero patrimonio di civiltà, di cultura, di tolleranza si sia consumato, e che la guerra e la barbarie siano diventate le strutture elementari della vita degli uomini. Sembra che l'Europa sia diventata muta, non abbia più niente da dire. Non è così: le parole dei grandi autori di quell'epoca continuano a oltrepassare il tempo, e, a saperle ascoltare, arrivano fino a noi, proclamando una sapienza mondana, incentrata sull'idea di pace, che va oggi più che mai rivendicata, proprio di fronte al tempo che ci è toccato in sorte. Basta soffermarsi sui testi di Cusano, di Ficino, di Pico, di Bruno, di Moro, per vedere quanto sia stata profonda la loro riflessione sulla pace - pace civile, pace religiosa, pace della fede. Ed è sufficiente pensare a un evento come il concilio di Ferrara-Firenze - mai compreso in tutta la sua grandezza - per constatare come già nel 1439 siano stati pensati in termini attualissimi e profondi sia il problema della pace che quello della riconciliazione fra Chiesa latina e Chiesa greca, della concordia tra fedi differenti. Nel Quattrocento e nel Cinquecento la riflessione sulla pace è continua, quasi un'ossessione, e diventa sempre più urgente per le trasformazioni delle forme della guerra, per la scoperta e l'uso di nuove armi, per lo straordinario aumento dei morti sul campo di battaglia e il diffondersi di nuove malattie per effetto delle moderne artiglierie. Basta leggere la Storia d'Italia di Francesco Guicciardini per comprendere come i nuovi cannoni - piccoli e leggeri -, sostituendosi alle vecchie bombarde, abbiano rivoluzionato in maniera radicale "il mestiere delle armi", per riprendere il titolo di uno straordinario film di Ermanno Olmi, nel quale queste trasformazioni e i caratteri più profondi di quell'epoca che fu il Rinascimento sono afferrati e rappresentati in tutta la loro novità e tragicità. Riflettere sulla pace significa, in modo simultaneo, prendere posizione contro la guerra, come fa in tutta la sua opera Erasmo da Rotterdam, che mette al centro della sua meditazione il problema della pace su tutti i piani, con Dio, con l'uomo, con sé stesso. «Chi ama la guerra - recita uno dei suoi Adagia più intensi e meditati - non l'ha vista in faccia. Se nel mondo c'è una cosa che ci viene da affrontare con esitazione [...] di sicuro è la guerra: non c'è iniziativa più empia e più dannosa, più largamente rovinosa, più persistente e tenace, più squallida e nell'insieme più indegna di un uomo, per non dire di un cristiano [...]. Non ne abbiamo a sazietà di queste guerre interminabili?».