Finalmente una sera - ma quanto tempo c'era
voluto - un lumicino tremolante apparve entro la lente del cannocchiale, fioco
lume che sembrava palpitare moribondo e invece doveva essere, calcolata la
distanza, una rispettabile illuminazione Era la notte del 7 luglio. Drogo per
anni si ricordò la gioia meravigliosa che gli inondò l'animo e la voglia di
correre a gridare, perché tutti quanti lo sapessero, e la orgogliosa fatica di
non dir niente a nessuno, per la superstiziosa paura che la luce morisse.
(Tratto da “Il deserto dei Tartari” –
1940 – di Dino Buzzati).
“LeggerePaoloNori”. «“Strega?”
Un talent la poesia è nei bar», testo di Paolo Nori pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” di ieri, domenica 6 di luglio 2025: L’altro giorno, ero a Roma,
pranzavo in un ristorante, un signore seduto a un altro tavolo, aveva finito,
si è alzato, è venuto da me, mi ha allungato la mano, mi ha detto "Grazie
per i suoi libri nei quali ripete sempre le stesse cose". Che io, gli ho
stretto la mano gli ho detto "Ah, ma pensa. Prego". Ero un po'
spiazzato perché è vero, che nei miei libri ripeto sempre le stesse cose, e lo
dico anch'io, ma se lo dico io è un conto, sentirlo dire da un lettore non sai
se è un complimento o un insulto, forse è un complinsulto, neologismo che credo
sia stato creato da un partecipante a X-Factor, qualche anno fa. X-Factorè un
talent che mi piace molto, a me piacciono molto, i talent. Quel mattino ero
stato a Radio Rock, e un ascoltatore mi ha chiesto "Ma lei, quando ha
cominciato a scrivere, nel 1996, si aspettava di arrivare a questo
punto?". Che io, anche lì,ero un po' spiazzato, gli ho risposto "Ma a
che punto? Cioè: che punto è, questo punto?". Quel giorno lì era il giorno
finale del premio Strega, e io ero in cinquina, e finivo un giro di un paio di
mesi che ho raccontato, un po’; in una newsletter, io ho una newsletter su una
piattaforma che si chiama Substack, la newsletter si chiama State bene e nei
pezzi che ci metto mischio cose nuove e cose che sono finite in vecchi romanzi
(scrivo un po' sempre le stesse cose). E il 9 giugno, su State bene, ho
pubblicato un post che si intitolava Il premio Strega e Togliatti e diceva
così: "Questi giorni, allo Strega, ho passato il tempo a sentirmi dire
come son bravo, come son belli i miei libri, come sono intelligente e
sensibile, poi, ieri notte, sono tornato a Bologna, la prima cosa che mi ha
detto la mamma di mia figlia, che chiameremo Togliatti, è stata 'Non
sbriciolare'. E mi è tornato in mente quando, qualche anno fa, stavo per andare
alla fiera del libro di Torino, prima di partire avevo pensato che sarei andato
a dormire in un albergo, al Lingotto, quella fabbrica che è diventato una
specie di megacentro congressi, un albergo geometrico, pulito, con un ascensore
panoramico, un albergo da uomini d'affari, a parlare di letteratura e avevo
pensato che io, più andavo avanti più avevo l'impressione che la letteratura,
qualsiasi cosa fosse, non aveva niente a che fare con gli uomini d'affari, e
con i centri congressi, e col valore aggiunto, io più andavo avanti più mi
sembrava che la letteratura, più che nei centri congressi, più che nelle
librerie, più che nelle aule universitarie fosse più facile trovarla nella
spazzatura, nei cassonetti, negli ospedali, sui filobus, nelle sale d'attesa
degli ambulatori veterinari, nei bagni dei cinema, nei sottopassaggi
abbandonati, sotto i cavalcavia, nei prati dopo che avevan smontato i tendoni
dei circhi, nelle tabaccherie, nelle collezioni di francobolli, negli
espositori delle cartoline, nei pavimenti dei bar quando eran cosparsi di
segatura, nelle file alle casse dei supermercati, sui marciapiedi delle
stazioni, in tutti gli uffici di oggetti smarriti, nella paura di chi faceva
una cosa per la prima volta, un farmacista, o un medico di guardia, o uno
scrutatore, o una bambina delle medie, nel passo di quelli che davano le
dimissioni, nel respiro che si prendeva prima di aprire l'esito di una lastra
ai polmoni, nel toccare i muri quando era saltata la luce, dappertutto, tranne
che in un albergo per uomini d'affari, avevo l'impressione, ma probabilmente mi
sbagliavo, perché probabilmente si trovava anche in un albergo per uomini
d'affari, forse, nel sospiro delle cameriere nel momento in cui si chinavano
per guardar sotto i letti, o nel momento che il portiere poteva telefonare a
una sua amica senza quei rompicoglioni di clienti, o nel rumore delle stoviglie
a apparecchiare per la colazione, o nei monologhi dei tassisti che arrivavano
dalla stazione o anche che non arrivavano dalla stazione ma da qualche altra
parte, o nei monologhi dei tassisti da qualsiasi parte arrivassero, ho scritto
qualche anno fa e avrei potuto aggiungere nei 'Non sbriciolare', forse. State
bene". Cioè, in letteratura, secondo me, non ci sono punti, anzi, ci sono,
ma non sono quelli più in alto, le cose non le vedi bene dai palchi delle
autorità, o del premio Strega; io sono contento di essere entrato nella
cinquina del premio Strega, a me piacciono i talent e il premio Strega, in un
certo senso, è un talent, ma la letteratura, e anche i discorsi, sulla
letteratura, non vengono bene dai palchi, vengono bene dai bar, per esempio, e
Raffaello Baldini, il poeta sul quale ho scritto il romanzo che ha partecipato
allo Strega, era figlio di uno che aveva un bar, il Caffè Trieste, e tre
frequentatori di quel bar, Raffaello Baldini, Nino Pedretti e Tonino Guerra,
son poi diventati tre tra i più importanti poeti del Novecento, chissà cosa gli
davano da bere, al Caffè Trieste, per provocare quei discorsi così potenti, e
mi viene in mente Giorgio Manganelli quando scrive "Bisogna arrivare a
parlare di cultura come si parla di figa", e loro, al Caffè Trieste, secondo
me, io poi non c'ero, ma secondo me ne parlavano così, che poi, secondo me, è
il modo in cui ne parlano i protagonisti di Baldini, per esempio un signore
che, in un monologo teatrale che si chiama Zitti tutti, si è stufato, di
guardare il premio Strega in televisione, e il pezzo fa così: "e poi,
spengo, mi ha stufato, la televisione, non trovo mai, sono sempre quelle cose,
facciamo un bell'applauso, e tutti che battono le mani, da fare che? e allora
esco, prendo su, in macchina, e faccio un giro, no lontano, vado così,
purchessia, poi mi fermo e mi mando una cartolina, non mi scrive mai nessuno a
me, che invece a me piace la mattina trovare un po' di posta, e allora mi
scrivo, io, da Verrucchio, da Pietracuta, da Montebello, da dove sono, prendo
una cartolina, saluti, e sotto uno scarabocchio, però cambio tutte le volte,
perché dopo, se no, sempre le stesse parole, dev'essere sempre una cosa nuova,
tanti saluti, saluti e baci, salutissimi, saluti cari, un pensiero, un ricordo,
arrivederci presto, ma ce n'è tante, di frasi, per cambiare, che i miei dicono:
ma chi è questo qui? niente, sono amici, e così mi arrivano queste cartoline,
che le tengo anche a conto, le più belle, o se no delle volte faccio qualche
telefonata, chiamo i numeri che ci sono nelle prime pagine dell'elenco, le
ultime notizie, il tempo, le strade, le condizioni delle strade, qui ci sono
dei lavori, bisogna deviare, lassù c'è la neve, ci vogliono le catene,
l'autostrada del Sole, la via Emilia, la via Flaminia, tenere la distanza di sicurezza,
che in un certo senso ti pare sempre come se dovessi partire, perché le strade
che ci sono, ma ce n'è, puoi andare dappertutto, a Montescudo, a Bologna, a
Badia Tedalda, a San Benedetto del Tronto, a Zurigo, a Madrid, dove vuoi andare
c'è la strada, basta partire, solo che io non parto mai...”.
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