Il ventiquattro di giugno vedeva sorgere
un’alba strana sulle case vecchie della città. [...]. Silenzio fino a
mezzogiorno, persino sulle osterie. Sembravano borgate di morti. Ma dietro le
facciate impenetrabili, non era la morte, bensì l'attesa di un momento di vita
vera, sfrenata, libera; perché la gente cercava di dormire qualche ora in più
per essere più sveglia la notte quando, con il primo buio, le porte si
spalancavano, le strade si illuminavano a giorno e la gente correva fuori,
nelle strade, nei campi, sugli argini, verso le colline. Sull'erba si mangiava,
si beveva, ed era l'amore per se stesso quello che imponeva l'ebbrezza comune,
libero da distinzioni, da pudori, dalle oscure radici dell'intimità e
dell'egoismo. Era una follia antica, che s'interrompeva allorché dai campanili
arrivava il suono della mezzanotte. Sotto la luna, allora, e sull'erba già
umida, la folla ammutoliva [...]. Finché uno, il primo, non si alzava dal suo
posto e dal suo cibo, alzando le braccia e avvicinandosi al volto le mani
tremanti; si copriva la faccia con le mani, accarezzandosi sulla pelle il velo
sottile della rugiada e gridava: «La manna! La manna!...». (Tratto da “La califfa” – 1964 - di Alberto
Bevilacqua).
“Donne”.
1 “E
quindi. Quindi niente. Fra vicini bisognerebbe aiutarsi, ma la vita è così.
Dura”: La signora del piano di sopra ha una certa età, è rimasta vedova dieci
anni fa, i figli sono grandi e lontani, vivono all'estero. Terzo piano senza ascensore. Durante il lockdown si era creata una
comunità di condomini che le portava la spesa, a turno, ma poi - dopo, alla
riapertura - hanno smesso. Un po' perché lei ha insistito, no grazie non vi
disturbate, faccio da sola grazie, davvero. Un po' perché non siamo diventati
tutti migliori. A un certo punto, un paio d'anni fa, è comparsa una donna sui
quaranta, una signora dell'Est, corpulenta e sbrigativa. È andata a vivere da
lei. Monica. La signora del terzo piano la tratta come una figlia con le
coerenti premure e tutele. Monica ha fatto arrivare la sorella, che è andata a
lavorare nella palazzina di fronte, poi un'amica, che vive in quella che fu la
casa del portiere e ha preso, grosso modo, il suo posto. Smista la posta, coi
suoi tempi. A volte a certi pacchi si affeziona e li tiene un po' per sé, ma va
bene: l'importante è saperlo, basta chiedere con gentilezza, il rilascio
dell'ostaggio. Giorni fa le tre amiche hanno convocato una specie di riunione
in cortile. Poteva sembrare una specie di festa sobria, invece era
un'assemblea. Oggetto: lo scandalo delle brasiliane del quinto. Se ne devono
andare, bisogna mandarle via. È arrivata una lettera, difatti, a tutti, in
cassetta. Era firmata anche da Julita, la signora peruviana che veniva a fare
da babysitter ai miei figli quando erano bambini. L'ho chiamata (la signora
dell'Est mi incute un certo timore, ho preferito chiamare Julita). Cos'è questa
storia delle brasiliane, Juli. Segnora, es que sono - Dios me perdone -
prostitute. Es un escandalo. Ma cosa dici Juli non è vero. Sono tre
studentesse, le conosco. E poi solo una è brasiliana. Le altre due sono
portoghesi. Eh, segnora. Lo dicono a lei. Sono brasiliane, non vede come vanno
vestite? Ma Julita cosa c'entra, vanno vestite come piace a loro. No, no
segnora, lei è ingenua. Sono brasiliane e le brasiliane sono tutte prostitute,
Dios me perdone. Sono clandestine, segurisimo, bisogna mandarle via. Ho detto
Juli, non puoi dire che tutte le brasiliane eccetera, è tremendo. Ma poi. Anche
tu quando sei arrivata eri clandestina ti ricordi? Ti ricordi quanto tempo ci
abbiamo messo, quanti viaggi avanti e indietro, i flussi, i consolati, le
carte, i mesi di attesa? Eh segnora. Ma io sono una donna che lavora, ho i
figli. Difatti, Juli. E i tuoi figli hanno avuto la cittadinanza in questi
anni? Non ancora segnora: si Dios quiere, speriamo. No non è Dio, sono le
leggi. No segnora no. Le leggi devono essere strette. Non possiamo mica far
entrare tutte quelle donne con il velo, tutti quegli uomini neri che fanno
spavento, segnora. Abbiamo conversato un po'. Io ho detto la mia, Juli è
rimasta della sua. Il giorno dopo sono salita dalla signora anziana del terzo.
Come va? Benino. Ha sentito della riunione? Eh, sì, Monica ne parla tutto il
giorno. Ah. E cosa ne pensa. Eh, cosa ne penso. Anche io quando sono arrivata
dalla Calabria con mio marito ho fatto fatica, a Roma. E quindi. Quindi niente.
Fra vicini bisognerebbe aiutarsi, ma la vita è così. È dura. Poi Monica è
giovane, la vita è dei giovani. Cosa vuole che le dica.
“Donne”.
2 “La
giusta misura”: (…). Le madri e le figlie, l'amore e il dolore, (…): vi voglio parlare
di un'altra amica, mia e vostra, che ogni settimana ci apre le porte della sua
casamatta. Conosco Concita De Gregorio da fine anni 80, quando iniziammo a
condividere la nostra straordinaria avventura a Repubblica. Un talento
stupefacente: ogni volta che inizio a leggerla, mi dico "vediamo cosa ha
inventato stavolta". Il suo “Di madre in figlia” (Feltrinelli) è
un'invenzione continua. Tre generazioni di donne che si tramandano pensieri e
misteri, parole e silenzi, speranze esaudite e attese tradite. Adè è la figlia,
una figlia di questo tempo: appesa allo smartphone, ai social alle chat ai
video, ha "il mondo nelle mani, tutta la conoscenza del mondo, anche le
cose peggiori", ma "nessuno strumento per decifrarla", in-fatti
soffre di insonnia e di attacchi d'ansia, la segue una psicologa ma lei non
segue nessuno, perché non si vuole bene e non vuole bene agli altri. Angela è
sua madre, cuore "totalmente" in allarme, sospesa tra il risentimento
verso la sua, di madre, perché "avevi la tua vita, non mi vedevi",
l'accudimento verso sua figlia, di cui cerca inutilmente di cogliere ogni
vibrazione interiore, e la paura di scoprire che anche tra gli uomini c'è chi
ha un danno, chi mente, chi tradisce. Marilù, la nonna-giaguaro, che l'amore
l'ha cercato e forse l'ha anche dato con l'assenza, negandosi a sua figlia ma
non a sua nipote, e cercando di sfuggire alla sequenza
"confessione-pentimento-redenzione-espiazione". Commuove, la trama
fitta e sofferta delle relazioni affettive che unisce e divide queste tre
donne, affamate d'amore ma incerte sulla "dose" che lo rende farmaco
e non malattia. Una ricerca difficile, perché "a volte tu fai programmi e
la vita va da un'altra parte". Ma alla fine il segreto lo svela un'altra
nonna. Agata, da un lontanissimo "ieri", spiega a sua figlia, alla
figlia di sua figlia e a tutte le figlie di oggi che alla fine solo questo
conta: "Essere libere, avere un posto", e soprattutto "cercare
la giusta misura". (…).
N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma,
rispettivamente, di Concita De Gregorio e di Massimo Giannini e sono stati
pubblicati sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 21 di giugno
2025.
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