lunedì 23 giugno 2025

CosedalMondo. 47 “Fatti e misfatti”.


(…). Il bluff vale se raro. Amici e nemici hanno preso nota che il presidente degli Stati Uniti può decretare due settimane di riflessione sul da farsi, riaprire a un negoziato con l’Iran, salvo lanciare due giorni dopo portentosi missili sul bersaglio grosso, con esiti che il suo stesso Stato maggiore non è in grado di stabilire. Chi volesse stipulare un qualsiasi accordo con questa amministrazione sa che un momento dopo la firma quell’inchiostro potrebbe svelarsi simpatico. L’impressione diffusa è che Trump sia stato agilmente usato da Netanyahu. Il gregario guida il capo? Quale autorevolezza può esibire il numero uno mondiale se si fa dirigere da una potenza regionale? O anche se solo dà l’impressione di esserlo? Della Cina, che per questa America è ossessione strategica, a Israele interessa poco. Resta da capire perché l’Iran sia considerato a Washington degno di dirottare risorse e attenzione dalla sfida con Pechino. (…). Oggi Bibi pare prendere l’amico americano per mano, a indicargli il cammino da percorrere insieme. Nel legittimo interesse del suo paese. Ma qual è l’interesse degli Stati Uniti a invischiarsi nell’ennesima partita mediorientale, quasi le lezioni di Afghanistan e Iraq non fossero sufficienti? Peraltro, contro un avversario di ben altra dimensione. Teheran è chiamata a scegliere fra due opzioni. La prima è rilanciare con tutte le risorse che restano. In vista di una lunga guerra di logoramento, contando sull’indisponibilità americana a impantanarsi nella regione e sull’impossibilità per Israele di combattere a tempo indeterminato sui fronti che ha deciso di aprire. Scelta molto rischiosa, non impossibile. La seconda è limitare la rappresaglia per riaprire al negoziato, sia pure da basi sicuramente più fragili. Logica. Troppo logica? Ma è su questo esito che Trump scommette. (…). Lo sconvolgimento che sta minando i regimi di Stati Uniti e Israele è sotto i nostri occhi. Con tutto il rispetto per i persiani, queste derive ci riguardano molto più da vicino. O dovrebbero riguardarci, se non fossimo affogati nel nostro provincialismo, coraggiosamente denunciato dal ministro Crosetto nel recente discorso di Padova, raro caso di adesione al principio di realtà oggi sommerso dalle propagande. Prima usciremo dall’illusione di essere immuni dalla rivoluzione mondiale in corso, meglio sarà per noi e i nostri discendenti. Se non è già troppo tardi. (Tratto da “Il danno americano” di Lucio Caracciolo, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, lunedì 23 di giugno 2025).

«Bunker, pasdaran e “I Miserabili”: gli intrighi del fantasma Khamenei» pubblicato sul giornale on-line “Mediapart” e riportato su “il Fatto Quotidiano” di oggi: (…). Ali Khamenei, 86 anni, è da tempo malato di cancro. Pur rimanendo teoricamente il detentore del potere, non è stato tuttavia in grado né di proteggere il suo programma nucleare, né di impedire una guerra devastatrice per l'Iran. Odiato dai giovani iraniani dalla morte di Mahsa Amini e dalla violenta repressione del movimento "Donna, Vita, Libertà", Ali Khamenei è diventato l'incarnazione stessa dello "sciismo nero" che diceva di combattere in gioventù. Sotto il regime dello Scià, il giovane magrolino, col turbante nero, cantava per le famiglie benestanti di Teheran, accompagnato dal tar, un liuto dal lungo manico, le roseli ba sofreh, le litanie in commemorazione di Hossein, storico terzo imam dello sciismo. Difficile riconoscere in quel ragazzo l'Ali Khamenei apparso alla tv iraniana, qualche anno dopo, all'indomani della Rivoluzione islamica, in qualità di imam della preghiera del venerdì dell'Università di Teheran. Il fucile d'assalto americano simbolo dell'Islam guerriero aveva sostituito il tar. Il religioso timido, senza alcun carisma, si era trasformato in implacabile predicatore. Le sue parole erano diventate dure, gli attacchi virulenti, le denunce violente. Moschee. Forze armate e il nodo dell'assemblea degli esperti. Nel 1989, alla morte dell'imam Khomeini, Ali Khamenei era diventato il rahbar, la guida della rivoluzione islamica. Chiunque criticasse la sua persona o il suo operato rischiava la prigione. La sua foto era ormai esposta, accanto a quella di Khomeini, in tutte le scuole e università del Paese, nelle strade e, fino a poco tempo fa, fino a quando cioè Hezbollah non ha perso la sua potenza, anche a Beirut. Il suo potere è totale. Ha l'ultima parola su tutte le questioni strategiche. È il capo delle forze armate, compresa la Guardia rivoluzionaria (i pasdaran), delle forze di sicurezza e di tutte le milizie. Controlla la potente rete di moschee. È responsabile inoltre della nomina del presidente dell'istituzione giudiziaria e, direttamente, di sei dei dodici membri del Consiglio di supervisione della Costituzione islamica, e, indirettamente, degli altri sei. Una sola istituzione ha il potere di supervisionare il suo operato e, in teoria, di destituirlo: l'Assemblea degli esperti. Ma la stragrande maggioranza degli 88 membri dell'Assemblea gli è fedele. Di qui l'enigma: come il timido mullah delle serate di Teheran, con una scarsa formazione religiosa, era diventato il successore del suo maestro Khomeini, fondatore della repubblica islamica, e in quanto tale designato a guidare la rivoluzione islamica globale, e il mandatario del dodicesimo imam, l'iman nascosto, il Mahdi. Sciismo rosso, sciismo nero e donne sottomesse. Sono stati il suo radicalismo, la sua astuzia e la sua perfetta conoscenza dei complicati labirinti del potere a portarlo tanto in alto? Senza dubbio, ma ancora di più la decisione che ha fatto molto presto, di essere vicino ai pasdaran, alle milizie e ai servizi di sicurezza. Ali Khamenei nacque nel 1939 nella città santa di Machhad, nel nordest dell'Iran, da genitori piuttosto modesti con otto figli. Suo padre era un religioso, ma non apparteneva alla casta dei ricchi chierici e dei proprietari terrieri. Era però un sayyed, un discendente del Profeta, un rilevante valore aggiunto nello sciismo. Ma più che la teologia, sono la letteratura, e soprattutto la poesia, in particolare Hafez, a interessare il giovane Ali Khamenei. Definì “Les Misérables” di Victor Hugo un "miracolo". Un pensatore lo influenzò particolarmente, Ali Chariati, che, mescolando sciismo e marxismo, divenne uno degli ideologi della rivoluzione islamica. Opponendo "sciismo rosso" e "sciismo nero", Ali Chariati definì il primo la fede dell'oppresso, dell'umiliato, a immagine di Ali, primo dei dodici imam dello sciismo; il secondo una religione nelle mani di un clero sottomesso, statalizzato, necessariamente corrotto. Khamenei proseguì i suoi studi a Qom, un'altra città santa, nel 1958. Lì divenne hodjatoleslam (rango intermedio del clero sciita) e incontrò Khomeini, di cui abbracciò il progetto rivoluzionario. Militò con lui e fu imprigionato a Teheran per brevi periodi. È in prigione che conobbe le altre figure chiave della futura rivoluzione islamica. In quegli anni tradusse in persiano una delle opere principali di Sayyid Qutb, uno dei fondatori dei Fratelli Musulmani, intitolata Al-moustaqbal li-hadha ad-din (Il futuro di questa religione), un'opera in cui l'autore difende la necessità di assicurare la supremazia dell'Islam attraverso la politica. Khamenei condivideva molte delle sue idee, tra cui la visione discriminatoria nei confronti delle donne: "L'uomo è fatto per accedere al settore economico e finanziario... La donna invece [...] deve partorire, allattare, è di fragile corporatura, moralmente sensibile, emotiva, non può accedere a tutti i settori [...], questo crea delle restrizioni per le donne... L'uomo, più forte, è privilegiato". La rivoluzione del ’79 e poi Raf-SanJani messo sotto scacco. Prova un odio assoluto per Israele, che definisce un "tumore canceroso", e per i Paesi occidentali: "La civiltà occidentale spinge tutti verso un materialismo in cui il denaro, l'ingordigia e i desideri carnali sono le massime aspirazioni [...]. Con i suoi continui assalti, l'Occidente mina la nostra fede e la nostra identità". Nel 1979, la rivoluzione islamica trionfò. Lo Scià lasciò l'Iran e Khomeini rientrò dal suo esilio parigino. Khamenei all'epoca era solo un religioso tra migliaia di altri. Ma aveva stretto amicizia con Ali Akbar Hashemi-Rafsanjani. L'alleanza con Rafsanjani gli permise di entrare nella prima cerchia dei sostenitori di Khomeini. Era il tempo delle epurazioni, non solo dei sostenitori del sovrano deposto, ma anche dei partiti di sinistra che avevano permesso alla rivoluzione di trionfare. La repressione fu terribile. In reazione, una serie di attentati decapitò il nuovo governo, eliminando in particolare la sua "mente", l'ayatollah Mohammad Behechti, e decine di alti funzionari del regime. Questi assassinii permisero a Rafsanjani e a Khamenei di accrescere il loro potere. Il 27 giugno 1981, Ali Khamenei fu a sua volta vittima di una bomba nascosta in un registratore. Perse l'uso del braccio destro, il che gli permise di accedere allo status di "martire vivente". Nello stesso anno fu nominato presidente della Repubblica islamica dell'Iran, succedendo a Mohammad Ali Radjai, assassinato il 30 agosto 1981. Fu il primo ayatollah a ricoprire questa carica, all'epoca di poca importanza. Il 4 giugno 1989, dopo la morte di Khomeini, Khamenei fu eletto Guida suprema dall'Assemblea degli Esperti grazie all'aiuto di Rafsanjani, diventato presidente della Repubblica Islamica dell'Iran, che riteneva di poterlo manipolare a suo piacimento. Il patto con i militari: a loro un impero economico. Un pessimo calcolo. Khamenei era infatti molto più astuto di quanto sembrasse e riuscì a emarginare l'uomo che era diventato suo rivale nella corsa al potere. In quanto religioso di rango secondario, Khamenei non aveva il bagaglio religioso per ricoprire una tale funzione. Ma usò tutti gli strumenti a sua disposizione per farsi nominare ayatollah, malgrado l'opposizione degli alti religiosi iraniani che non lo hanno mai considerato un vero marja-e taglid, ovvero una "fonte di imitazione" per i fedeli. Nel luglio 1989 fece votare una riforma costituzionale che non richiede più che la Guida sia un marja. I pasdaran e i basij furono invece con lui sin dall'inizio. Consapevole delle proprie lacune, Khamenei si è appoggiato su di loro per affermare il proprio potere. In cambio, la nuova guida ha permesso loro di prendere il controllo del Paese e di costituire un impero economico. Sono i pasdaran a garantire la protezione del Beit al-Rahbar, la "Casa della Guida suprema". Ai tempi di Khomeini, questa "Casa" contava una quindicina di funzionari. Sotto Khamenei ne sono 1.700. È il cuore del potere iraniano.

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