domenica 22 giugno 2025

Lastoriasiamonoi. 69 Omar El Akkad: «Non abbiamo il diritto di arrenderci, per il bene dei nostri figli».


“E adesso Gaza?”, testo della conversazione di Antonio Scurati con lo scrittore Omar El Akkad pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di oggi, domenica 22 di giugno 2025: Non abbiamo il diritto di arrenderci.  Gaza impone a tutti un esame di coscienza.  Lo impone in particolare a chi ha la possibilità di far udire la propria voce. Personalmente, onestamente, devo allora confessare la mia disperazione. Pur avendo speso, senza riserve né risparmio, tremila pagine e dieci anni della mia vita a raccontare e a denunciare il fascismo novecentesco, le sue violenze, le sue guerre, i suoi genocidi, ogni volta che ho scritto un articolo, rilasciato una dichiarazione, partecipato a un dibattito, firmato un appello per denunciare i massacri della popolazione di Gaza, mi sono subito sentito afferrare nella morsa di sgomento e sconforto. Quando a perpetrare il massacro sistematico di civili è uno Stato democratico, fiancheggiato dai governi di Stati democratici, finanziato e armato dalla più grande democrazia del mondo in nome della democrazia e dell'Occidente, la democrazia si svuota di ogni sostanza e l'Occidente di ogni senso. Ti manca, allora, la terra sotto i piedi. A soffocarti le parole in gola subentra, perfino, una sorta di vergogna. Il crimine è al tal punto spropositato, la carneficina tanto grande, la sofferenza vissuta dal popolo palestinese a tal punto incommensurabile con la nostra esperienza di vita agiata e protetta da farci sentire non solo inetti e impotenti ma perfino inadeguati e indegni di parlarne. Una paradossale pudicizia ci afferra: alcuni di noi, consapevoli del nostro privilegio, addirittura si vergognano di spendere ancora vane e vacue parole sulla immane tragedia, sul gigantesco crimine di Gaza. Ovviamente, non ci sono parole più vane e più vacue di queste. Queste mie parole che, di fronte al massacro di un intero popolo, riflettono sul disagio psichico e morale di chi ne è spettatore. Siamo in un vicolo cieco, il circolo vizioso fa un altro giro. A maggior ragione adesso. Adesso che la nuova guerra di Israele all'Iran confinerà i perduranti massacri di Gaza in un cono d'ombra ancora più fitto. Eppure, non abbiamo il diritto di arrenderci. (…): il genocidio dei palestinesi di Gaza rappresenta una di quelle date luttuose nella storia che costringe ogni generazione a una resa dei conti con le proprie convinzioni e illusioni. Siamo a un punto di rottura, di non ritorno. Secondo El Akkad (Omar El Akkad, scrittore canadese di origine araba, autore del volume “Un giorno tutti diranno di essere stati contro”, edito da “Gramma Feltrinelli”, pagg. 208, euro 18 n.d.r.) con il quale ho avuto la conversazione che segue, proprio chi ha sinceramente creduto nelle democrazie liberali, di fronte a Gaza, per rimanere fedele a sé stesso, deve tragicamente riconoscere che l'Occidente liberale ha tradito tutte le sue promesse.

Antonio Scurati: Genocidio. Partiamo da qui. Da questo neologismo coniato nel 1944 dall'Occidente per comprenderne la storia altrimenti incomprensibile e ridefinirsi. Israele è accusato di genocidio contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza da due commissioni indipendenti delle Nazioni Unite, da numerose Ong per i diritti umani, nonché dalla relatrice speciale delle Nazioni unite sui Territori palestinesi occupati Francesca Albanese, da numerosi Stati e da diversi storici esperti di genocidio e Olocausto, tra cui eminenti storici israeliani. Nonostante ciò, i governi di numerosi altri Stati occidentali (tra cui Italia e Stati Uniti) si rifiutano drasticamente di riconoscere il genocidio. Con loro, milioni di cittadini. Lei fornisce una spiegazione semplice e terribile per questo disconoscimento: genocidio è una parola vincolante. Se la si usa, si è obbligati ad agire per fermarla.

Omar El Akkad: Non penso che la mia sia una tesi particolarmente controversa. Il caso dello sterminio del popolo palestinese per mano di Israele non è unico. La stessa riluttanza a definirlo genocidio si è vista praticamente in tutti i massacri che si sono susseguiti nel corso della mia vita, proprio perché la parola genocidio comporta un obbligo - non solo di opporsi a quello che sta succedendo ma, ancor prima, di impedire che avvenga. In questo caso specifico, alla riluttanza si unisce il fatto che lo stato responsabile del massacro è un alleato dell'Occidente, mentre le vittime non lo sono.

A.S.: «Per ogni generazione arriva un momento di totale disgusto che ci lascia totalmente svuotati. La storia è un cimitero di questi momenti». Tu affermi che vedere il leader della più potente nazione del mondo - nominalmente alfiere del liberalismo occidentale mainstream (Biden) - che avalla e finanzia un genocidio suscita una presa di distanza definitiva: «Non voglio averci più niente a che fare». Siamo davvero al punto di rottura definitivo? Ma non è paradossale che a rompere, cocentemente delusi, con le illusioni della democrazia liberale debbano essere proprio quelli che hanno sinceramente creduto in essa e lottato per essa?

O.E.A.: Lo trovo non soltanto paradossale e ironico, ma anche sconcertante. Quando parlo di chi ha creduto in questo genere di democrazia liberale, non intendo persone lontane: parlo di me. C'è stato un periodo, non molto tempo fa, in cui questo tipo di liberalismo esibito mi sarebbe andato bene. Ma ho visto troppi bambini trucidati per riuscire ad accettare ancora questa farsa. Non posso più fingere, e non penso di essere l'unico ad aver raggiunto questo punto di non ritorno. Ciò detto, non mi aspetto in alcun modo che i fascisti pronti a prendere il potere possano in qualche modo migliorare le cose. In America l'amministrazione Trump ne è la prova innegabile. La differenza è che non mi aspetto niente di meglio dai fascisti. Ma quando un politico si fa eleggere sostenendo di avere a cuore i principi della democrazia liberale, sono tenuto ad aspettarmi qualcosa di meglio.

A.S.: Veniamo all'analisi di questa fine dell'illusione liberale. Lo sterminio dei reporter palestinesi è l'emblema, secondo te, del crollo di uno dei pilastri del liberalismo: l'idea della libera informazione. Sull'altro versante, infatti, anche giornali simbolo della stampa indipendente praticherebbero secondo te una metodica «alterazione della lingua mirata a sterilizzare la violenza» di Israele.

O.E.A.: Anche in questo caso, non mi sembra un'affermazione particolarmente controversa. Quando la Russia bombarda un ospedale ucraino, è difficile immaginare che i media occidentali presentino la storia come se l'ospedale si fosse misteriosamente fatto saltare in aria da solo. Eppure, abbiamo visto che è la norma quando si parla dello sterminio dei palestinesi per mano di Israele. Se anche qualcuno non avesse a cuore la sorte del popolo palestinese, dovrebbe comunque ricordare che un'intera generazione è testimone in tempo reale di questa manifesta ipocrisia, che porterà i giovani a fidarsi sempre meno dei media in generale, una sfiducia che li accompagnerà per tutta la vita. Nell'ultimo anno e mezzo, l'industria dell'informazione ha arrecato danni incalcolabili al proprio futuro.

A.S.: Altra menzogna disgustosa è quella della reiterata professione di fede nei cosiddetti valori occidentali. Gli esponenti più brutali della destra trumpiana e israeliana manifestano aperto disprezzo per i palestinesi assassinati in quanto considerati sub-umani ma anche i democratici americani non sono da meno: la strage quotidiana di bambini innocenti non impedisce loro, al di là dei proclami retorici, di continuare a sostenere Israele, così come non impedisce a milioni di cittadini comuni di perseverare in quel sistema di vita che avalla la strage.

O.E.A.: Penso che siano due i fattori fondamentali che contribuiscono a questo sostegno bipartisan - o perlomeno a questa ambivalenza - nei confronti dello sterminio del popolo palestinese. Il primo è che, dal punto di vista politico, i palestinesi non hanno nessun peso nei centri del potere occidentale. Semplicemente, se si decide di fare qualcosa per aiutarli non si guadagna nulla in termini politici. Certo, questa situazione sta cominciando a cambiare, ma solo e unicamente grazie all'enorme pressione delle manifestazioni popolari. Il secondo fattore è che sia i democratici che i repubblicani, a livello istituzionale, devono rispondere agli stessi finanziatori di grandi imprese. Di conseguenza, la loro capacità di fare qualcosa per i più vulnerabili - e non parlo solo dei palestinesi, ma anche dei cittadini più fragili del Paese in cui vivo - è fortemente limitata. In questo modo, abbiamo due partiti che condividono un'enorme fetta di priorità politiche e di bilancio, e concordano sul servire i miliardari e i loro interessi a spese praticamente di tutti gli altri, scontrandosi poi solo in patetiche scaramucce sugli slogan esibiti su cartelli e spillette. È a dir poco esasperante.

A.S.: C'è una scena in cui vieni sorpreso da tua figlia bambina a contemplare al computer immagini strazianti di bambini palestinesi dilaniati dalle bombe. Ovviamente, le occulti immediatamente per proteggerla. Poi definisci il tentativo di separare l'identità di tua figlia dalla sua provenienza un gesto vigliacco. Siamo tutti irrimediabilmente vigliacchi?

O.E.A.: No, non penso. Negli ultimi venti mesi, ho visto tantissimi atti di incredibile coraggio da parte dei giornalisti palestinesi che rischiano la vita per far arrivare al mondo le immagini del genocidio ai milioni di persone che sono scese in strada a protestare, spesso nonostante una violenza di Stato spietata. Vedo la vigliaccheria in me stesso perché mi conosco bene, ma credo che il coraggio sia davvero contagioso e possa diventare fonte di ispirazione persino per una persona come me, che possa spingermi a diventare migliore, a fare di più.

A.S.: Il tuo non è soltanto un urlo di dolore o di denuncia. È un appello alla militanza. Ritenete che la destra sovranista sia una minaccia per la democrazia (negli Stati Uniti e altrove) e il massacro a Gaza la sua più tragica smentita? Combattete. Al punto in cui siamo, un momento storico che ci impone la scelta tra la giustizia e il potere, «l'urgenza retorica non può coesistere con l'impotenza politica». Cosa dire a quei milioni di nostri concittadini, la maggioranza probabilmente, che nemmeno percepiscono di vivere uno di quei momenti?

O.E.A.: Per tutta la mia vita adulta mi sono definito un pacifista. E ci ho creduto davvero. Mi piace pensare che qualsiasi forma di violenza mi faccia orrore. Ma persino io devo ammettere con me stesso che è molto facile mantenere questo tipo di posizione se si vive nella parte di mondo che i missili li lancia. Anzi, se consideriamo come vengono spese le tasse che pago, sono uno degli esseri umani più violenti del pianeta. Abbiamo raggiunto una situazione in cui è quasi impossibile mantenere il privilegio di ignorare il proprio ruolo in questo tipo di sterminio su scala industriale, così evidente a Gaza, ma senza dubbio perpetrato anche altrove. Possiamo ammettere di essere complici e fare qualsiasi cosa in nostro potere per opporci, oppure dirci che va benissimo così, e abbracciare la confortevole leggerezza della sociopatia.

A.S.: Gli autori del massacro giustificano sé stessi descrivendo Hamas come una belva assetata di sangue, tutti i palestinesi come seguaci di Hamas e Israele come un'isola democratica in un mare di tenebra. Più ancora che al Ventesimo secolo, la storia sembra tornare al Diciannovesimo, quando l'Occidente perpetrava genocidi coloniali in nome della sua missione civilizzatrice. Tu, però, invochi la «componente morale della Storia, la più necessaria» e ti appelli all'autorità del futuro, il proverbiale "tribunale della storia" al quale per due secoli le vittime più diverse hanno fatto ricorso. Visto che la cronaca ci lascia senza ' speranza, credi ancora alla Storia come riparatrice di torti?

O.E.A.: Sì, ma non ne vado certo fiero. Trovo che questo tipo di idea puzzi di disperazione, e non mi pare molto diversa dalla visione che un giorno saremo tutti davanti a Dio e i colpevoli saranno chiamati a rispondere delle loro azioni. A cosa serve il verdetto di un futuro libro di storia a qualcuno la cui famiglia è stata interamente cancellata dalla faccia della terra oggi? Voglio che i colpevoli siano chiamati a rispondere ora. Conosco il linguaggio del colonizzatore "civilizzato", l'ho già sentito un milione di volte, applicato a ogni genere di scomodi "selvaggi" e "barbari" che hanno avuto la sfortuna di vivere dove il colonizzatore voleva stabilirsi. E so come i libri di storia giudicano ora quei momenti storici. Non sarà affatto diverso in futuro.

A.S.: In un tuo romanzo distopico di alcuni anni fa, American War, tu racconti la guerra civile in un'America del Nord prossima ventura. Pensando alle cronache di questi giorni, la ritieni una possibilità reale?

O.E.A.: Quando ho scritto quel libro pensavo di aver creato una narrazione abbastanza improbabile da evitare proprio quel tipo di domanda. Ma oggi per la prima volta non ne sono più così certo. C'è proprio la sensazione che qualcosa si sia strappato nel tessuto degli Stati Uniti, in una maniera che è del tutto diversa da quella che abbiamo visto finora. D'altronde, questa è la nazione più ricca della storia dell'umanità, dove milioni di persone vivono una vita incredibilmente comoda e confortevole. Una guerra civile può fare a pezzi tutto questo. Non ho idea di cosa sarà di questo Paese nei prossimi anni, ma non posso certo più dire che qualsiasi esito sia inimmaginabile.

A.S.: A far data dall'elezione di Donald Trump, molti politici e intellettuali europei (me compreso) si ripetono che, stretta tra autocrazie orientali e occidentali, non resta che l'Europa a custodire i valori democratici. Ti sembra plausibile oppure anche questo auspicio fa parte della menzogna occidentale?

O.E.A.: Penso che sia un'ipotesi da prendere in considerazione, ma non certo per il buon cuore dei centri del potere o delle istituzioni in Europa. Mi pare piuttosto che sia il dovere dei popoli che ci abitano. In questo senso, se mettiamo da parte la ricchezza relativa o il potere militare, la situazione in Europa non mi sembra completamente diversa da quella esistente in America, Africa, Medio Oriente o in gran parte del mondo: una porzione enorme di persone sta protestando contro le azioni (o inazioni) dei propri governi e scopriremo prima o poi se le loro voci saranno ascoltate. Sono fermamente convinto che tutte le autocrazie alla fine cadano, ma se la volontà democratica dei popoli viene ignorata troppo a lungo anche le democrazie possono crollare.

A.S.: La forza del tuo libro dipende anche dal fatto di essere per metà memoir e per metà saggio morale. Ogni riflessione sul genocidio è preparata dalla rievocazione autobiografica. È come se la tua intera esistenza di figlio di immigrati egiziani in Nord America precipitasse verso il punto di rottura definitivo con il liberalismo occidentale. Cosa c'è oltre quel punto? Verso quale destinazione può espatriare chi decide di abbandonare l'illusione democratica?

O.E.A.: È un'ottima domanda e vorrei poter dare una risposta altrettanto buona. Ho abbandonato del tutto il tipo di orientamento politico e ideologico che mi ha accompagnato nella mia vita adulta, e non ho ancora idea di chi sia diventato. So solo che, nonostante mi senta del tutto disorientato, è stato di grande ispirazione vedere quello che la gente è disposta a fare per opporsi alle ingiustizie, sia a livello individuale che collettivo. Se questi movimenti di solidarietà che stanno emergendo raccoglieranno un sostegno sufficiente per fare breccia nelle sale del potere statale tradizionale è una questione aperta, ma so che per me non ha più molta importanza. Voglio credere in qualcosa che non sia solo pragmatico o machiavellico, voglio credere che abbiamo l'obbligo di prenderci cura gli uni degli altri, di opporci a qualsiasi sistema fondato su un furto perenne. Ovviamente la questione se i sistemi politici o ideologici in cui credevo un tempo arriveranno o meno alle stesse conclusioni avrà conseguenze fondamentali, ma non penso influenzerà minimamente come scelgo di vivere la mia vita.

A.S.: Nelle ultime pagine del tuo libro, dipingi due scenari. Nel primo, in un mondo divenuto in-vivibile a causa delle conseguenze delle attuali storture e ingiustizie (a cominciare da quella cli-matico-ambientale) il genocidio di Gaza sarà sterilizzato da una memoria storica ipocrita e menzognera. Nel secondo, accenni a un futuro in cui il coraggio di chi si è attivamente opposto al genocidio avrà piena cittadinanza. Sono, forse, il medesimo scenario?

O.E.A.: In una certa misura, credo che sia quasi necessario. Voglio dire che è difficile credere che gli esiti peggiori non si sovrapporranno a quelli migliori. Abbiamo fatto troppi danni a questo pianeta, abbiamo permesso troppi massacri per poter pensare che non ci saranno ripercussioni per le generazioni a venire. Non si può evitare nulla di tutto questo. Ma al tempo stesso, nulla di tutto ciò implica che non ci si possa impegnare, in ogni momento, per riconoscere, mitigare e raddrizzare questi torti. È il minimo che dobbiamo alle generazioni future, che dovranno convivere con le conseguenze peggiori degli infiniti disastri di cui siamo responsabili. Non abbiamo il diritto di arrenderci, per il bene dei nostri figli.

1 commento:

  1. Condivido in pieno!
    Oggi sono davvero arrabbiato perché gli USA hanno bombardato l'Iran senza pensare le conseguenze e soprattutto per fomentare la criminalità di Netaniahu. Un paese democratico è divenuto un paese dittatoriale. Trump non ha nemmeno consultato il Congresso. Siamo ormai a livelli che la criminalità è giusta e chi è oppresso è ingiusto. La menzogna trionfa e la legge è calpestata, anzi annientata, messa a tacere. Ho una rabbia dentro che non immagini, ma con tutto ciò continuo a sperare e mi getto nella preghiera.

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