sabato 21 giugno 2025

MadeinItaly. 51 “Politica&Avanspettacolo”.


Politica&Avanspettacolo”. 1 “Manuale di retorica contro la manipolazione”, testo di Filippo Ceccarelli: Da che mondo è mondo per fregare un ladro ci vuole un altro che sia, possibilmente, più ladro. Non suoni troppo ingiurioso il parallelo, ma chi meglio di un retore può sgominare le fake news? E chi altro, più di un esperto di retorica, è in grado di riconoscere un chiacchierone da talk show, un impostore a gettone o un despota in erba? A quest'ultimo proposito, considerati i tre o quattro personaggi (e personagge) che con le loro allocuzioni, le loro minacce, le loro smorfiette e le loro amene battute animano il paesaggio acustico, visivo e politico italiano, c'è un libretto che con fredda competenza, calcolata logica e dovizia di esempi enumera - anche l'enumerazione fa parte a pieno titolo dell'arte retorica - ben undici caratteristiche o atti linguistici del discorso potenzialmente dittatoriale: propaganda, slogan, colpa dei media, vittimismo, falso dilemma, semplificazione, "mostrificazione" del nemico, argomentazioni minatorie, sdolcinatezze e autoproclamazioni. Questo libretto si intitola Viva la retorica sempre! (…) l'autrice, Flavia Trupia, appassionata studiosa e pratica di quest'arte "beatamente amorale", sarebbe un'ottima commissaria per pianificare un retro-vaccino e mettere in opera, a partire dalle scuole, un nuovo e antico corso di sperimentate difese immunitarie contro tutte le balle e le nequizie che già circolano e stanno concimando il terreno in vista del prossimo sfondamento predatorio dell'Ia. In questo continua a essere utile la grande lezione degli antichi greci di cui fra ethos, pathos e logos si scopre che avevano capito tutto. Sennonché Trupia toglie alla retorica i sacri paramenti di Isocrate, Demostene e Frontone e ci incoraggia a saperne individuarne l'efficacia non solo nella recente Storia, i discorsi di Churchill, Papa Giovanni o di Martin Luther King, ma nell'immediato e quotidiano presente, dai trucchi delle riunioni di condominio alle giravolte verbali degli stand up comedian fino ai testi e alla metrica dei rapper, cui l'autrice tributa una lode tanto più ragionata quanto meno prevedibile. Perché tutto ciò che è evoluto, prima o poi, pare destinato ad accogliere in sé e a riformularsi in modalità espressive che affondano nei secoli, da Malala all'Onu a Steve Jobs fino a Vincenzo De Luca "maestro indiscusso della pausa". Esempi di scuola si dispiegano con ironia e perfidia. Dopo aver chiuso il libro ci si sente pronti per la prova talk-show: ecco dunque la supercazzola, il fumo negli occhi, l'esercizio di confusione, lo strillo, la banalizzazione, il manierismo affettivo, la nientologia, il discorso-carogna, la perculatio che in particolare fiorisce sulla bocca di guru e santoni. Un manuale di auto-difesa contro la manipolazione.

Politica&Avanspettacolo”. 2 “Lasciamo solo il politico che insulta”, testo di Massimo Giannini: Si narra che Napoleone avesse una solida convinzione, straordinariamente moderna per i suoi tempi: c’è da avere più paura di tre giornali che di mille baionette. È stato vero, per più di due secoli. Nel Belpaese l’atteggiamento del potere politico nei confronti dei giornalisti è schizofrenico. Per D’Alema eravamo “iene dattilografe”. Per Grillo “schiavi vergognosi”. Oggi i tronfi patrioti al comando si dividono in due schiere. Da una parte, quelli che scappano, canzonando: non vi legge e non vi guarda più nessuno, non contate niente e siete solo schiavi o falliti. Qui ci metterei senz’altro Meloni detta Giorgia, che disdegna per mesi le conferenze stampa, irride pubblicamente editori e testate, sfotte spettatori e conduttori de La7 con video-spot elettorali e surreali nei quali il suo popolo vince e i soliti sparuti “salotti radical chic” perdono. Dall’altra parte, quelli che scappano, insultando. E qui la lista degli orrori è piuttosto lunga. Cito solo i casi più recenti e più indecenti. C’è l’immancabile presidente del Senato La Russa, che dà sempre il buon esempio: seguito da un povero cronista che fa solo il suo lavoro, sbotta urlando «e mo’ basta, hai finito di rompere i coglioni?». C’è l’ineffabile ministro-cognato dell’Agricoltura Lollobrigida, che non se ne perde una per fare figure barbine: a un onesto cronista che gli chiede conto delle dimissioni del suo simpatico portavoce, amico del boss della mala Diabolik e dei terroristi Nar Ciavardini e Concutelli, l’autorevole cognato replica «che vuoi, cerchi lavoro?». C’è l’impresentabile onorevole leghista Angelucci, uno che alla Camera non si fa vedere da anni: a un ingenuo cronista che gli domanda delle sue assenze risponde «ma vattene affanculo, fatti i cazzi tuoi, andate a lavorare». C’è l’inaffondabile ex sottosegretario Sgarbi, che al bravo cronista di Report che gli chiede conto della “scomparsa” del famoso quadro del Seicento, vomita addosso un forbito «la sua trasmissione mi fa cagare, e se lei muore in un incidente stradale sono contento» (però almeno gli dà del lei, sono soddisfazioni). E potrei continuare. Ricordando tutte le volte che i cronisti di un singolo giornale sono stati presi di petto, a male parole, persino nei briefing a Palazzo Chigi. O anche i disagi ai quali sono stati sottoposti all’ultimo G7, buttati in mezzo ai tratturi e agli uliveti lontani dalla zona rossa costruita intorno a Borgo Egnazia, il resort a cinque stelle extra lusso riservato ai Grandi della Terra. Io qui avrei una proposta: ogni volta che un politico di qualunque partito e con qualunque incarico manca di rispetto a un giornalista, tutti gli altri colleghi, in blocco, spengono i microfoni, chiudono i taccuini e se ne vanno. Lasciando il presunto potente solo con la sua miseria morale e culturale. Non è difesa corporativa, ma salute pubblica. Napoleone ne diceva un’altra: «I partiti si indeboliscono per la paura che hanno delle persone abili». Noi scribacchini lo saremo mai?

Politica&Avanspettacolo”. 3 “Definirsi fascisti”, testo di Diego Bianchi: «Per me  è  più  un  gestaccio  cantare  Bella  ciao in aula, perché richiama il comunismo e il comunismo ha fatto dei morti ed esiste ancora, anche in quest'aula», risponde rientrando in Parlamento Crippa, vicesegretario della Lega nonché ex giovane virgulto salviniano del quale online, fino a pochi giorni fa, si trovavano soprattutto video dove dichiarava lo Stato italiano (quindi quell'aula) il nemico principale dei giovani padani (frase pronunciata generalmente sul pratone di Pontida, dove la Lega ha appena perso le elezioni comunali). L'obbrobrio su Bella Ciao arriva nel day after dell'aggressione avvenuta in aula durante la discussione sull'autonomia differenziata, laddove un manipolo di deputati della maggioranza si era scagliato contro il 5 stelle Donno, reo di provocare il ministro Calderoli con una bandiera italiana. In quel momento le cronache della giornata avevano già consegnato ai posteri la protesta dell'opposizione che cantava l'inno di Mameli brandendo tricolori per poi virare l'inno in Bella Ciao. In quel mentre un altro leghista, non padano ma calabrese, tal Furgiuele, sfidava le opposizioni incrociando le braccia a X come un Vannacci qualunque (per poi coraggiosamente affermare di aver fatto il gesto di X Factor). Cronaca, immagini e ridicole sanzioni fanno già parte della nostra sempre più labile memoria, ormai talmente sovraccarica di idiozie ed episodi indegni da non riuscire più ad archiviare tutto con il rigore e la severità che richiederebbero fatti e parole. Del resto, accusare di fascismo fascisti che non avendo il coraggio di dirsi tali pretendono di intavolare revisioni storiche ogni giorno, ritengo sia pratica abbastanza inutile. Valga per tutti come esempio il dibattito rinfocolato sui meriti della X Mas prima del '43, utili a bilanciare se non cancellare le nefandezze perpetrate dopo il '43. Dibattito totalmente fuorviante e dannoso quando dovremmo chiederci perché Vannacci e simili sentano ogni giorno la necessità di lanciare ami degni di un souvenir di Predappio a un bivacco di manipoli cui non par vero di poter tornare a dire oscenità quando non addirittura a menare le mani. Del resto, abbiamo un ministro della Cultura che quando il portavoce di Lollobrigida, Signorelli, viene accusato di contiguità alla criminalità romana, risponde evocando i khmer rossi. Facile arguire che per ora provare ad avere un dialogo è totalmente inutile. Almeno finché, nel condividere le basi, permarrà in buona parte di chi governa la subdola vigliaccheria di non definirsi per quel che si è.

N.d.r. I testi sopra riportati sono stati pubblicati sulla stessa edizione del settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 21 di giugno dell’anno 2024.

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