giovedì 3 luglio 2025

Lastoriasiamonoi. 73 Massimiliano Valerii: «Se la storia si risolve in un tiro di dadi, allora non solo il naso di Cleopatra, ma anche il ciuffo di Trump può cambiare il destino del mondo».


Cara Rossini, abbiamo trasformato la Terra in un inferno. La natura già crea e distrugge ogni cosa ma, se così non fosse, paleserebbe la regia che la sottende e la cui conoscenza ci è sottratta. L'umanità invece usa il proprio intelletto non per mitigare le sofferenze, ma per esacerbarle come farebbe un diavolo in una bolgia infernale. Solo a titolo esemplificativo cito l'impegno col quale si contrasta la denatalità con incentivi d'ogni genere e, nel contempo, si aumenta a dismisura la produzione di armi ben sapendo che le bombe andranno a colpire anche quei bimbi che, come nella striscia di Gaza, sono nella calca per raggiungere il cibo. Questo mondo sembra veramente governato da Satana, ossia dal male che è in noi e dal quale nessuno dovrebbe arbitrariamente chiamarsi fuori. Invece, che pensieri profondi migliaia di anni fa quando i nostri antenati intuirono il peccato originale! Noi oggi con le bombe atomiche e l'intelligenza artificiale, fatta a somiglianza della nostra, stiamo accelerando su percorso che Emil Cioran indicò così: «Permettendo l'uomo, la natura ha commesso molto più di un errore di calcolo: ha commesso un attentato contro sé stessa». E ancora: «Bisognerebbe essere fuori dal mondo come un angelo o come un idiota per credere che la scorribanda umana possa andare a finire bene». Cioran si accorse dell'incombente catastrofe e forse questi suoi pensieri potrebbero aiutarci a comprenderla e a evitarla. Lucio P. (Lettera pubblicata sul settimanale “L’Espresso” del 27 di giugno 2025).

“Tutta colpa del ciuffo di Trump”, testo di Massimiliano Valerii pubblicato sulla stessa edizione del settimanale “L’Espresso”: Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, tutta la faccia della Terra sarebbe cambiata», scriveva Pascal, alludendo al fatto che un dettaglio apparentemente trascurabile può decidere il destino del mondo. Nel busto marmoreo conservato nei Musei Vaticani il naso manca, è spezzato, lasciando spazio all'immaginazione. Ma le monete coniate all'epoca ritraggono il profilo aquilino dell'ultima regina d'Egitto. Fu la sua avvenenza a stregare Antonio e a portarlo alla rovina nella battaglia di Anzio, spianando così la strada al principato di Augusto? Oppure la Storia segue una traiettoria inesorabile, indifferente ai capricci del caso? Così suggerisce, in effetti, la teoria della «trappola di Tucidide», secondo la quale una potenza dominante ricorre alla forza per contenere una potenza emergente, fino all'eventualità estrema della guerra, come un tempo Sparta contro Atene e oggi gli Stati Uniti contro la Cina. L'interrogativo, che ha infiammato le dispute di generazioni di storici, si ripropone oggi davanti a una figura controversa come Donald Trump, il cui ciuffo ribelle è diventato l'emblema di una personalità narcisista capace di sconvolgere gli equilibri mondiali. Possiamo davvero ricondurre il corso della Storia a un bruciante amore orientale o a un ciuffo risparmiato dalle forbici del barbiere? Oppure l'affermazione di Trump non è un evento accidentale, bensì il risultato necessario delle forze economiche e geo-politiche in lotta nel nostro tempo? A questo proposito basta ricordare che trent'anni fa gli Stati Uniti realizzavano il 20,2 per cento del Pil del mondo (a parità di potere d'acquisto) e la Cina solo il 4,9 per cento, mentre nel 2024 la Cina è salita al 19,5 per cento e gli Usa sono scesi al 14,9 per cento. L'export cinese è lievitato in trent'anni dal 2,8 al 14,6 per cento del totale mondiale, quello americano è scivolato dall'll,8 all'8,5 per cento. Si confrontano qui due opposte concezioni della Storia. Secondo un certo determinismo storico, il leader americano non è altro che una pedina dentro un disegno che lo trascende.

La perdita del primato economico e tecnologico di Washington, e il conseguente risentimento sociale, hanno reso inevitabile l'ascesa del tycoon, che è assolto così da ogni responsabilità personale diretta. Ci sono importanti precursori di questa idea: Hegel riteneva che l’astuzia della ragione» si fosse servita dell'ambizione di Napoleone per realizzare il suo scopo: il tramonto dell'ancien régime e la diffusione in Europa del diritto borghese. La seconda scuola di pensiero mette invece al primo posto il libero arbitrio e rifiuta l'idea della inevitabilità della storia. Trotsky ricordava, nelle sue memorie, di essersi buscato un brutto raffreddore nell'autunno del 1923 durante una battuta di caccia alle anatre selvatiche. Quel malanno di stagione lo aveva tenuto lontano dai giochi politici in un momento cruciale dello scontro con Stalin: un dettaglio a prima vista irrilevante, che però cambiò le sorti dell'Unione Sovietica dopo la morte prematura di Lenin. Potremmo anche spingerci a sostenere che, nonostante il collasso economico e la crisi politica della Repubblica di Weimar, afflitta dall'inflazione galoppante, la disoccupazione alle stelle, la violenza nelle città, in una Germania prostrata dal senso di sconfitta morale dopo l'esito catastrofico della Prima guerra mondiale, il presidente Hindenburg, vecchio e malato, avrebbe potuto agire diversamente nel gennaio del 1933, evitando di nominare cancelliere del Reich un uomo che, con le sue ossessioni maniacali, trascinerà il mondo nell'abisso. Analogamente, il declino della fiducia nelle prospettive americane non basta a spiegare tutto: le scelte di Trump - i dazi o le posizioni a dir poco ambigue sui conflitti in Ucraina e in Palestina - contano, e con esse pesano le sue responsabilità morali. Entrambe le concezioni hanno i loro limiti. Il determinismo può portare al quietismo: se la storia è un copione già scritto, che senso ha giudicare le azioni di Gengis Khan o di Attila? D'altro canto, concepire la storia come una sequenza di eventi fortuiti ci fa cadere nel cinismo: ci sentiamo alla mercé del caso, come se il futuro dipendesse banalmente da un naso pronunciato o da un ciuffo spettinato. I filosofi Karl Popper, critico accanito della «miseria dello storicismo», e Isaiah Berlin, che ridicolizzava la «inevitabilità storica», hanno messo in guardia dalle tesi che cancellano le responsabilità individuali. Il grande storico inglese Edward H. Carr, polemizzando con entrambi, ha cercato una via di mezzo, asserendo che la Storia dipende dai grandi processi strutturali, non dal grand'uomo di turno, pur riconoscendo un ruolo ai fatti contingenti: il compito è individuare le cause primarie che muovono gli ingranaggi. Forse il modo in cui noi consideriamo la Storia cambia a seconda del clima che di volta in volta respiriamo. Gli storici dell'antichità come Erodoto e Polibio si limitavano a narrare la cronaca (res gestae) per trarre lezioni sulle passioni umane (l'avidità, l'ira, l'eroismo) utili a rischiarare il presente, senza cercare un significato ultimo della storia. Solo con gli illuministi del Settecento nasce la storiografia moderna (historia rerum gestarum) e una vera filosofia della storia. Voltaire, Montesquieu e Condorcet, ebbri di libertà dopo secoli di tirannia, avevano una fede incrollabile nel progresso dell'umanità guidato dalla ragione e vedevano nel passato il cammino compiuto verso l'emancipazione dalla schiavitù. Per Hegel la storia era il progresso dell'autocoscienza della libertà, culminante nello Stato moderno. Secondo la visione escatologica di Marx, il fine della Storia era l'avvento salvifico di una società senza classi. Anche gli storici vittoriani dell'Ottocento, all'apice delle fortune dell'impero britannico, scorgevano nella storia un disegno teleologico. Ma oggi il nostro sguardo è completamente diverso. Non siamo più sulla cresta dell'onda, viviamo in un Occidente diviso e in crisi d'identità, che percepisce il proprio declino. Di conseguenza, anche il nostro sistema di valori sta cambiando. E fatichiamo a trovare il filo nel bandolo della storia, un traguardo verso cui dirigere i nostri passi. Perciò quel ciuffo ostentato non è più un dettaglio grottesco, ma un simbolo di riscatto che una parte dell'America ha cominciato ad apprezzare. Non perché il barbiere abbia mancato di tagliarlo, ma perché i valori della società liberale - il multiculturalismo, il multilateralismo, persino il libero mercato e la stessa democrazia - si sono consumati nel falò della disillusione. Perciò non siamo più inclini a credere che la Storia sia guidata dalle leggi del progresso, ma ci convinciamo che sia un terno al lotto. Se la storia si risolve in un tiro di dadi, allora non solo il naso di Cleopatra, ma anche il ciuffo di Trump può cambiare il destino del mondo.

Nessun commento:

Posta un commento