“Il(mis)FattodelGiorno” 2. “Sangue, pugno e bandiera: la foto che è già il suo altare”, testo di Daniela Ranieri pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 15 di luglio ultimo: (…): Trump, forzato a muoversi dagli agenti del Servizio segreto che a stento lo spostano, si libera, si trattiene, si immortala, si tramanda; simile a uno dei Prigioni di Michelangelo, si fa simbolo congelato, icona, fermo immagine. Trump conosce la potenza delle immagini e sa che deve cogliere il kairos, il momento supremo e casualmente perfetto: ha tre rivoli di sangue sulla guancia destra, come un capo Apache, il cui rosso rimbalza sulle strisce della bandiera americana che sventola alle sue spalle, sulla sinistra; il pugno destro chiuso e alzato al cielo, come ha scritto il New York Times, suggella l’apice del “legame viscerale” coi suoi sostenitori. La sua quasi morte buffonesca è la ratifica di un contratto: colui che aveva promesso di rifare grande l’America (un motto rubato a Mussolini, che lo usava nei suoi illusionismi priapieschi per illudere il popolo che avrebbe rifatto grande Roma) mostra al suo pubblico affamato di rivalsa una demo del sacrificio che è pronto a compiere (e infatti il figlio scrive: “Non smetterà mai di combattere per Salvare l’America”). Biden ne sarebbe morto, caduto a terra crivellato. Trump rimbalza dal suolo, si sottrae alla forza di gravità, risorge gridando, stagliandosi contro il cielo blu della Pennsylvania, e con l’orecchio ferito, la carnagione mandarinata e caramellata come quella dell’anatra all’arancia, è insieme ridicolo e fiero: l’attentatore gli ha allestito un altare su cui issarsi, una pira per bruciare il passato (di fatto è un perdente, l’unica cosa che non ammette di essere) in un rito liminale in cui lui, da vittima, diventa sacerdote dell’unica cosa che quelli della sua risma rispettano come sacra: l’apoteosi orgiastica della pura superficie, il dominio dell’immagine sulla sostanza, la santità della vernice sopra l’essenza. Come già Berlusconi colpito dalla statuina del Duomo dall’inconsapevole Tartaglia, Trump sa che lui è il suo volto: privo della drammaticità paesaggistica dei grandi leader colpiti da attentatori (Lincoln, Kennedy, Reagan, persino il mentitore Nixon), e tanto più della ieraticità funebre dei dittatori (Pinochet, i Re sforacchiati dai gloriosi anarchici) e incinesito da anni di lifting estremo, il volto di Trump non sarebbe stato così perfetto, maschera aderente allo Zeitgeist, neanche a photoshopparlo. Lui è banalmente sé stesso proprio perché è tutto falso, come il suo seguace vestito da sciamano nell’assalto al Campidoglio. Il sangue gli conferisce quel che gli manca da sempre: la serietà, anche se si tratta di una serietà posticcia, da lunapark, e il sangue sembra quello dei film horror. Come Berlusconi, è tanto privo di gravità quanto di ironia: è piallato su una semiotica semplicissima e violenta, il broncio è lo stesso di quando dibatte in Tv (i proiettili gli rimbalzano addosso come le obiezioni, le critiche, gli anatemi). Il suo corpo, cromato e incredibile come quello dei villain dei fumetti, è un corpo di pixel, niente è vero in lui, nemmeno mentre potrebbe stare per crepare. Mente pure quando gli sparano, costruitosi attorno come un fantoccio di carne tra Tv spazzatura e psichiatria, spettacolo e clinica. Il silenzio che circonda l’attimo immortalato dalla foto è in realtà un applauso, quello che scoppiava nel talent show in cui si divertiva sadicamente a licenziare gli apprendisti. Vittima sacrificale ed eversore, la sua morte da burletta lo incoronerà re.
giovedì 18 luglio 2024
Lamemoriadeigiornipassati. 90 Michele Serra: «In campo repubblicano, il cittadino in armi è un’icona nazionale, non un pericolo pubblico e non un caso umano».
(…). Avevo nove anni quando spararono a John
Kennedy e ricordo ancora la mia famiglia riunita davanti al telegiornale
(l’unico); ne avevo quattordici quando vennero cancellati dal fuoco nemico Bob
Kennedy e Martin Luther King. Ricordo l’attentato a Reagan, scampato per
miracolo, e non considero meno notevoli e sconvolgenti le stragi seriali nelle
scuole e nei luoghi pubblici, con un totale di vittime paragonabile a una
guerra. La sola rilevante differenza è che il movente “politico” è sempre meno
rintracciabile, soppiantato ormai stabilmente dal movente psichiatrico. Pazzi
che sparano come pazzi. Dementi che non sarebbero in grado di spiegare nemmeno
a se stessi perché premono il grilletto. La sola vera reazione politica
all’attentato a Trump sarebbe una riflessione corale, un dibattito urgente e
travolgente, sull’uso quotidiano delle armi da fuoco in quel paese grande,
potente e sanguinario. La pistola, la mitraglietta, il fucile sono familiari
agli americani quanto il prosciutto agli emiliani, e anche per questo lo
sciagurato ragazzotto che spara a Trump è l’attore di un gesto orribile, ma
niente affatto sorprendente. Specie in campo
repubblicano, il cittadino in armi è un’icona nazionale, non un pericolo
pubblico e non un caso umano.
(Tratto da “Normalità di un
attentato” di Michele Serra pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del
16 di luglio 2024).
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