“La Messa è finita”, testo di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di lunedì 11 di marzo 2024: Sono un monaco anziano che diffida dei sondaggi, delle percentuali di fallimento e di successo calcolate troppo superficialmente, ma resto attento a confrontare i dati che pervengono dalle inchieste con le mie esperienze dirette e personali che con attenzione vivo e di conseguenza ripenso. Ormai vivo, soprattutto le situazioni ecclesiali con una certa distanza, quella che si assume a volte per ridere ma a volte anche per piangere. E in questa stagione, nella quale è ritornata con prepotenza la barbarie specie in politica e nella vita della società, certamente mi assale la tristezza per l’inadeguatezza della chiesa, o meglio dei cristiani, la loro incapacità di reagire, di insorgere con una coscienza che dovrebbe essere nutrita dal Vangelo. E invece devo constatare che la crisi attraversa anche la chiesa e si manifesta come diminutio: una chiesa sempre più ridotta alla diaspora e a piccole comunità che devono decidere se essere significative in un mondo di indifferenza, o diventare realtà sfilacciate fino a scomparire, o ancora rimanere come mere manifestazioni tradizionali, folcloristiche, da alcuni chiamata “religione popolare”. Uno degli obiettivi della recente inchiesta condotta da Demos, (…), era quello di mettere a fuoco le passioni degli italiani, cioè quel che agli italiani sta a cuore e ciò che è ancora significativo, importante per loro. Dai dati raccolti si evince che rispetto al 2016, dunque in otto anni, sono avvenuti alcuni mutamenti significativi, tra i quali si registra una forte caduta di interesse per il fenomeno religioso: da 72 a 60 punti su 100. Da annotare che la realtà religiosa è l’unica “passione degli italiani” a perdere quota, mentre risalgono la squadra di calcio e persino il partito politico. Tutti concordano ormai su questa diminuzione di adesione e partecipazione di uomini e donne alla chiesa, ma l’accelerazione del fenomeno negli ultimi due decenni non può non destare una certa ansia nei credenti e soprattutto suscitare domande che esigono una risposta da parte dei vescovi, dei presbiteri e anche da parte del popolo chiamato “popolo di Dio”. Resta comunque vero che la chiesa, mediatrice di fatto del Vangelo e della Pasqua di Gesù Cristo, non ha più una capacità di attrazione di ascolto delle sue parole. Solo Papa Francesco ha una voce, ma i vescovi stessi appaiono afoni e nessuno tra loro, almeno in Italia, ha acquisito in questi ultimi due decenni l’autorevolezza di cardinali come Pellegrino, Martini, Ursi, Siri, Pappalardo: una sola voce e le altre spente, o comunque senza performance, inascoltate. Ora il Papa con il suo carisma e la sua profezia raggiunge molti, ma per un’appartenenza ecclesiale ci vuole una parola nella chiesa locale, una soggettività della comunità. La chiesa dei movimenti ha perso la sua propulsione e sta per scomparire, ma se non si ritorna a una comunità locale dove si ascolta la Parola e si diventa un solo corpo nell’Eucaristia lo sfilacciamento continuerà. Una chiesa con una “Messa sbiadita”, dice l’autorevole sociologo cattolico Diotallevi, una “Messa che è finita” e una comunità che è tale di nome ma non conosce la sua essenza, che è la fraternità, non può attraversare l’attuale mutamento di portata epocale. Una chiesa al cui interno si combatte una guerra sui riti della Messa con un’epifania di cattiveria e violenza, con una nebulosa neotridentina che sui social attacca il Papa in modo indecente, e una chiesa che appare incapace di manifestare la differenza cristiana e di annunciare la buona notizia della vittoria di Cristo sulla morte. Questo induce molti a lasciarla perché non trovano più in essa né il lievito del Regno di Dio né il sale della sapienza.
venerdì 15 marzo 2024
Uominiedio. 44 Michele Serra: «Se fossi un prete, un rabbino, un imam, un sapiente indù…».
(…). Niente galvanizza le masse come i
terribili, primitivi “noi” e “loro” stratificati nei secoli dalle diverse
appartenenze religiose. Il primo scorcio del terzo millennio (dalle Torri
Gemelle in poi) è un ribadire ostinato, direi forsennato, dell’identità
religiosa come smentita evidente di ogni illusione che l’umanità sia una sola.
Non lo è; e per sommi capi, fatta eccezione per una minoranza temo
trascurabile, non ha alcuna intenzione di esserlo. Provate a immaginare il
tragico scenario mediorientale depurato dal fattore religioso; i palestinesi
senza l’islamismo di Hamas e Israele senza i suoi ministri ortodossi; uno dei
principali ostacoli, forse proprio il principale, alla comprensione reciproca e
alla pace sarebbe infine rimosso. Che questo uso discriminante e oppressivo
della religione sia avversato e disprezzato dagli agnostici, i libertari, i non
confessionali, è ovvio. Mi chiedo però come facciano a tollerarlo i credenti di
ogni fede, per i quali l’universalità di Dio dovrebbe rendere oscena e ridicola
la sua riduzione a protettore di un popolo, di una Nazione, di uno Stato.
L’idea stessa della religione è super-umana, guarda all’infinito e al cosmo,
frantuma ogni confine. Che cosa c’è di più miserabile, e di più irreligioso, di
un uso politico di Dio? Se fossi un prete, un rabbino, un imam, un sapiente
indù, starei architettando una Internazionale di Dio, che maledica e combatta ogni
forma di nazionalismo religioso. (Tratto da “Il Dio cattivo delle Nazioni” pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” di ieri, giovedì 14 di marzo).
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