martedì 25 ottobre 2022

Dell’essere. 59 Platone: «La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore».

Spicilegio”. Di seguito, “Chi sono i nostri giovani digitali?” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 24 di settembre 2022. Scrive il lettore A.B.: I nostri figli infelici ci giudicano senza profferire parola, rimangono lontani da noi, dalle nostre stonate parole e si consegnano al tempo che non misurano più negandosi come persone. Noi imperterriti continuiamo a proteggerli senza educarli alla dura fatica del crescere. Di fatto li manipoliamo come fossero oggetti di proprietà, fragili e preziosi. Con loro non osiamo usare le forbici. Non potiamo le loro fantasie inconsistenti, non li costringiamo al confronto dialettico con la realtà. Più spesso, moltiplicando le nostre e le loro paure, li lasciamo vivacchiare e nascondersi nel web. Da uno schermo all'altro, abilmente imparano ad interagire come automi. Chiusi nelle loro camerette, non disturbano, non hanno pretese e si spengono poco a poco senza darlo a vedere. Li diciamo buoni, ma sono depressi. I loro numerosi. maestri "da remoto” non li conosciamo. Stupidamente affidiamo soprattutto a loro il difficile compito dell'educazione/formazione. Da ultimo, fantastichiamo anche sul loro futuro: da grandi faranno gli ingegneri informatici; gli esperti di quel niente che tanto ci inquieta e assolve. Così, figli di nessuno e mancati eroi, percorrono le buie cantine della mente e, quando escono alla luce guardano ma non vedono, odono ma non sentono. Cuffie, tatuaggi, pantaloni strappati, amuleti dappertutto. Stravaganti e mimetici, per esserci e per non esserci. Clonati dai media, escono nel buio, quasi invisibili, irriconoscibili l'uno all'altro, costantemente storditi o anestetizzati dal fumo e dall'alcool per mantenersi sufficientemente liberi di non pensare. A***** B******

Risponde Umberto Galimberti: Se non li conosciamo più non incolpiamo la cultura digitale: qualche problema lo crea, ma non quanti l'inadeguatezza, e l'insufficienza dell'educazione che noi adulti impartiamo La descrizione (…) dei giovani d'oggi, anche se non va generalizzata, è perfetta. Non parlano più con i loro genitori, perché i loro genitori non hanno mai parlato in modo "significativo" con loro in quel breve periodo della loro vita che va dalla nascita ai 12 anni, dopo i quali le parole dei genitori diventano "parole vane", perché la comparsa della sessualità, come natura vuole, orienta le loro attenzioni e le loro relazioni, prima riservate al mondo genitoriale, al mondo dei loro amici. Ed è inutile che i genitori si diano da fare per diventare "amici dei figli", tradendo in modo irrecuperabile la loro funzione che è poi quella di essere "buoni esempi di vita". La scuola non li "educa", al massimo, quando ci riesce li "istruisce" svolgendo i programmi ministeriali. Ma come ci ricorda Platone: "La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore". E la maggior parte degli insegnanti non conosce il cuore degli studenti, le loro emozioni, i loro sentimenti, in quell'età incerta che è l'adolescenza, dove si comincia a conoscere la trasformazione del proprio corpo, l'eccesso della vita oltre la misura fino allora conosciuta. Le malinconie radicali che non si sa come contenere, i progetti che si dileguano nei sogni, i silenzi chiusi, perché i ragazzi già conoscono le parole che dal mondo adulto possono arrivare quando incrociano il loro sguardo fermo. La cultura non li seduce perché spesso è 1 offerta con la pedanteria che ne spegne la bellezza e la potenza. E non desta in loro alcun richiamo, quando invece, proprio nella cultura i ragazzi potrebbero trovare le soluzioni di tanti problemi, le vie d'uscita di tante insoddisfazioni, il rimedio a tanti dolori, perché la cultura altro non è che il grande esperimento che l'umanità ha fatto per rendere la vita più affascinante, più stimolante, più degna di essere amata. A scuola tutto questo non avviene. A differenza di quanto è accaduto ai loro padri, per i ragazzi di oggi sembra che non ci sia neppure un "futuro come promessa" in grado di motivare e di spronare anche al sacrificio, che i ragazzi saprebbero accettare se la promessa del futuro fosse credibile. La vita infatti non va avanti perché qualcuno la spinge, ma perché qualcosa la attrae. Penso che alcool e droga siano per loro, più che un piacere, un anestetico all'angoscia che avvertono quando sporgono lo sguardo sul loro futuro. E allora vivono l'assoluto presente 24 ore su 24 in presa diretta, più di notte che di giorno. Perché la notte è loro, mentre il giorno è un giorno senza promessa che noi abbiamo costruito per loro.

1 commento:

  1. "I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male". (U. Galimberti). È questo il segno più evidente del fallimento della nostra società! "Che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani? Forse l'Occidente non sparirà per l'inarrestabilità dei processi migratori contro cui tutti urlano, e neppure per la minaccia terroristica che tutti temono, ma per non aver dato senso e identità e quindi aver sprecato le proprie giovani generazioni ". (U. Galimberti). Il Professor Galimberti indica, come antidoto al nichilismo, la Cultura, perché aiuterà i giovani a conoscere se stessi, le loro virtù, le loro emozioni... Grazie di questo nuovo e meraviglioso post, che è un altro gioiello,e buona continuazione.

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