domenica 22 maggio 2022

Dell’essere. 41 «Quelle maledette armi con cui, invasori e invasi, sperano di vincere la guerra».

 

 
Tratto da “L’atroce bellezza del soldato morente” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 20 di maggio 2022: (…). …se oggi mi è tornata in mente questa tela (sopra, “Soldato morente”, secolo XVII, di incerta attribuzione n.d.r.) magnifica non è per la sua attribuzione, ma per il suo significato. Un soldato morto, o forse meglio sul punto di spirare. In una caverna, tra teschi e ossa: come un san Giorgio sconfitto dal drago. Composto come un ballerino, cui potrebbero appartenere quelle leziosissime scarpe col fiocco. È quasi l'alba, il cielo si rischiara. Ma la lanterna ha finito l'olio, si spegne: il soffio vitale è esaurito. E le bolle, in primo piano, parlano dell'umana fragilità, della facilità di spezzare una vita. In queste settimane ho pensato ogni giorno ai civili, ai genitori e ai figli, ai maestri e ai medici dell'Ucraina sotto le bombe. Ai disertori: perché è benedetto chi dice no alla guerra, in ogni modo e in ogni forma. Ma questo quadro è un epicedio per chi è caduto in armi. Quelle maledette armi con cui, invasori e invasi, sperano di vincere la guerra. Belle, scintillanti, eleganti: come una bara che chiude per sempre corpo e anima di questo soldato steso ad aspettare la morte. Ma più bello delle armi è il soldato: i suoi capelli ribelli da ragazzo, il suo profilo elegante, la sua mano ossuta e troppo grande - come succede agli adolescenti che non hanno finito di crescere. Bello: ma di una bellezza atrocemente rapita dalla morte. Come non vederci i corpi senza vita dei soldati russi, mandati al massacro da un tiranno mostruoso. E quelli dei soldati ucraini, che né il loro governo né i nostri riescono a salvare. Sono tutti uguali nella morte. Perfino quelli dei mostri che combattono su entrambi i fronti. I nazisti del battaglione Azov col sole nero sull'uniforme, e i ceceni che sembrano posseduti dalla morte anche da vivi. Ma davvero di fronte a un corpo così qualcuno riesce a parlare di eroismo e di patria, di bandiere e libertà? Ideali per vivere, non per morire. Lasciamo che a celebrarli con parole colme di menzogna siano i capi dei governi: che a morire non vanno. Noi sostiamo in silenzio, accanto a quei corpi. Tutti sdraiati così, mentre il sole sorge inutilmente e la lanterna della vita si spegne. Ha scritto Michele Serra in “Come taniche vuote”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 15 di maggio 2022: Di tutte le notizie di guerra, molte delle quali di infernale brutalità, questa dei cadaveri dei soldati russi lasciati a terra come taniche vuote, e non reclamati da Mosca, è forse la più crudele. Non ci fossero numerose testimonianze dirette, di molte fonti diverse, si stenterebbe a credere che per davvero si possa compiere un simile tradimento dei propri figli. Perché di questo si tratta: ragazzi di vent'anni mandati a morire dai loro padri e dimenticati nella polvere e nel fango. Riportare in patria quei corpi, e consegnarli alle famiglie, significherebbe ammettere che i morti russi sono molte migliaia, forse dieci volte più delle cifre ufficiali. La cura dei morti è antica come la civiltà umana. Esprime pietà per chi abbandona la vita e contiene, al tempo stesso, la speranza che il viaggio continui in un altro mondo. Soprattutto per questo in tutte le culture le pratiche di sepoltura sono così accurate: è un lungo viaggio, e ci si deve presentare in ordine. Specialmente per chi ha fede, o dice di averla, abbandonare ai corvi e ai topi un cadavere è un sacrilegio. Chissà se ha qualcosa da dire in proposito il patriarca Cirillo, ammesso che trovi il tempo, tra una benedizione della guerra "in difesa dei valori tradizionali" e una maledizione dell'Occidente corrotto, di fare finalmente il prete, e ricordarsi di portare i sacramenti ai defunti, e dare loro sepoltura. Perché quei cadaveri abbandonati fanno pensare, inevitabilmente, che dei valori tradizionali, ai capi della Russia, non importi un bel niente. Paradossale che tocchi a noi miscredenti ricordare al patriarca il suo mestiere.

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