domenica 18 giugno 2017

Quodlibet. 3 “Le voragini della democrazia italiana”.



Da “Le voragini della democrazia italiana” di Andrea Manzella, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 18 di giugno dell’anno 2013: (…). La democrazia italiana sta male non solo perché ci sono due Camere invece di una o perché i parlamentari sono 1000 e non 500. Ma perché le si sono aperte dentro due immense voragini. Una è quella che ormai separa le istituzioni rappresentative dalla cittadinanza concreta, l’altra è quella che si è creata tra il principio di maggioranza politica e il principio di competenza tecnica. La prima scollatura ha determinato la crisi del rapporto tra i mondi vitali (interessi, speranze, volontà) della gente qualunque e la rappresentanza collettiva che se ne ha nelle istituzioni. L’altro vuoto, quello tra maggioranza elettorale e competenze, ha portato alle varie storture: la necessità di governi tecnici senza vere basi politiche, l’egemonia di una amministrazione pubblica autoreferenziale, la formazione di gruppi parlamentari “per caso”. Alla radice di questi aspetti di dissesto democratico vi è la fine del partito politico di massa: collettore di bisogni, organizzatore sociale, promotore e animatore delle conoscenze tecniche intorno a progetti di progresso comunitario. È accaduto che, ad un certo punto, l’andamento del mondo è stato più rapido della capacità culturale del partito politico,uscito dalla storia dell’800, di adeguarsi ai mutati orizzonti. Rattrappito su se stesso, non ha più capito niente e si è fatto sommergere dalla società com’era diventata. Il suo posto è stato preso da non-partiti, i partiti “personali”. Oppure da qualcuno che si è appropriato dell’antico marchio come bene pubblicitario utilizzabile nel mercato elettorale. In altri casi sono nati partiti elettorali programmati per “non essere partiti”. In un unico caso – quello del Pd – è sopravvissuta la trama di un insieme a cui con straordinario sforzo di memoria e di fiducia ancora si reggono “militanti” in attesa di parole e tempi nuovi di ritrovamento. (…). …la cittadinanza del “cittadino” qualunque non può esaurirsi, di tanto in tanto, e sempre più svogliatamente, nel momento elettorale. Essere cittadino ogni giorno vuol dire farsi carico dei problemi concreti che quotidianamente lo coinvolgono e che le istituzioni rappresentative sempre più fanno fatica a risolvere, da sole. Dalle minute questioni di prossimità (la scuola, la strada, il decoro urbano, la sicurezza del quartiere. ..) a quelle grandi della comunità più larga ( l’opera pubblica interregionale,il rapporto tra fabbrica e ambiente, la bioetica, persino: come nella Francia del débat public...). (…).

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