"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 13 giugno 2021

Virusememorie. 74 Boris Cyrulnik, neuropsichiatra: «C’è un’usura dell’anima».

 

Tratto da “Quell’usura dell’anima che obbliga a cambiare” di Bernardo Valli, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 7 di febbraio 2021: Alla fine dello scorso anno s’era aperto uno spiraglio: il 2021 sarebbe stato liberato dal coronavirus grazie a un vaccino, anzi dai vaccini già pronti o in preparazione. Nel frattempo, sono tuttavia spuntate le varianti del killer e le statistiche danno l’impressione che la sua velocità nel diffondersi non sia seriamente diminuita. Né sia sul punto di esserlo. I nostri governi, quelli europei, quando modificano i regolamenti sembrano intimoriti al tempo stesso dalla pandemia e dagli umori delle loro opinioni pubbliche vicine alla collera. I vaccini arriveranno un giorno nella quantità richiesta dalla situazione, ma nell’attesa i contagi e le morti continuano a incupire l’orizzonte. Le certezze rassicuranti enunciate dalle fonti pubbliche suonano puntualmente come dichiarazioni zigzaganti, che alimentano, non attenuano le angosce. Le incertezze creano un’atmosfera di malinconia che avvolge strati sempre più ampi della società: chi perde il lavoro anzitutto, la cui malinconia è drammatica; e tutti i settori associati all’arte di vivere: dai teatri, ai cinema, ai musei, ai negozi, a molte scuole, ai bar, ai ristoranti che aprono a singhiozzo sfidando a volte i regolamenti per sopravvivere. I giovani si sentono privati della loro giovinezza. Gli anziani si sentono sul punto di essere stroncati dai troppi anni che li rendono vulnerabili. Lo scontento ha già cominciato a riempire alcune piazze. Sono segni, ancora esitanti, della collera che cova sotto la malinconia. Un neuropsichiatra, Boris Cyrulnik, con le sue opere ci ha illuminato sulla grande influenza dell’ambiente sul nostro cervello: clima e geografia, violenza e dolcezza, parole ed emozioni. Adesso sostiene che abbiamo affrontato bene il primo confinamento per contenere l’epidemia. La gente ha reagito, anche con humor, sui social network, organizzando rituali dibattiti, che riguardavano persino la cucina, nell’isolamento imposto dal coronavirus. Sempre secondo il professor Cyrulnik la situazione è però cambiata: siamo entrati in una fase di intorbidimento psichico provocato dalla ripetizione degli argomenti usati per evadere dall’ angoscia. Dice: «C’è un’usura dell’anima». La percezione della morte è mutata, è più presente nei nostri pensieri. La psicologa, specialista delle relazioni sociali, Dominique Picard sottolinea la rassegnazione e la stanchezza. Sostiene (sul Figaro) che «cambiare le abitudini» è una necessità vitale. Non sapendo quanto tempo durerà questa situazione non bisogna limitarsi ai rapporti casalinghi, come se la vita limitata a quella della famiglia avesse un carattere carcerario: è necessario, ad esempio, camminare nel proprio quartiere, per scoprire quel che in tempi normali non avevamo avuto l’occasione di vedere, tanto eravamo affaccendati. Non sapendo quanto tempo ci vorrà per eliminare il virus che ci minaccia, non si deve restare prigionieri delle piccole cose del nostro passato che abbiamo perduto. Bisogna saper vivere nello spazio consentito. Un altro psicologo, Boris Charpentier, suggerisce di adeguarsi alla situazione dedicandosi alla ginnastica, studiando lingue straniere, imparando a suonare uno strumento. La Picard, come Charpentier, non sembra badare “all’usura dell’anima” di cui parla il neuropsichiatra Boris Cyrulnik. Né alla collera che cresce in larga parte della società, la quale non può permettersi di studiare musica o lingue straniere per occupare il tempo durante il confinamento, ma deve cercare di sopravvivere perché l’inattività significa, per molti, anche mancanza di lavoro e quindi di un reddito, di un salario.. Nel mondo non prevale la stessa morale. È dubbiosa, incerta in quasi tutte le contrade ed è tutt’altro che unanime. Nei paesi ricchi e democratici prevale l’imperativo di salvare le vite umane. Anche tra gli Stati autoritari, repressivi, poveri, ve ne sono con identici obiettivi. Ma non sono molti. Agire per salvare le vite significa applicare strette regole di confinamento, o provvedimenti affini che colpiscono inevitabilmente l’attività economica. È il prezzo per salvare vite umane. È la condotta legittima, per la nostra morale, che non è condivisa da tutti i paesi in cui si vuole anzitutto salvare il commercio, l’economia, più delle esistenze di uomini e donne. Il giudizio non è cosi semplice, perché nei paesi poveri frenare l’attività economica equivale a sacrificare la popolazione più indigente. La lotta contro il Covid-19 può uccidere come il Covid-19. Il mondo che uscirà da questa crisi forse non sarà più lo stesso.

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