"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 2 giugno 2021

Eventi. 45 Bobbio: «Intendiamoci, il fascismo, il fascismo storico, non è un pericolo. Ma è peggio che un pericolo: è una vergogna».

 

Nella ricorrenza del settantacinquesimo della Repubblica Italiana il quotidiano “la Repubblica” dell’1 di giugno 2021 ha riportato un estratto – “Ora e sempre antifascisti” – dal discorso (inedito) che Norberto Bobbio tenne per l’evento del 2 di giugno dell’anno 1976: Vi è ancora un punto in cui lo spirito della Costituzione è stato continuamente violato: la sopravvivenza del fascismo. Questo marchio d’infamia della storia italiana avrebbe dovuto da tempo essere cancellato. La sopravvivenza del fascismo, (…), è contraria non soltanto allo spirito della Costituzione, che è nata dall’antifascismo militante, ma anche alla lettera. Non vi è articolo della nostra carta costituzionale che sia stato più calpestato che l’art. XII delle disposizioni transitorie il quale aveva solennemente e seccamente proibito «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Intendiamoci, il fascismo, il fascismo storico, non è un pericolo. Ma è peggio che un pericolo: è una vergogna. Dobbiamo chiedere e lo chiederemo sino a che avremo fiato, che questa vergogna sia lavata per sempre. Verremmo meno a un preciso dovere se (…) non riaffermassimo che nell’Italia repubblicana e democratica non c’è posto per il fascismo, che l’attuazione della Costituzione passa anche per la fine della incredibile tolleranza, di cui abbiamo ogni giorno inconfutabili prove, per i fascisti e i loro alleati. Se la cerimonia del 2 giugno ha un significato, questo non può essere altro che quello di riconfermare il patto costituzionale. Nonostante tutto, la nostra Costituzione ha dimostrato, (…), una notevole vitalità. Nella storia delle Costituzioni, trent’anni di vita sono già una buona prova. Tentativi eversivi seri, voglio dire veramente pericolosi, non ve ne sono sinora stati. Possiamo deplorare che ve ne siano stati e denunciare il fatto che la vigilanza di chi aveva l’obbligo di proteggere i nostri istituti democratici da tentativi di sovvertimento è stata spesso tutt’altro che esemplare. Ma la libertà non muore sino a che, come diceva Machiavelli, il popolo ci tiene sopra le mani. Ora credo fermamente che il nostro popolo abbia sinora tenute le mani sulla libertà e sia disposto a farlo anche per l’avvenire. Direi che anche sul fronte della proposta di riforme della Costituzione non vi siano stati movimenti di grande rilievo. Ogni tanto si affaccia qualche proposta. Ma non fa passi avanti. A ogni modo si tratta pur sempre più di ritocchi che non di mutamenti radicali. Insomma, la Costituzione ha tenuto. Non ci nascondiamo che attraversiamo un momento delicato. Ma a ben guardare si sente ogni giorno parlare di crisi economica, di crisi morale, di crisi politica, ma non mi pare si parli con altrettanta insistenza di una crisi costituzionale. La Costituzione è pur sempre il quadro di riferimento in cui si iscrive ogni proposta di nuove alleanze, di un nuovo blocco storico, in termini più tecnici, l’efficacia nel tempo di una Costituzione è il fondamento di legittimità di un sistema politico. Ora, nonostante la presenza attiva di una destra eversiva e la formazione di una sinistra rivoluzionaria, la legittimità del nostro sistema politico non è posta in discussione dalla stragrande maggioranza del popolo italiano. Tutti sono convinti che la situazione sia grave. Ma mi pare altrettanto generale la convinzione che la più grande iattura che potrebbe capitare al paese sarebbe quella di non riuscire a superare la prova mediante i rimedi previsti dalla Costituzione. Il processo di delegittimazione del sistema, che dovrebbe cominciare dal ripudio della Costituzione nella sua ispirazione democratica, non si è allargato, nonostante la culpa in vigilando, come direbbe un giurista, della nostra classe politica. Mi pare che il qualunquismo nazionale, che pur esiste e con cui dobbiamo pure fare i conti, contesti più gli uomini che il sistema. Badate, io non sono per temperamento un ottimista. La nostra generazione ne ha viste troppe per credere di vivere nel migliore dei modi possibili. Ma per quel che riguarda l’avvenire della democrazia nel nostro paese, sono disposto a fare una scommessa. Certo occorre un impegno severo. Soprattutto occorre non accontentarsi del già fatto. Bisogna essere sempre scontenti, aprire nuovi varchi alla partecipazione dei cittadini, al controllo dal basso, non avere paura di estendere il potere popolare a tutti i livelli. È necessario rendersi conto che i difetti della democrazia si correggono soltanto con la democrazia. Chi crede di correggerli in altro modo o è uno che non ragiona o è un illuso. Se un giorno la storia gli dovesse dare ragione, sarebbe il primo a pentirsene. Facciamo benissimo ad essere critici e anche non indulgenti, ma dobbiamo anche essere tanto onesti da confrontare il passivo con l’attivo, le ombre con le luci. E anche se il passivo dovesse superare l’attivo, guai se ci lasciassimo prendere dalla tentazione di fare tabula rasa, di ricominciare da capo. Una delle grandi virtù del metodo democratico e quello di permettere di correggere gli errori del sistema senza cambiare il sistema. L’autoregolazione del sistema è ciò che contraddistingue un regime democratico da uno autocratico: una dittatura non può essere corretta, può soltanto essere eliminata. Sono cose elementari, di cui credo la maggior parte degli italiani, più o meno chiaramente, siano convinti. Ma conviene ripeterle, perché nei momenti difficili qualcuno può di nuovo credere alle scorciatoie. A causa del mio mestiere io sono continuamente in contatto coi giovani. Sono persuaso della validità e della fondatezza della maggior parte delle accuse che muovono a tutta la nostra classe dirigente (professori inclusi). Non hanno peli sulla lingua. Sono ancora incorrotti e credono nella incorruttibilità. Sono meno persuaso dalla scelta che alcuni di essi fanno dei rimedi. Molti di essi credono nel fuoco purificatore. Ma la differenza fra il fuoco purificatore e il fuoco distruttore non mi è chiara. E quasi sempre nella storia l’uno si è convertito nell’altro. Preferisco il fuoco lento che scalda senza bruciare. L’importante è non lasciarlo spegnere. L’importante è non lasciarlo spegnere! Quest’anno l’anniversario del 2 giugno cade pochi giorni prima delle elezioni generali politiche, di una competizione elettorale di cui è vano nascondersi l’importanza. Le elezioni generali politiche sono l’ora della verità di una Costituzione democratica. I pericoli permanenti di ogni regime democratico sono due: l’indifferenza, ciò che i sociologi chiamano l’apatia politica, e la manipolazione del consenso, ovvero la mancanza di partecipazione e la partecipazione distorta da una propaganda informata allo spirito della crociata, fondata sull’intimidazione, sul ricatto, richiamantesi all’immagine dell’ultima spiaggia. Contro questi due pericoli l’unico rimedio è in noi stessi, nella nostra maturità di cittadini, nell’impegno personale e nella responsabilità individuale, nel rifiuto di delegare altri al nostro posto. Alla democrazia non si confà lo spirito della crociata, perché dopo un governo, se la democrazia è reale e non fittizia, ne viene un altro e dopo quest’altro un altro ancora, senza che le linee maestre della Costituzione in cui gli uni e gli altri operano debbano essere alterate. In una democrazia, se questa costituisce il quadro generale in cui si muovono secondo le proprie tendenze le varie forze politiche, non ci può essere mai l’ultima spiaggia. Chi parla di ultima spiaggia vuol dire che ha già perduto la fiducia nella suprema regola secondo cui, quale che sia il mutamento del governo, il sistema generale, entro cui si muovono i vari organi predisposti al funzionamento della macchina statale e alla formazione della volontà collettiva, non muta. Quale migliore augurio possiamo formulare oggi nel trentesimo anniversario della fondazione della Repubblica che quello di segnare con le prossime elezioni una nuova tappa del faticoso e difficile cammino del rafforzamento e dell’allargamento della nostra democrazia? Una nuova tappa cui ne seguiranno altre nel progresso continuo e irreversibile verso una società più giusta e più umana? Una tappa, non un traguardo. Credo che nulla sia più esiziale allo spirito della democrazia che le visioni catastrofiche, le profezie apocalittiche, gli appelli disperati, le invocazioni da fine del mondo, gli ultimatum che preludono a una guerra di sterminio. L’unico modo per far vivere uno stato democratico è quello di rispettarne il principio fondamentale secondo cui il consenso deve essere periodicamente verificato e non vi è altro mezzo per verificarlo se non la libera e consapevole espressione del proprio voto. Attraverso il libero voto la Repubblica è nata trent’anni fa. Non morrà sino a che continueremo a sostenerla col nostro libero voto. Dalla libertà è nata, di libertà vivrà.

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