"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 9 maggio 2021

Paginedaleggere. 17 «C’è un solo modo per ridurre l’inquinamento: produrre di meno e consumare di meno».

A lato. "Mare calmo", acquerello (2021) di Anna Fiore.

Ha scritto Michele Serra in “Quelle spennellate di ecologia”, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 7 di maggio ultimo: «Non ho risposte “tecniche” (…) e diffido della mia incompetenza in materia. Ma credo, (…), che circoli un’idea molto disinvolta su come rimediare ai guasti prodotti dalla paurosa antropizzazione del Pianeta, come se bastasse “spennellare di ecologia” un sistema strutturalmente rapinoso ed incauto. Esiste sicuramente una riconversione industriale green più sostenibile e previdente, esistono imprenditori che ci credono e si danno da fare. Ma dietro di loro c’è un codazzo di semplificatori e di profittatori che con due slogan cercano di mettere in pace i conti e la coscienza. (…). Penso, (…), che la più profonda ed efficace riconversione sarebbe quella delle nostre abitudini di vita. Imparare a considerarci cittadini e non consumatori. Non si tratta di decrescita, anche se piatti un po’ meno debordanti ci aiuterebbero a ritrovare la giusta misura. Si tratta di crescita della nostra qualità di abitanti della Terra». Tratto da “Inquinare meno, consumare meno” di Massimo Fini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di sabato 8 di maggio 2021: (…). È tipico della società contemporanea scoprire cose che esistevano già fingendo, o illudendosi, che siano nuove. Per secoli i popoli dell’Africa Nera hanno vissuto di economia di sussistenza, autoproduzione e autoconsumo, si cibavano cioè di ciò che producevano. Più corta di così? Sul piano alimentare utilizzavano lo scambio solo eccezionalmente e nella forma del “baratto puro”. Così uno scrittore del regno africano del Dahomey ricorda, con nostalgia, la natura del “baratto puro” quando il denaro, che in quella parte del Continente nero fece la sua comparsa piuttosto tardi, nel XVIII secolo, non esisteva ancora: “In quei giorni non vi era moneta. Se volevi comprare qualcosa e tu avevi sale e un altro aveva grano, tu gli davi un poco di sale e lui ti dava un poco di grano. Se tu avevi pesce e io avevo pepe, io ti davo pepe e tu mi davi pesce. In quei giorni esisteva soltanto il baratto. Niente moneta. Ciascuno dava all’altro ciò che aveva e ne riceveva ciò di cui aveva bisogno”. Che cosa aveva determinato il cambiamento lamentato dallo scrittore del Dahomey? Quando i primi colonizzatori arrivarono da quelle parti misero una tassa su ogni capanna, così l’agricoltore era costretto a produrre un surplus e ad entrare quindi in quel sistema economico occidentale che conosciamo molto bene. Nonostante ciò i popoli africani resistettero a lungo. Ai primi del Novecento l’Africa era alimentarmente autosufficiente. Adesso c’è tutto un pruriginoso e ipocrita movimento per “salvare l’Africa”. L’Africa stava molto meglio quando si aiutava da sola. Ancora nel 1961 era, in buona sostanza, autosufficiente, al 98%. “Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dalla integrazione economica – prima era considerata un mercato del tutto marginale e poco interessante – le cose sono precipitate. L’autosufficienza è scesa all’89% nel 1971, al 78% nel 1978” (Il vizio oscuro dell’Occidente, 2002). Per quello che è successo dopo non sono necessarie statistiche, basta osservare l’enorme flusso di emigranti, ridotti alla fame, che pur di arrivare in Europa sono disposti ad attraversare la Libia, a rischiare la morte, e spesso a trovarla, sui gommoni degli scafisti che non sono i protagonisti di questa tragedia, i veri protagonisti siamo noi occidentali. Sono state scritte intere biblioteche sui crimini del comunismo, che ovviamente ci sono stati e ci sono, ma verrà pure un giorno in cui qualcuno dovrà scrivere un libro sui crimini dell’industrial capitalismo, del turbocapitalismo, che riescono ad essere ancora peggiori di quelli. Agli inizi di aprile gli Stati appartenenti al gruppo del cosiddetto G20, cioè i venti paesi più industrializzati del mondo, resisi conto che stiamo assassinando l’ecosistema, cioè la terra su cui abitiamo, hanno organizzato l’ennesima riunione per ridurre i danni dell’inquinamento ambientale. Chi dice entro il 2030, chi entro il 2050. Di qui la litania, in atto da qualche anno, del bio, del green, della filiera corta, delle macchine all’idrogeno, delle macchine elettriche, della riduzione di CO2. Quand’anche fossero in buona fede, e ci credo pochissimo, son tutte balle, luride balle. Perché qualsiasi energia, foss’anche la più pulita, se usata in modo massivo è inquinante. Perché ha bisogno di un’altra energia che la inneschi. Prendiamo le auto all’idrogeno. In teoria l’idrogeno è il combustibile ideale. In natura esiste in quantità enormi e la sua combustione genera come residuo soltanto acqua. L’estrazione dell’idrogeno, però, richiede energia, quindi la sua convenienza dipende da quanta energia si consuma per estrarlo e – ancora una volta – da come questa energia viene prodotta. Oggi la maggior parte dell’idrogeno in commercio è un prodotto secondario della lavorazione degli idrocarburi. È il metodo più economico ma anche quello più inquinante: si generano svariate tonnellate di CO2 per ciascuna tonnellata di idrogeno prodotta. Altro problema è quello relativo alle fonti rinnovabili, in particolare l’eolico e il fotovoltaico: coprire il mondo di pale eoliche e di pannelli fotovoltaici non lo rende, (…), un posto migliore. Perché la costruzione e poi lo smaltimento di pale e pannelli comporta a sua volta un impatto ambientale. C’è un solo modo per ridurre l’inquinamento: produrre di meno e consumare di meno. Cioè, in pratica, scaravoltare l’attuale modello di sviluppo che si basa sul consumo. Siamo arrivati al punto paradossale che noi non produciamo più per consumare, ma consumiamo per poter produrre. In questo il Covid (non subito perché adesso ci sono singole imprese o singoli individui in situazioni economiche disperate) potrebbe tornarci utile. In un anno di lockdown abbiamo imparato a ridurre i consumi a ciò che veramente riteniamo essenziale. Prendiamo, a solo titolo di esempio, il vestiario. Non è necessario avere nell’armadio cento vestiti e duecento paia di scarpe – in questo caso parlo soprattutto alle donne – per sentirsi a proprio agio e sufficientemente eleganti. Non è necessario avere quattro televisori in casa. Non è necessario avere quattro automobili. E così via. Ciascuno può ridurre quei consumi che lo interessano di meno. Se ciascuno di noi fa queste scelte, automaticamente, in via generale, si ridurranno consumi e produzione. E in questo modo si risolverà anche la questione che mi pose lo storico Carlo Maria Cipolla quando gli prospettai questa ipotesi: “Ciò che è essenziale si differenzia da individuo a individuo. Per lei, magari, essenziali sono i libri, per altri beni molto diversi” (Scienza Amara, Pagina, 18 marzo 1982). Va bene. Ma se ciascuno di noi consuma solo ciò che per lui è veramente essenziale, e quindi senza ledere la libertà di scelta dell’individuo, si otterrà ugualmente una generale riduzione dei consumi marginali. Ma dubito molto che ci arriveremo mai. L’uomo è un animale troppo stupido. Prima di tentare Eva con la mela della conoscenza Satana si rivolse al leone e il leone reagì con un ruggito così potente che mandò Satana a ruzzolare per le terre. Allora Satana capì che aveva sbagliato il bersaglio e si rivolse al soggetto più debole (…). E oggi impera nel mondo.

1 commento:

  1. "Sono sempre più facilmente disgustato dal fatto che stiamo vivendo in questa società impegnata a farci spendere sempre più di quanto dobbiamo, o di quanto dovremmo, per cose di cui non abbiamo realmente bisogno o che non vogliamo, e che inoltre ci sta uccidendo lentamente, mentre si riempiono tutte le discariche e fa cantare sempre meno gli uccelli ".(John Updike). " La prossima volta che ti viene voglia di lamentarti per qualcosa, ricordati che il tuo bidone dell'immondizia probabilmente è nutrito meglio del trenta per cento della popolazione mondiale ". (Robert Orben). " La ricerca di un consumo crescente ha condannato l'umanità ad essere schiava del lavoro ed ha prodotto un inquinamento ambientale di una tale portata da compromettere l'intero ecosistema, mettendo in dubbio la sopravvivenza stessa del genere umano".(Mirco Mariucci). Carissimo Aldo, grazie per il messaggio molto incisivo che comunica questo post eccezionale. Penso che sia veramente arrivato il momento di cambiare rotta, evitando tutti gli sprechi, per ridurre l'ingente carico di rifiuti... Necessita una responsabile presa di coscienza che anteponga alla logica del profitto lo sviluppo sostenibile. Grazie ancora e buona continuazione.

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