"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 1 aprile 2021

Notiziedalbelpaese. 05 Conte vs Angela Merkel: «“State guardando alla realtà di oggi con gli occhiali di dieci anni fa”».

Ha scritto Michele Serra in “Un Paese a breve termine” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 18 di settembre dell’anno 2020: (…). Non so (…) se anche nel dopo-Covid, con una ripartenza così fortemente finanziata, “tutto sarà come prima”. Ma è ragionevole essere pessimisti, (…). Ma qualche cosa, forse, è possibile fare. È decisiva, io credo, la lotta culturale e politica contro quell’avverbio, “a breve”, (…): quasi tutto ciò che noi facciamo è “a breve”, privo di prospettiva, di respiro, di sguardo, e questo è il problema numero uno. Sfruttare i campi (e le persone) a breve senza chiedersi che cosa ne sarà nel tempo. Fare profitto a breve, vedere i risultati a breve, spremere il mondo a breve, consumare le risorse a breve, avere soddisfazione a breve. Così funziona il turbo-capitalismo dei nostri anni. E così funziona, ahimé, anche la politica, che punta ad avere voti oggi e quasi mai osa dire “domani”. Con conseguenze gravi anche dal punto di vista culturale e psicologico: è il concetto stesso di futuro, se la prospettiva è sempre “a breve”, a perdersi (…). Tratto da “La solitudine del maratoneta” di Barbara Spinelli, pubblicato su «il Fatto Quotidiano», del 30 di marzo 2021: La popolarità di Giuseppe Conte, anche dopo la caduta del suo governo, continua a essere un enigma strano e dunque incomprensibile per gran parte dei giornali. Possibile che susciti tanti consensi, questo dilettante buttatosi in politica pur essendo sprovvisto di Visione e addirittura di Anima? Il conformismo retorico, l’incredulità, la mancanza di curiosità regnano sovrani nella grande stampa italiana, e trasfigurando Mario Draghi lo usano e ne abusano. I commentatori spesso fanno politica invece di esplorare. (…). Mi soffermo su due momenti decisivi nel cammino di Conte, che sono stati la pandemia e l’Europa. Sono momenti che possono essere ricostruiti passo dopo passo (…). Il Covid innanzitutto, e cioè la parte più disconosciuta e inesplorata della sua popolarità. Conte è infatti divenuto popolare nonostante abbia inflitto sofferenze enormi agli italiani, con il lockdown (il primo in Europa) e le chiusure mirate che hanno tenuto a bada la pandemia. Proprio in occasione di quest’esperienza frastornante – la protezione della vita, unita a restrizioni della libertà mai viste nella storia repubblicana – tanti italiani hanno visto in Conte “l’avvocato del popolo”. Hanno apprezzato la sua straordinaria empatia, e la costante adesione ai pareri dei principali tecnici e scienziati: un’attitudine umile e feconda che lo distingue da Emmanuel Macron e che ci ha risparmiato gli innumerevoli, letali errori del capo di Stato francese. Hanno stimato le sue conferenze stampa e i suoi discorsi, che i giornalisti mainstream ricordano con irritazione, mettendoli a confronto con le abitudini oratorie di Mario Draghi. L’empatia non andava a caccia di “consenso sui social”, come affermò Matteo Renzi quando sfasciò il governo, ma era il laccio che teneva legati governanti e governati in un terribile momento della storia mondiale. Abissale e niente affatto machiavellica è l’ignoranza di questo momento mostrata dal capo di Italia Viva. Il secondo momento è quello europeo. Secondo la vulgata, oggi abbiamo un presidente del Consiglio che può “battere i pugni sul tavolo” nell’Ue, visto che per anni ha presieduto la Banca centrale europea. La storia è ben diversa, se ripercorriamo il cammino di Conte nell’anno del Covid. Il piano Next Generation non è nato improvvisamente il 18 maggio scorso, quando Macron e Merkel hanno annunciato la messa in comune dei debiti nazionali. Si dimentica quel che ha preceduto il cruciale vertice franco-tedesco: l’ostinato, indefesso sforzo di Conte per convincere la Germania a superare l’antica avversione per il debito comune e gli eurobond, ad abbandonare la strategia dell’austerità che aveva piegato e umiliato la Grecia. Le tappe di questo sforzo sono (…): dapprima la consapevolezza – già presente nel Conte 1 – che l’austerità era stata una strategia rovinosa per l’Unione. Poi il tentativo di far capire in Europa che i cosiddetti populismi andavano esplorati e capiti (compreso quello dei Gilet gialli, aggiungerei), perché esprimevano malcontenti dei cittadini cui bisognava dare risposte non ortodosse. Poi il dialogo con Angela Merkel e lo sforzo di spiegarle come mai l’Italia non chiedeva il Mes, ma il superamento – tramite il comune debito europeo – dei dogmi neoliberisti. “Il Mes è lo strumento che abbiamo – replicò la Cancelliera in uno dei vertici – “non capisco perché tu voglia minarlo”. Al che Conte: “State guardando alla realtà di oggi con gli occhiali di dieci anni fa. Il Mes è stato disegnato nella crisi dell’euro per Paesi che hanno commesso errori”. La pandemia colpiva tutti, veniva da fuori ed era simmetrica: doveva finire nell’Ue lo scontro distruttivo fra creditori e debitori, tra “frugali” e “spreconi”. Mentre rifiutava i prestiti del Mes, Conte tesseva dunque la sua tela. Anzi, li rifiutava per meglio tessere l’alternativa: come Spagna e Portogallo, solo che questi Paesi non sono stati colpiti come in Italia dalla marea retorica pro-Mes. All’inizio era solo. Poi il 25 marzo 2020 convinse sette governi europei a firmare una lettera a Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, in cui si chiedeva un nuovo strumento per fronteggiare i disastri del Covid e preparare insieme “il giorno dopo”. La lettera può essere letta come manifesto programmatico del Recovery Plan e fu firmata da Francia, Spagna, Belgio, Grecia, Portogallo, Irlanda, Lussemburgo, Slovenia. “Non stiamo scrivendo una pagina di un manuale di economia – così Conte – stiamo scrivendo una pagina di un libro di storia”. Alla fine la pagina fu scritta, e Berlino accettò quello che non aveva mai accettato, e che ancor oggi purtroppo crea problemi: la messa in comune del debito, di nuovo contestata – nei giorni scorsi – dalla Corte costituzionale tedesca. Il Recovery Plan e i 209 miliardi di euro per l’Italia (prestiti e sovvenzioni a fondo perduto), sono stati decisi il 21 luglio 2020. Conte era solo quando si batté per un’Europa solidale: “Si è mosso bene dentro un consesso di lupi”, scrisse lo storico Marco Revelli, (…). Era solo quando decise (contro il parere di chi gli era vicino), di andare a Taranto per parlare con chi lavora all’Ilva e al tempo stesso soffre gli effetti tossici dell’acciaieria. Era solo quando aprì alla Via della Seta cinese e rifiutò la guerra fredda con Mosca (forse paga anche per questo). Era solo in occidente quando annunciò il lockdown, il 20 marzo 2020. Parlando alla Bbc, spiegò il ritardo: l’Italia non è la Cina, “da noi limitare libertà costituzionali è stato un passaggio fondamentale che abbiamo dovuto ponderare, valutare attentamente. Se avessi proposto un lockdown o la restrizione delle libertà costituzionali all’inizio, quando avevo i primi focolai, mi avrebbero preso per pazzo”. Questa somma di solitudini non è piaciuta ai poteri mediatici, che si son fatti portavoce di altri poteri, nazionali e transnazionali. Ma lo si deve a lui, se l’Italia piagata dal Covid sarà aiutata e non sarà sola, “il giorno dopo”.

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