"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 2 marzo 2021

Paginedaleggere. 03 «Se la parola non è più affidabile, in cosa noi uomini possiamo mettere fiducia?».

 

A lato. "L'acrobata" (2020), acquarello di Anna Fiore.

Ha scritto Michele Serra in “La resurrezione del silenzio”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 18 di febbraio 2021:

(…) …si parla solo se si ha qualcosa da dire. Non so se vi rendete conto. È la rivoluzione. È il contrario preciso dello status quo. È la sovversione della ciancia ininterrotta che domina la Polis. È un chiudi-il-becco che vale una Pentecoste, è igiene mentale, è la liberazione del silenzio dalla spelonca nel quale era stato rinchiuso. Ed è, soprattutto, un’indicazione pietosa per i confusi, gli smarriti, i dannati del clic e del “vado in onda”, coloro che hanno creduto che fare politica significhi twittare una belinata all’ora, postarsi mentre si mangia la Nutella, dire ogni giorno, in tutti i telegiornali, “mi piace il governo” se si è al governo, “non mi piace il governo” se non si è al governo, che uno li vede da casa e pensa: chi l’avrebbe mai detto. Dev’esserci stata una certa confusione, negli ultimi anni, tra il mito della trasparenza e l’idea, veramente perversa, che TUTTO sia di interesse pubblico, dall’ultima opinione risaputa e rimasticata alla prima ovvietà che viene in mente di fronte a una telecamera accesa. Non è per caso che si passa buona parte della vita in luoghi in cui, oltre alle finestre, ci sono anche i muri. Servono, i muri, a proteggere le nostre lunghe ore di impresentabilità. E soprattutto a proteggere gli altri dallo spettacolo, mortificante, della nostra impresentabilità. Tratto da “La disciplina della parola” di Enzo Bianchi, già priore della comunità di Bose, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 15 di febbraio 2021: Assistiamo ogni giorno all'imporsi di una parola che appare contradditoria: smentisce sé stessa! Ciò che una persona dice e promette è sconfessato dalla persona stessa poco dopo. Ed è inutile denunciare questa incoerenza, questo omicidio di una parola da parte di un'altra parola, perché o c'è poca memoria o non si dà peso alla lealtà e alla verità di ciò che si è detto. E se la parola non è più affidabile, in cosa noi uomini possiamo mettere fiducia? Sovente sono costretto a mormorare dentro di me dopo aver ascoltato: "Non è possibile". Affermare oggi il contrario di quello che si è detto ieri! Accade in politica innanzitutto ma poi c'è una ricaduta nella vita di tutti i giorni, dove regna ciò che deve essere chiamato menzogna, mancanza di un'etica della parola. È dalla parola data con chiarezza e lealtà che impariamo la fiducia tra noi umani, ma se questo non è più possibile allora c'è posto solo al pensare a sé stessi e al lasciar crescere il rancore per il dominio della parola falsa, come dice il salmo: "Non c'è più chi è fedele. Tra gli uomini è scomparsa la lealtà. L'uno all'altro dicono menzogne, labbra adulatrici parlano con cuore sdoppiato". Quando manca di verità e di libertà, la parola crea corruzione e morte nei rapporti interpersonali. Tutti conosciamo questa triste deriva per esperienza: nelle storie d'amore, in famiglia, nei rapporti di lavoro e nella vita sociale. Se non si è sinceri, i rapporti degenerano e finiscono. Accanto alla parola contraddetta sta sempre anche la maldicenza: questa tentazione viene dal desiderio che gli altri parlino bene di noi, dalla pulsione ad abbassare gli altri per innalzare noi stessi. Proporzionalmente all'egocentrismo, cresce l'esercizio della maldicenza. Se gli altri sono apprezzati, l'egocentrico tenta di eliminarli, insinuando maldicenze. Queste giungono poco a poco fino alla calunnia, la falsa imputazione del male a un altro. "Calunniate, calunniate: qualcosa resterà!"... Il malato di narcisismo passa dalla maldicenza alla calunnia, fino a pervertire la realtà: il bene compiuto dall'altro è da lui giudicato come male. Questo per affermare il proprio potere ed escludere qualsiasi concorrenza. Non si pensi che la calunnia sia limitata alle circostanze in cui produce conseguenze legali, ma va riconosciuta nella banalità della menzogna quotidiana: pettegolezzi, mormorazioni, diffamazione. E quando la menzogna si diffonde - soprattutto oggi attraverso i media -, non solo la fiducia è ferita, ma si affermano la diffidenza, la paura, la ricerca dell'immunitas che sconfigge ogni vita comune. Un altro responsabile della maldicenza è chi la ascolta! Prestare orecchio alla maldicenza, accogliere diffamazioni non è atteggiamento passivo. Alla maldicenza occorre resistere, mostrando indisponibilità ad accoglierla. C'è infatti nel silenzio di chi ascolta la calunnia il rischio dell'approvazione. Occorre invece reagire, dare segno di disapprovazione, per mettere un argine e suscitare l'interrogativo circa la responsabilità della parola. La disciplina della parola va esercitata da chi parla e da chi ascolta.

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