"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 11 febbraio 2021

Storiedallitalia. 95 Emilio Lussu: «“il Paese i suoi rappresentanti lo possono servire in due modi: nell’assumere la grande responsabilità dell’amministrazione dello Stato e nella critica dall’opposizione”».

Ha scritto il sociologo Domenico De Masi in “Con Draghi al governo diremo addio al welfare”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di febbraio 2021: (…). Prima ancora che Draghi salisse al Quirinale, già il sito di Repubblica ha scritto: “Per gli investitori, Mr. Whatever it takes è la migliore opzione per l’Italia. Piazza Affari scatta fin dalle prime battute con le banche grandi protagoniste. Lo spread tra Btp e Bund cala vedendo la soglia psicologica di 100 punti base. Piazza Affari si conferma in rialzo oltre il 2% a metà mattina. Intesa San Paolo e Unicredit volano del 5 per cento”. Il welfare è stata la risposta socialdemocratica, cioè riformista e umanitaria, alle sfide della società industriale, alle rivendicazioni sindacali, alle istanze religiose, alla lotta di classe, alle spinte rivoluzionarie. È stato il massimo che il capitalismo ha potuto consentirsi per mostrare un volto umano pur restando capitalismo. Ma è stato il minimo che il socialismo ha potuto ottenere per restare socialismo nei paesi capitalisti. I socialdemocratici ritengono che ogni cittadino, per il semplice fatto di essere stato messo al mondo senza la sua volontà, abbia il diritto di sopravvivere decorosamente anche se non è produttivo perché minore, vecchio o inabile; i neoliberisti, sulla scia di Laffer Kuznets, ritengono prioritario consentire ai ricchi di arricchirsi: prima o poi la loro ricchezza sgocciolerà ad alleviare i poveri. (…). Chi sognava ingenuamente che dall’azione congiunta di Pd e 5Stelle potesse nascere la prima socialdemocrazia del Mediterraneo, può mettersi l’anima in pace e prepararsi ad una lunghissima marcia per formare una classe dirigente di sinistra mentre i poveri, aumentati nel numero e peggiorati nella condizione, avranno imparato a distinguere tra chi li ama e chi li odia. Tratto da «Oggi resuscita Mario “Keynes”, ma è da illusi: il M5S gli dica no» di Tomaso Montanari pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di sabato 6 di febbraio 2021: Sergio Mattarella non ha scelto solo un non-politico di alto profilo che potesse coordinare un governo di unità nazionale. Non ha scelto solo l’“italiano più famoso nel mondo” cui un coro imbarazzante eleva da giorni una servile salmodia. No, ha scelto il simbolo dell’establishment internazionale che ha governato il mondo negli ultimi decenni, plasmandolo per com’è. Mario Draghi per dieci, fatali, anni ha guidato la privatizzazione dei beni pubblici degli italiani: servendo, tra gli altri, due governi Amato, due Berlusconi, uno D’Alema. Il risultato non è stata una riduzione del debito pubblico, né un miglioramento dei servizi, ma la creazione di monopoli privati connessi con la politica. Come capo della Bce ha firmato la famosa lettera del 2011 che chiedeva “privatizzazioni su larga scala” dei servizi locali, “accordi al livello d’impresa, in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende”, lo smantellamento del pubblico impiego (incitando alla riduzione degli stipendi), l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione (affossandone di fatto l’intero progetto sociale). Oggi si resuscita il Draghi keynesiano allievo di Caffè, immaginando una fase espansiva di spesa sociale. Ma nulla supporta questa pia illusione: i soldi reali del Recovery Plan sono molti meno di quanto si dica, e all’ordine del giorno c’è un’emorragia di posti di lavoro. Un governo svincolato dalla ricerca del consenso democratico serve a gestire un bagno di sangue sociale. Come credere che l’interesse degli esultanti Elkann possa coincidere con quello di chi vive del proprio lavoro, o che lavoro non ha? Pretendere che il Movimento 5 Stelle faccia suo questo ritorno all’ordine significa volerne l’abiura solenne: con il cappello a cono e la candela in mano, davanti alla Santa Inquisizione. Una radicale sconfessione dell’eresia per cui il Movimento è nato, crescendo nei consensi proprio in opposizione all’ultimo governo “tecnico”, quello di Monti. Non fu antipolitica: fu la voglia di un’altra politica, in cui i cittadini tornassero a contare. Una politica che rimettesse al centro i beni comuni (a partire da acqua e ambiente, due delle cinque stelle) massacrati dalle privatizzazioni guidate proprio da Draghi. Per molti versi, il Movimento non è stato all’altezza di quella vocazione: anche se la direzione imboccata (penso per esempio al Reddito di cittadinanza) era finalmente giusta. Perché quell’esperienza abbia un futuro, e possa superare le sue contraddizioni, è necessario ora dire di no: fare opposizione e controllo, con disciplina e onore. L’arrivo di Draghi rappresenta una stretta oligarchica, e una svolta in senso esecutivista della democrazia. Il Parlamento deve contare di meno: era l’obiettivo della riforma costituzionale fallita il 4 dicembre 2016. Lo chiedevano le grandi banche, lamentando che nel meridione d’Europa ci sono “governi deboli; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori… e il diritto di protestare”. Ora Renzi ci arriva per altre vie: quelle, tipicamente sue, della congiura. Il Movimento può invece ridare dignità e ruolo al Parlamento. Le pelose chiamate alla responsabilità dimenticano che “il Paese i suoi rappresentanti lo possono servire in due modi: nell’assumere la grande responsabilità dell’amministrazione dello Stato e nella critica dall’opposizione. Se questo concetto che l’opposizione è un dovere critico, ugualmente indispensabile e degno quanto quello di assumere la responsabilità della direzione dello Stato, entra finalmente nel costume della nostra vita politica, deve cessare questo sconcio… quello per cui il governo è l’ordine, e l’opposizione il disordine”. Sono parole pronunciate in Parlamento, nel 1948, da un grande Padre costituente, Emilio Lussu. Sembrano scritte per oggi.

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