"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 3 gennaio 2021

Virusememorie. 54 «Il 2020 è un morto da ricordare».

 

A Lato. "In the African sun" (2020), acquarello di Anna Fiore.

Ha scritto Michele Serra nella Sua rubrica di oggi domenica 2 di gennaio 2021 – “In difesa dell’anno scorso” – pubblicata sul quotidiano “la Repubblica”: Il 2020, bisesto e funesto, se ne è andato in mezzo a un tale coro mondiale di improperi, maledizioni e gesti dell'ombrello (compresi i miei), che forse vale la pena spendere due righe per salutarlo meglio. È stato un anno duro, ma rispettabile. Implacabile, ma onesto. Ci ha fatto memoria della nostra vulnerabilità, specie noi occidentali meno avvezzi, rispetto ad altri popoli, a sentirci in pericolo. Ci ha scaricato davanti alla porta di casa, in disordine, molte delle nostre omissioni: nei confronti della salute pubblica, dell'ambiente, della scienza, della scuola. Ci ha costretti a valutare seriamente il nesso tra il nostro respiro e l'aria di cui si nutre, specie sotto il cielo stantio del Nord, discarica permanente di un benessere che ci presenta i suoi costi. A capire che l'utilità degli ospedali si misura in letti, non in clientele. Che la medicina di base, quella di territorio, di quartiere, di famiglia, è la fanteria che fa vincere le guerre, e deve essere difesa e valorizzata tanto quanto le famose eccellenze di cui ci riempiamo la bocca: è la norma, che rende forti, non l'eccezione. Ci ha fatto riscoprire che senza lo Stato, e senza quel multiStato che è l'Europa, si è abbandonati al proprio destino, più soli, più deboli: il 2020 è stato l'anno che, sotto emergenza, ha ribaltato il tavolo nella dialettica pubblico/privato, che da troppo tempo pendeva dalla parte del solo privato. Infine ci ha consegnato, nei suoi ultimi giorni, l'antidoto contro la malattia, ovvero la pala per seppellirlo. Ma seppellirlo e dimenticarlo sarebbe davvero uno sperpero, dopo tutto quello che abbiamo passato. Il 2020 è un morto da ricordare. Penso si faccia un torto enorme (tanto non importa a nessuno) all’anno 2020 quando lo si voglia catalogare come “annus horribilis”. Potesse esprimere il suo parere ci porrebbe l’inevitabile sua domanda: “Ma perché, gli anni passati sono stati migliori di me?”. Gli sfracelli che hanno imperversato negli anni passati in altri angoli di questo pianeta chiamato Terra perché non ci han portati a definire quei suoi “confratelli” come “annus horribilis” al pari di quest’ultimo che ci ha appena lasciati? È quella miopia da tenutari arroganti del pianeta Terra che imperversa e che detta quelle regole che ci condurranno a ben altri sfracelli futuri. Dove sono finiti tutti quei proponimenti di non tornare ad essere e a vivere come nel prima della pandemia, d’essere diversi? È bastato lo sbracamento dell’estate per far comprendere che il primate “uomo” padrone si sente e padrone vuole restare dell’aria, dell’acqua e di tutto ciò che concorre a fare “sistema” sul pianeta. Scrive la virologa dell’Ospedale “Luigi Sacco” di Milano Maria Rita Gismondo – “Il tempo non esiste. I vaccini sì” - su “il Fatto Quotidiano” sempre del 2 di gennaio: Eccoci nel 2021. Viviamo l’illusione che il 31 dicembre sia davvero una porta che si chiude verso un passato che, solitamente, non ci ha soddisfatto a pieno. Eppure in realtà, il primo giorno dell’anno non è diverso dal precedente. Felicità o tristezze non ci abbandoneranno, ignari del “passaggio” che ci ostiniamo a festeggiare in una sorta di illusione collettiva.

Si fanno buoni propositi, come se si stesse davvero per affrontare una nuova vita. Saranno puntualmente dimenticati. Eppure tutto questo, giorno, anno, calendario, è un’illusione. Ce lo ha detto Einstein, il tempo non esiste. E lui che era uno scienziato che, malgrado la profondità del suo impegno, non ha mai perso l’arte dell’ironia, cercò di spiegare la soggettività del tempo con una impattante metafora: “Quando un uomo si siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora”. Ci sembra un’assurdità. (…). L’illusione che sia stata chiusa una porta al passato ci fa star bene. Non è finita, non sono finiti i sacrifici, non è sparito il virus. (…). Se ancora non siamo riusciti a bloccare la pandemia è perché abbiamo lasciato al virus la possibilità di sfuggire, perché abbiamo spesso interpretato in maniera non corretta il risultato di un test negativo, perché abbiamo pensato che in famiglia non ci fosse pericolo di contagio. Se non correggeremo questi punti di debolezza, difficilmente potremo festeggiare il prossimo capodanno senza il virus. Ha scritto Michele Serra in “Nemmeno Batman” sul quotidiano “la Repubblica” del 24 di dicembre dell’anno 2020: (…). L'ignoranza della natura, dei suoi cicli, dei suoi abitanti, delle sue regole, nell'umanità inurbata e tecnologica è madornale, ma diffusissima. Forse è direttamente proporzionale alla necessità di pensare che la natura sia il passato, perché oramai è assoggettata all'uomo, che è il suo dominus, e alla tecnologia, che è il suo (presunto) superamento. Si occupino di chirotteri (l'ordine di mammiferi al quale appartengono i pipistrelli) gli zoologi. A noi che ci può importare, dei chirotteri? Covid 19 ci ha ricordato che la natura, invece, è il presente, nonché il futuro: a partire dai pipistrelli. Sicuramente (…) i pipistrelli possano essere molto (…) influenti (…) nel futuro del genere umano. Eppure, proprio così stanno le cose. (…). Nel bene e nel male: nel male in quanto vettori del virus, nel bene in quanto fondamentali impollinatori, se non decisivi come gli insetti, quasi. E dunque portatori di vita con ben maggiore costanza di quanto siano stati, occasionalmente, portatori di morte. (…).

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