"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 11 gennaio 2021

Leggereperché. 57 «A regolare il successo di un libro o di un'opera d'arte è solo il mercato».

 

A lato. "Autunno al mare" (2020), penna ed acquarello di Anna Fiore.

Ha scritto Umberto Galimberti in chiusura del Suo “Per salvare la cultura, iniziamo a studiare di più” – pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” dell’undici di gennaio dell’anno 2014 - che “quando sento dire che, per risollevare l’economia, dovremmo investire sul nostro patrimonio artistico che è il più ricco del mondo, penso che non ci sia alcuna possibilità se prima non si investe sull’istruzione, in grado di creare una sensibilità di massa per cultura e arte (che non sono solo evento o spettacolo”.

Appena sette anni trascorsi dallo scritto ed in piena “pandemia” la cosa da sacrificare come azione prioritaria è la “scuola”, come dire che l’istruzione è la “cenerentola” della politica in tutte le vicende storiche di questo stralunato paese. Non per niente la “pandemia” ha trovato fertile terreno in quel comparto vitale che è la “sanità” che, al pari della “scuola”, ha visto falcidiate le sue risorse in quelle annuali occasioni definite un tempo “leggi finanziarie”. E le condizioni attuali della “scuola” e della “sanità” sono lo specchio fedele di una mala-politica che sui due vitali comparti pubblici ha operato drasticamente e ripetutamente. Ha scritto Umberto Galimberti: I libri invenduti nei magazzini e le opere d'arte negli scantinati sono la misura del livello culturale del nostro Paese. E senza competenza vince il puro mercato. A proposito dei beni, Marx operò la distinzione tra il loro valore d'uso e il loro valore di scambio, già rintracciabile in Adam Smith, che gettò le basi dell'economia politica, e fatta propria dall'economista inglese David Ricardo. Il valore d'uso è la capacità di un bene di soddisfare i bisogni, mentre il valore di scambio è la capacità di un bene di permutarsi con altri beni. In un regime capitalistico, regolato dal mercato, i due valori non coincidono. Una bottiglia d'acqua, ad esempio, soddisfa lo stesso bisogno qui da noi come nel deserto, ma il suo valore di scambio non è uguale da noi e nel deserto, perché la misura non è il nostro bisogno, ma la sua permutabilità con altri beni, indicizzata dal denaro. Questa è la ragione per cui i libri che si presume abbiano maggior vendibilità sono preferiti dalle grandi case editrici a quelli di maggior spessore culturale a cui solitamente si dedicano le piccole case editrici, con ritorni economici insufficienti a tenere in piedi la loro attività, che viene ulteriormente depressa dalle librerie, che per non chiudere hanno bisogno di vendere. Lo stesso può dirsi dell'arte che, al pari della moda, inventa gli artisti attraverso i media, crea il loro culto, e con il culto il mercato. Per cui è il mercato a decidere quali libri si devono pubblicare e quali artisti promuovere a prescindere dal loro effettivo valore. Un'opera, infatti, diventa "opera d'arte" solo quando entra nel mercato. Ed entrarvi non dipende dall'opera, ma dal marketing che intorno ad essa si decide di fare. L'unico correttivo per invertire la tendenza sarebbe la diffusione di una cultura di massa che, incominciando dalla scuola, faccia della competenza dei lettori e dei frequentatori di mostre il criterio decisivo per selezionare ciò che vale e ciò che non vale. Ma finché in Italia sono considerati forti lettori quelli che leggono 4 libri all'anno, e finché per l'educazione artistica, è prevista una sola ora alla settimana nei licei, è chiaro che, con un livello culturale così basso, a regolare il successo di un libro o di un'opera d'arte è solo il mercato, artificialmente drogato dai media e dalla pubblicità.

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