"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 22 novembre 2020

Leggereperché. 49 Max Weber: «Mentre i nostri vecchi morivano sazi della vita, noi moriamo stanchi della vita»».

 

A lato. "Sosta sull'erba" (2020), acquarello di Anna Fiore.

Tratto da “Vivere meglio è il solo modo per accettare la fine” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di novembre dell’anno 2014: Scrive Jean Baudrillard: «Parlare di morte fa ridere di un riso forzato e osceno. Parlare di sesso non provoca più nemmeno questa reazione. Solo la morte resta pornografica».

Per chi si sta avviando verso la fine dei suoi giorni, (…), «le parole sono più potenti di qualsiasi medicina che la scienza possa offrire». Ma le conosciamo ancora queste parole? Una volta sì, le conoscevamo, perché avevamo esperienza della morte. I figli vedevano morire i padri e i padri non di rado vedevano morire i figli, nelle guerre cadenzate per ogni generazione. Inoltre c'erano epidemie, pestilenze, frequenti morti infantili e puerperali. Insomma, la morte era di casa e la nostra psiche aveva le parole giuste da dire a chi se ne stava andando. Oggi non è più così. Quando uno si ammala viene affidato a quegli istituti di cura che sono gli ospedali, dove il linguaggio che si apprende è quello della malattia, mentre le parole che si perdono sono quelle dell'amore, della comprensione, dell'ascolto. Che tante volte vale di più delle parole, soprattutto di quelle che tentano di confortare e che non sono credute né da chi le dice né da chi le sente. Non conosciamo più le parole che l'imminenza della morte suggerisce al cuore, senza mentire, ma accanto al letto di un morente le diciamo lo stesso. La (…) esperienza (…) dice che «oggi si muore per lo più da disperati». Le ragioni possono essere diverse. La prima è che ognuno, vivendo, si innamora di sé, e congedarsi da sé stessi per sempre significa perdere quell'amore per sé che, a prescindere dal narcisismo, è la ragione per cui siamo riusciti a vivere e abbiamo costruito il nostro mondo a cui ora dobbiamo dire addio. Ma la disperazione può anche riguardare il fatto che ciò per cui ci siamo affannati nella vita, gli obiettivi che volevamo raggiungere e che magari abbiamo anche raggiunto forse non erano così importanti come abbiamo creduto o non valevano i sacrifici che hanno richiesto, perciò abbiamo l'impressione di aver sbagliato tutto. Di fronte alla morte, infatti, la gerarchia dei valori che hanno regolato la nostra vita subisce molto spesso un capovolgimento. Forse nulla era così importante come credevamo che fosse quando abbiamo intrapreso a perseguire i nostri ideali che forse erano solo abbagli, e per loro abbiamo trascurato quei percorsi di dedizione, di affetto, di comprensione, di amore che forse sono l'unica ragione per cui siamo nati. La vita di oggi così affaccendata, così affrettata, così vissuta sempre di corsa, non ci ha dato spazio per assaporarla, e come diceva Max Weber: «Mentre i nostri vecchi morivano sazi della vita, noi moriamo stanchi della vita». Stanchi e insoddisfatti semplicemente perché la vita non l'abbiamo vissuta secondo le nostre aspirazioni, ma ci siamo messi sul primo binario che abbiamo trovato che ci garantiva uno stipendio per sopravvivere. E su quel binario siamo vissuti. E oggi dobbiamo persino ritenere fortunati quelli che hanno trovato un binario. Se questo è il tasso di felicità che la nostra società avanzata ci offre, cerchiamo altri modi di vivere per non disperarci troppo sul letto di morte. Ma soprattutto anticipiamo l'evento della morte che comunque ci attende, non per deprimerci, ma per avere la giusta misura e il giusto criterio per distinguere, tra le offerte della vita, quelle che valgono e quelle per le quali non val la pena di spendere un giorno.

1 commento:

  1. "Il problema non è se i nostri desideri sono soddisfatti o meno. Il problema è come sappiamo quello che vogliamo".(Slavoj Zizek). "Che cosa non ci soddisfa quando lo abbiamo trovato, non era quello che stavamo cercando".(C.S.Lewis). "La cosa più soddisfacente nella vita è stata quella di poter dare una buona parte di sé agli altri".(Pierre Teilhard de Chardin). "L'avidità è un pozzo senza fondo che esaurisce le persone, nello sforzo incessante di soddisfare il bisogno,senza mai raggiungere la soddisfazione".(Erich Fromm). "Il problema non è il materialismo in quanto tale, ma piuttosto l'implicita convinzione che la piena soddisfazione possa derivare solo dalla gratificazione dei sensi".(Tenzin Gyatso). "La soddisfazione è trovare ciò che è al di là degli occhi, della mente. Senza tempo, senza causa o spazio". (Sivaya Subramuniyaswani). Grazie, Aldo, per i preziosi spunti di riflessione, che offre questo coinvolgente post e buona continuazione.

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