"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 16 novembre 2020

Ifattinprima. 97 «Se nelle urne il popolo sconfigge il populismo, si nega il fatto, come se non fosse mai accaduto».

Tratto da “Trump e la realtà deformata” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 16 di novembre 2020: (…). …quella che si gioca oggi a Washington non è soltanto una partita americana, e noi non siamo semplici spettatori. La questione riguarda l'universo democratico, dunque l'intero Occidente. Ipnotizzati dal risultato di un braccio di ferro senza precedenti, noi rischiamo infatti di perdere di vista un'altra eccezionalità, quella del processo che poco alla volta ha autorizzato questa anomalia, l'ha costruita e l'ha messa in campo, non solo negli Usa. Non siamo infatti di fronte ad un colpo di testa, dettato dalla rabbia per il risultato elettorale, ma a una scelta strategica perfettamente coerente con la concezione populista della sovranità. Quello di Trump infatti non è un impulso, bensì un esito. E tutto il racconto del sistema americano fatto in questi quattro anni porta necessariamente a questa gestione della sconfitta. L'avvento di Trump si basa sulla denuncia di una malattia della democrazia: questo è il dato fondamentale, costitutivo della sua cultura politica, ma più ancora della sua leadership. Lui infatti non solo testimonia questo malessere, ma lo impersona. In questo senso è un precipitato perfetto dei tempi, l'uomo in grado di interpretarne lo spirito e di farne una rappresentazione simbolica.Tutti i mali dell'epoca - lo spaesamento provocato dalla globalizzazione, le esclusioni generate dalla crisi economica, la precarietà prodotta dalla pandemia, le passioni spente per il costituzionalismo, i diritti, la libertà - vengono usati a conferma delle disfunzioni del meccanismo democratico, che con le sue regole e coi suoi vincoli interni e internazionali impedisce alla leadership del Paese di dispiegarsi appieno, proteggendo l'America e rifacendola grande. Ci sono responsabili precisi per tutto questo: l'establishment che si identifica nel sistema, l'élite che usa il suo sapere per autogarantirsi e perpetuarsi, aiutata dalla scienza e dalla cultura, strumenti ancillari della classe dirigente che le consuma in esclusiva come privilegi, nutrimento riservato agli dei che siedono in permanenza al banchetto del potere. Questa teoria trasforma il leader in un vendicatore, annullando così le distanze sociali, finanziarie, di status tra il tycoon miliardario e il suo elettore, azzera le differenze di classe in nome di un reciproco e superiore riconoscimento "di specie", in quanto entrambi sono ribelli e soprattutto estranei al sistema e alle sue regole. Anzi Trump con il suo impero personale, il suo successo e la sua forza economica è il collettore naturale dei risentimenti dominanti, il moltiplicatore perfetto delle richieste di risarcimento sociale diffuse, l'interprete ideale della protesta popolare crescente, per portarla direttamente dentro l'establishment e qui farla esplodere. Fino all'esperimento finale di una presidenza che è insieme di governo del Paese e di opposizione al sistema. Quanto più il leader esercita il potere, tanto più ha bisogno di accentuare la sua carica anti-istituzionale, per mantenere integra la propria immagine di outsider, e intatta la pulsione ribelle dei suoi seguaci. Il racconto dei fatti interni ed esterni al Paese è dunque costantemente esasperato, appositamente radicalizzato, mentre viene scientificamente semplificato, quasi sempre nella dialettica binaria amici-nemici. E quando la realtà non conferma la teoria, la teoria diventa teorema, deformando la realtà fino a costringerla ad entrare nello schema populista. Il leader diventa produttore di una realtà parallela a cui chiede ai suoi seguaci di aderire con un moto d'istinto, un atto di conferma della fede, come invocano i predicatori. Se poi nelle urne il popolo, fonte del carisma oltre che del comando, sconfigge il populismo, si nega il fatto, come se non fosse mai accaduto. Tutto è stato preparato per questa ritrattazione del reale, con un sospetto nazionale di massa decretato dal potere, accettato, introiettato e replicato dal popolo. E il Paese è stato portato da tempo alla temperatura emozionale giusta perché il nudo dato di fatto venga semplicemente boicottato e sostituito da un racconto alternativo, dove il leader in un'auto-proclamazione fuori da ogni regola compie la sua missione vincendo. Chi impedisce la realizzazione di questo scenario, compie un furto di desiderio, un esproprio di destino. È il male che impedisce al bene di realizzarsi. Questo schema demonizza gli avversari delegittimandoli, indebolisce la democrazia accusandola di essere corrotta, avvelena il sistema denunciando la frode delle sue procedure fondamentali: ma consente al populismo di non interrompere la narrazione eroica di sé, perché la leadership non è sconfitta, ma derubata della vittoria. Il procedimento è elementare nei suoi passaggi, dispotico nei suoi effetti. Ha bisogno di un personaggio letteralmente eccezionale per compiersi, nel senso che senza "quel" leader fuori dalle regole e dalla norma, dunque fuori misura, sarebbe impossibile l'alchimia populista che trasforma sentimenti e risentimenti in una contropolitica che nega la realtà. Ma attenzione: anche senza "quel" popolo la sostituzione del reale sarebbe impossibile. Se invece è plausibile, addirittura credibile, è perché oggi qualsiasi sub-cultura e qualunque contro-narrazione viene accettata e condivisa da una fetta della popolazione in tutto l'Occidente, purché contesti e contraddica la verità ufficiale, anche se questa ha la certificazione del sigillo istituzionale, del controllo scientifico, addirittura dell'evidenza. Abbiamo lasciato deperire la cifra di legittimità della nostra vita civile a tal punto che qualsiasi negazione dei risultati quotidiani dello scambio democratico continuo in cui viviamo è accolta con un pregiudizio positivo, come se contribuisse a svelare il grande inganno che ci avviluppa. Non abbiamo fatto la guardia alla democrazia, lasciandola estenuare sotto attacchi che solo pochi anni fa erano inconcepibili. Sono gli "spiriti maligni" (…), la xenofobia dilagante, il disprezzo ostentato per la cultura, l'elogio dell'ignoranza, il complottismo, il negazionismo, il politicamente scorretto. Nessun Paese è immune. Mentre ci stupiamo per la contestazione di Trump al voto, in Europa Ungheria e Polonia minacciano il veto al varo del Recovery fund se questo è vincolato al rispetto dello Stato di diritto: chiedendo in pratica alla Ue il passaporto per diventare Paesi autoritari. Il voto dunque ha battuto il populismo, ma la strada è lunga: perché si tratta di restituire lo scettro alla democrazia, rendendola credibile anche per chi vive nella bolla di vetro della realtà parallela.

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