"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 13 ottobre 2020

Ifattinprima. 93 «Non c’erano untori, ma piuttosto era l’economia che non si poteva fermare».

Ha scritto Roberto Saviano in “Non ci sono untori ma cittadini spaesati” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 23 di agosto ultimo: (…). …credevamo di aver trovato l’untore nel cinese, nel runner, nel povero cristo solitario che passeggiava sulla spiaggia, cacciato in malo modo da un elicottero munito di altoparlante. Solo io scorgo il ridicolo in una donna o un uomo che prende aria, da solo, e che viene redarguito niente meno che da un elicottero in volo solo per lui? Del ridicolo e dell’antieconomico al tempo stesso? Ora spero che almeno su questo punto siamo tutti d’accordo: non c’erano untori, ma piuttosto era l’economia che non si poteva fermare. L’economia delle regioni più produttive d’Italia che hanno deciso di salvare il Pil a scapito di “qualche” vita. Anche se tale decisione non pare essere stata mai condivisa con la popolazione di quei territori. Quegli “untori” dei quali parla Saviano sono, sociologicamente parlando, i cosiddetti “margini” di una società che sfrutta e che esclude ma che li ha abbondantemente utilizzati se non sfruttati nel corso della prima fase della pandemia tuttora in corso. Ed a proposito di quei “margini” delle società tutte, con qualsivoglia assetto socio-economico abbiano in esse instaurato gli umani, indifferentemente dal loro colore o coloritura, ne scrivevo sul terzo numero (Gennaio/Giugno 2011) della rivista semestrale “Il piede e l’orma” (Pellegrini Editore) - numero allora volutamente dedicato ai cosiddetti “Margini” socio-economici dei nostri progrediti alveari umani - come presentazione di un mio “racconto breve”: «Dei “margini”. L’idea dei “margini” mi spinge a pensare, in natura, a quelli dei lembi fogliari che hanno al riguardo una loro tassonomia e che restano immutati. Frutto essi, quei “margini”, del genotipo – ovvero de “il gene egoista” come direbbe il famoso biologo inglese Richard Dawkins - che modella e plasma per sempre – a meno di importanti interazioni ambientali – il fenotipo di tutti gli esseri viventi. Ben diversa cosa i “margini” sociologici, che di continuo mutano, si rendono e sono sempre frastagliati, contorti, incerti, sì da non aversi mai “margini” ben definiti, netti, lineari. “I margini” sociologici costituiscono, a mio parere, una “condizione” ineliminabile nell’esistenza degli umani. È che gli stessi, “i margini” per l’appunto, hanno una loro propria “fluttuazione”, un avanzare ed un regredire, come l’eterno movimento della risacca, e nel tempo avanzano ed indietreggiano e diversamente si conformano in sintonia e/o in conseguenza delle “condizioni materiali” che le politiche sociali, i tempi e le vicissitudini della storia umana, favoriscono e preparano. Il racconto breve ha uno sfondo storico, politico e sociale che potrebbe aver fatto il suo tempo nelle ubertose contrade del bel paese; quello dell’“emigrante” con la sua classica valigia di cartone, stretta dallo spago robusto, che parte dalla sua terra “avara” e “maligna” per vendere esclusivamente le sue braccia, per un lavoro con bassi contenuti professionali e di specializzazione, sul mercato delle braccia interno ed internazionale di allora. La “marginalità” vissuta al tempo del racconto si è intanto trasformata ed evoluta – o involuta - nella “marginalità” dell’oggi per la quale, a causa e per effetto della globalizzazione soprattutto della finanza speculativa, ha risucchiato nei suoi violenti gorghi ben altro tipo di prestatori d’opera, oggigiorno di elevata istruzione e di vastissime competenze, per i quali, a seguito della dissennata politica  sociale messa in campo dalla “destra” illiberale nel bel paese, ritrovano amaramente la loro terra d’origine “avara” e “maligna”, tanto da doverla abbandonare verso frontiere altre, con diverse competenze e speranze sì, ma costretti a rivivere la condizione d’essere come respinti e situati nei novelli “margini” ed  “espulsi dalla comunità” d’origine, in una condizione non nuova di “extra-comunitari”». Scriveva ancora Roberto Saviano ben dopo l’avvenuta “ripartenza” del bel paese, “ripartenza” sotto alcuni aspetti improvvida considerate oggigiorno le nefaste conseguenze che al momento fanno quasi presagire una forse inevitabile “rinchiusura”: Oggi, dopo qualche giorno di tregua speso a seguire il caso di cronaca nera e il gossip (che a quanto pare devono dominare le prime pagine estive), dopo aver malamente archiviato, almeno nei discorsi pubblici, ciò che è accaduto alla caserma dei carabinieri di Piacenza e all’interno del carcere di Torino, è tornata la caccia agli untori che sono: 1) gli immigrati; 2) i ragazzi che frequentano discoteche; 3) chi per le vacanze è andato all’estero. Non mi produrrò in alcuna difesa di queste categorie perché già c’è chi le difende o le criminalizza per racimolare una manciata di voti. Ma d’altro canto mi domando come sia possibile dare risposte granitiche sull’origine dei nuovi contagi - che ci sono e con i quali dobbiamo fare i conti - se non esiste ancora in Italia alcuna mappatura della popolazione. Non sono stati fatti tamponi a tappeto e, del resto, a leggere tra le righe, quando aumentano i tamponi eseguiti, aumentano anche i contagi, a prescindere dalle categorie di individui esaminati. Non vengono fatti i sierologici e le comunicazioni che la politica fa sono confuse e fuorvianti. Dagli ospedali campani lamentano la scarsa comprensione da parte delle persone dei comunicati diramati dalla Regione. Turisti con i trolley sono andati in ospedale direttamente dall’aeroporto - dicono - correndo il rischio di contagiare, se infetti, le persone in coda con loro. Se il presidente De Luca annuncia che prevederà quarantena e (forse) tamponi per chi viene dall’estero (da qualunque estero, così da surclassare tutti i suoi colleghi governatori che hanno disposto tamponi e quarantena solo per viaggiatori provenienti dai paesi dove il rischio contagio si è dimostrato maggiore) e se quelle stesse persone, partite quando non c’erano restrizioni, devono rientrare al lavoro perché se non lavorano non guadagnano, che alternative hanno? Credo ben poche, e pretendere che la sanità pubblica chiarisca subito le loro condizioni di salute senza bloccare in casa chi non può permettersi di essere inattivo e quindi improduttivo, sia un diritto a fronte di una politica che comunica troppo e spesso senza prima verificare le effettive capacità del sistema sanitario. Ma dove tutto è determinato da strategie elettorali, dove tutto è deciso dalla politica, è normale che a farne le spese sia il cittadino comune. Come può un dirigente ospedaliero criticare una comunicazione fatta da quegli stessi politici da cui la propria carriera dipende? Più semplice e indolore prendersela con l’anonimo cittadino che, al cospetto dell’inefficienza dello Stato, cerca la via più breve per poter tornare al lavoro. Stiamo per affrontare una sfida difficile quanto quella che ci siamo lasciati alle spalle, forse addirittura più drammatica perché ora sappiamo esattamente ciò che ci aspetta. Il mio invito alla politica è a fidarsi delle persone, a rispettarle, per evitare che, in una fase tanto delicata come questa, siano loro a perdere fiducia nelle direttive che devono essere concordate a livello nazionale, che devono essere ragionevoli e rispettose dei cittadini. E che, soprattutto, devono tenere conto delle reali possibilità di azione, senza scadere in una eterna smargiassata.

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