"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 9 ottobre 2020

Capitalismoedemocrazia. 70 «La globalizzazione finanziaria ha finito per propagare instabilità invece che maggiori investimenti e crescita più rapida».

Riparto dalla bella analisi di Giorgio Ruffolo “Sono dolori se la ricchezza è un fantasma”, pubblicata sul quotidiano l’Unità (2011) e riportata su questo blog nella sezione “Sfogliature” del 7 di febbraio dell’anno 2017, per proporre un interessante scritto di Dani Rodrik - professore di Economia Politica Internazionale all'Università di Harvard ed autore del saggio “La globalizzazione intelligente”  edito in Italia per i tipi Laterza (2011) - riportato sul quotidiano “la Repubblica” dell’8 di settembre dell’anno 2011 che di seguito trascrivo in parte. Ha scritto il professor Ruffolo: “(…). È avvenuto nel nostro tempo che, con l’enorme portata dei movimenti di capitale innescati dalla globalizzazione, le attività finanziarie abbiano assunto dimensioni e generato profitti eccezionali. La finanza è diventata un settore permanente e sempre più importante dell’economia. Non è uscita più di scena ed ha assunto forma di un indebitamento permanente, continuamente rinnovato. L’economista Marc Bloch ha definito il capitalismo del nostro tempo come quel regime nel quale i debiti non si rimborsano mai”. Fine della citazione. Non più “l’autunno della finanza” per dirla con Braudel, ma una presenza costante – quella della finanza globalizzata - che si sostituisce alla economia delle produzioni e che sta per divenire lo spettro orripilante delle società del secolo ventunesimo. Una digressione storica. Traggo lo spunto, per la digressione storica, dalla bella ed interessante lettura del volume “Karl Marx. Vita e opere” di Nicolao Merker, edito da Laterza (2011) – pagg. 261 € 18,00 -. Scrive Nicolao Merker alla pagina 87 del Suo lavoro a proposito del “Moro” di Treviri, impenitente debitore per tutta la Sua vita: “(…). Marx abita in uno di peggiori quartieri di Londra (Soho n.d.r.), e di conseguenza anche dei più economici. Occupa due stanze; quella che guarda sulla strada è il salotto, quella che dà sul retro è la camera da letto (…). In mezzo al salotto si trova un grande tavolo di età veneranda, ricoperto da uno spesso strato di cera mai rimossa. Su di esso si ammonticchiano i manoscritti, i libri e i giornali di Marx, i giocattoli dei bambini, i lavori di rammendo della moglie, tazze da tè dagli orli sbrecciati, cucchiai sporchi, coltelli, forchette, candelieri, calamai, bicchieri, pipe di terracotta olandesi, cenere di tabacco, tutto gettato alla rinfusa su quell’unico tavolo (…). Qui una sedia si regge solo più su tre gambe, là i bambini giocano alla cucina su un’altra sedia, casualmente rimasta intera (…). L’accoglienza è la più amichevole; la pipa, il tabacco, e tutto quello che si trova in casa viene offerto con la massima cordialità. Una conversazione intelligente e piacevole sopperisce finalmente alle deficienze domestiche, rendendo sopportabile ciò che al primo impatto era solo sgradevole. (…)”. Veritiera la cronaca? C’è da dubitarne. La disarmante cronaca è stata ripresa da un rapporto steso da una spia della polizia prussiana che al tempo controllava la vita ed i movimenti dei fuoriusciti tedeschi. Sappiamo che il “Moro” di Treviri era un formidabile dilapidatore di risorse economiche, una persona che ha vissuto sempre oltre le Sue disponibilità. Solo la generosità del Suo amico carissimo Engels riuscì a salvarlo dai Suoi creditori. Fine della digressione storica. Ché Marx non abbia visto prima di altri e messo in atto quel “capitalismo del nostro tempo (…) nel quale i debiti non si rimborsano mai”? Così tanto per dirla con Marc Bloch. (…). La globalizzazione dell´economia ha consentito livelli di prosperità senza precedenti nei Paesi avanzati ed è stata una manna per centinaia di milioni di lavoratori poveri in Cina e in altri Paesi dell´Asia, ma poggia su piedi malfermi. A differenza dei mercati nazionali, che normalmente sono supportati da un ampio ventaglio di istituzioni normative e politiche, i mercati globali non possono contare su fondamenta solide: non esiste nessun prestatore globale di ultima istanza, nessuna autorità di regolamentazione globale, nessun regime fiscale globale, nessuna rete di sicurezza globale e naturalmente nessuna democrazia globale. Questa governance tanto fragile espone i mercati globali a instabilità, inefficienza e deficit di legittimazione popolare. Questo squilibrio tra il potere nazionale dei Governi e la natura globale dei mercati rappresenta il ventre molle della globalizzazione. Un sistema economico mondiale sano necessita di un delicato compromesso fra le due cose. Troppo potere ai Governi e ci si ritrova con protezionismo e autarchia; troppa libertà ai mercati e ci si ritrova con una economia mondiale instabile e scarso consenso sociale e politico da parte di quelli che dovrebbero trarne beneficio. (…). La globalizzazione finanziaria ha finito per propagare instabilità invece che maggiori investimenti e crescita più rapida. All´interno dei Paesi, la globalizzazione ha generato disuguaglianza e insicurezza invece di migliorare uniformemente la vita delle persone. In questo periodo ci sono stati successi clamorosi, Cina e India su tutti. Ma questi sono Paesi che hanno scelto di giocare al gioco della globalizzazione non secondo le regole nuove, ma secondo quelle di Bretton Woods: invece di aprirsi incondizionatamente ai commerci e alla finanza internazionale hanno portato avanti strategie miste, con una massiccia dose di interventi pubblici per diversificare le loro economie. Nel frattempo, quei Paesi che seguivano ricette più consuete (come i Paesi latinoamericani) segnavano il passo. E la globalizzazione così è diventata vittima del suo stesso successo iniziale. Per rimettere in piedi, su basi più solide, il nostro mondo economico, bisogna comprendere meglio il fragile equilibrio fra mercati e governance. Innanzitutto, mercati e Governi sono complementari, non alternativi. Se vogliamo più mercati e mercati migliori, dobbiamo avere più governance (e governance migliore). Il mercato funziona meglio non quando lo Stato è più debole, ma quando lo Stato è forte. In secondo luogo, il capitalismo non è un modello univoco: prosperità economica e stabilità si possono raggiungere attraverso diverse combinazioni di assetti istituzionali nel campo del mercato del lavoro, della finanza, della gestione aziendale, del welfare e così via. Le nazioni effettueranno (hanno il diritto di effettuare) scelte diverse fra questi sistemi, a seconda delle loro esigenze e dei loro valori. (…). Una volta capito che i mercati per funzionare bene hanno bisogno di istituzioni pubbliche di governo e di vigilanza, e anche che le nazioni possono avere preferenze diverse sulla forma che queste istituzioni e queste normative possono assumere, abbiamo cominciato a raccontare una storia che ci conduce a dei finali radicalmente diversi. In particolare cominciamo a comprendere quello che io definisco il «trilemma» politico di fondo dell´economia mondiale: non è possibile perseguire simultaneamente la democrazia, l´autodeterminazione nazionale e la globalizzazione economica. Se vogliamo far progredire la globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato-nazione o alla democrazia politica. Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, dovremo scegliere fra lo Stato-nazione e l´integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato-nazione e l´autodeterminazione dovremo scegliere fra potenziare la democrazia e potenziare la globalizzazione. I problemi che abbiamo nascono dalla nostra riluttanza a confrontarci con queste scelte ineluttabili. Far progredire insieme la democrazia e la globalizzazione è possibile, ma il trilemma suggerisce che per fare una cosa del genere sarebbe necessario creare una comunità politica globale, un progetto molto, ma molto più ambizioso di qualsiasi cosa si sia vista in passato o si possa immaginare di vedere in un futuro prossimo. La governance democratica globale è una chimera, che sembra difficile da realizzare perfino in un raggruppamento ben più ristretto e coeso come l´Eurozona. Qualunque modello di governance globale si possa sperare di realizzare in questo momento potrà servire a supportare solo una versione molto limitata della globalizzazione economica. Dunque dovremo fare delle scelte. Io non ho dubbi: la democrazia e la determinazione nazionale devono prevalere sull´iperglobalizzazione. Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro sistemi sociali, e quando questo diritto entra in conflitto con le esigenze dell´economia globale, è quest´ultima che deve cedere. Restituire potere alle democrazie nazionali garantirebbe basi più solide per l´economia mondiale, e qui sta il paradosso estremo della globalizzazione. Uno strato sottile di regole internazionali, che lascino ampio spazio di manovra ai Governi nazionali, è una globalizzazione migliore, un sistema che può risolvere i mali della globalizzazione senza intaccarne i grandi benefici economici. Non ci serve una globalizzazione estrema, ci serve una globalizzazione intelligente. 

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