"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 6 settembre 2020

Cosedaleggere. 65 «Si è inventato Internet, c’è cosa più bella della comunicazione?».

Andrea Camilleri avrebbe compiuto oggi, 6 di settembre, 95 anni. Il 14 di marzo dell’anno della “pandemia” è stata riportata sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” una intervista “inedita” - “La filosofia salverà il nostro mondo” – ad Andrea Camilleri a firma di Francesco De Filippo – scrittore, giornalista – e di Maria Frega – scrittrice e sociologa –. Il testo riportato dal settimanale è stato estratto dal volume dei due Autori “Filosofia per i prossimi umani” - Giunti Editore, pagg. 264, euro 18 –: Maestro, il mondo sta cambiando radicalmente e a una velocità inaspettata. Come si immagina la vita sulla Terra tra quindici, venti anni? «Marx, Engels e un altro autore, forse Ferdinand Lassalle, pubblicarono un libro per spiegare come la civiltà greca abbia conosciuto un grandissimo balzo in avanti non solo nell’espressione artistica ma anche nel pensiero filosofico grazie al fatto che i cittadini di quelle società avevano una grande cultura e non erano costretti a lavorare, ad affrontare la fatica del lavoro materiale. Per questo, gli uomini di cultura dell’epoca potevano dedicarsi a qualcosa di assai semplice: a riflettere, a ragionare sulle cose. Avevano il tempo di cadere in contraddizione e di risolvere le contraddizioni stesse».

Pensa che qualcosa del genere stia avvenendo anche oggi? «Dunque, alcuni giorni fa mi è capitato di sentire un intervento alla radio di un grande chirurgo torinese il quale annunciava che nel futuro prossimo i chirurghi non entreranno più in una sala operatoria ma si limiteranno a stare in una stanzetta accanto a comandare un robot in camice bianco che opererà con maggiore sicurezza e maggiore precisione del miglior chirurgo al mondo».
La presenza dell’uomo sarà comunque indispensabile? «Certo, la presenza dell’uomo è indispensabile perché da solo il robot non saprebbe fare un tubo. È il chirurgo che gli suggerisce quello che deve fare, ma ciò che farà il robot dopo il suggerimento è superiore a quello che può fare l’uomo».
Eravamo partiti dal mondo come lei lo immagina da qui a venti anni... «Infatti. Secondo me ci troviamo in presenza di un evento analogo a quella che fu la rivoluzione industriale inglese. Mi sembra proprio un momento storico analogo, però stavolta con orizzonti più vasti e più complessi».
Questo comporterebbe delle ripercussioni sociali ancora più devastanti di quelle che causò la rivoluzione industriale inglese. «In un primo periodo rappresenterà un problema sociale gravissimo, perché già da ora si avvertono i primi segnali. Nelle industrie, nelle fabbriche, dove vengono impiegate le macchine robotizzate, la macchina fa per dieci. Nove se ne vanno a spasso e uno resta a controllare la macchina. Quindi bisogna riorganizzare la società per tempo».
Anche perché speriamo tutti che non ci sia la schiavitù come nell’antica Grecia. «Certo, credo sarà una vicenda diversa. Tuttavia, devo riconoscere che questa prospettiva del futuro non mi spaventa. Perché ritengo che domani uno Stato, lo dico ipotizzando, che abbia saputo prepararsi a un evento come quello di cui stiamo parlando, potrebbe non avere ripercussioni sociali così violente. Faccio un esempio: se uno Stato prevedesse di installare venticinque robot nelle proprie industrie, immaginerà anche che questo causerà la perdita del lavoro per — diciamo — 15mila occupati. Bene, il robot non percepisce uno stipendio, ovviamente, dunque si può stabilire che i 15mila disoccupati se ne vadano a spasso ma vengano pagati lo stesso, come quando lavoravano; una cifra equivalente. Qualcosa però dovranno fare per il bene di tutti: queste persone avranno un compito di pensiero. Dal più semplice al più complesso: da come si potranno piantare meglio i chiodi fino a sviluppare nuove tecnologie per far viaggiare le astronavi più velocemente e lontano».
Praticamente si ripeterebbe il miracolo dell’antica Grecia. «Esattamente. Quello è il modello».
Viviamo, al contrario, in una società in cui si ha l’impressione che le forze produttive abbiano fatto e continuino a fare di tutto perché la gente sia quanto più omologata possibile e non abbia tempo, appunto, di pensare, di riflettere. Secondo lei questa facoltà potrebbe invece trovare nuovo spazio nella società futura che immagina? «Diventa inevitabile. Non verrà imposta, diventerà inevitabile. Oggi le persone sono costrette a pensare soltanto il sabato pomeriggio a ciò che faranno la domenica, non hai spazio, tempo per riflettere. Come diceva Leonardo Sciascia: “Riflettere prima di pensare”. Nonostante questo, qualcuno riesce a fare una riflessione, a partorire una idea... ma deve proprio avere un grande desiderio di farlo, e non essere troppo distrutto dal lavoro. La macchina ha anche un altro punto positivo, oltre a quello di lavorare al nostro posto e meglio di quanto non siamo in grado di fare noi umani: non c’è pericolo di sfruttamento, proprio perché è una macchina. Dunque non ci si fa scrupoli a utilizzarla sempre, la si sfrutta fin quando non si rompe l’ultimo bullone... anche perché quella macchina sarà costata un’ira di Dio. Una volta ammortizzata, però, è tutto guadagno».
Con lo sviluppo delle neuroscienze oggi, si schiuderanno domani nuovi scenari personali e collettivi. Un esempio per tutti: è già praticamente possibile osservare come si forma il pensiero e in futuro gli sviluppi di queste ricerche saranno ancora più approfonditi; sarà dunque necessario riflettere, con più estesa cognizione di causa, sull’eventuale esistenza del libero arbitrio, sulla presunta differenza tra mente e cervello, tra cervello e coscienza. Concetti che nei secoli sono stati avvolti da misticismo, religiosità e hanno affascinato i filosofi, i letterati. Il fatto di riuscire a capire tutto o quasi dell’uomo, a decifrarne i meccanismi come se fosse una macchina, ritiene che ci renderà o ci percepiremo, appunto, più simili proprio a una macchina? «Io questo concetto lo contesto. Sono persuaso - però non ho le cosiddette “pezze d’appoggio”, non saprei come dimostrarlo - che l’uomo, nell’800 soprattutto, con l’avvento del Positivismo, abbia volontariamente rifiutato una certa cultura orientale; abbia “chiuso” alcuni “sportelli” del cervello, impedendo che entrasse, appunto, una certa forma di cultura orientale. Non escludo, però, che una volta lasciato libero dal pensiero immediato della produzione, il cervello umano riapra quelle porte chiuse a una certa forma di conoscenza. Credo che ne guadagneremmo tutti dalle filosofie e dalle pratiche orientali».
Secondo lei, domani ci sarà ancora bisogno di filosofia? «Certo, certo che ci sarà ancora bisogno. Altrimenti cadi o nella depressione o nella paura perché sei circondato da fenomeni inspiegabili. Se invece la filosofia, la cultura sono in grado di spiegarteli, tu naturalmente ti adegui piuttosto che richiuderti, sfuggire o tremare di paura. Io non credo che l’avvento di una società diciamo così meccanizzata, digitalizzata, sia come alcuni predicano, una sorta di disastro. Bisogna vedere come viene impiegata. Perché, siccome l’uomo è volto al male, inevitabilmente, sono sicuro che fra cento anni avremo un esercito spaventoso formato da robot, che per definizione non hanno alcuna pietà, non hanno nemmeno paura di morire».
Abbiamo l’impressione che quei sistemi di trasmissione del sapere che c’erano all’epoca siano stati progressivamente chiusi. Forse per ragioni diverse, ma di filosofia non si parla mai in Tv ad esempio, tantomeno sui social. Oggi, domani, queste discipline attraverso quali canali, quali strade potrebbero permeare la società? «Questa domanda è difficile, non saprei bene cosa rispondere. Però, se penso al messaggio politico, che diventa sempre più semplice, banale, più simile a uno slogan che non a un pensiero politico, mi viene in mente il fatto che proprio il messaggio politico rispecchia la cultura di un Paese. Se in quel Paese c’è un certo livello di cultura, credo che il messaggio politico si adegui. Oggi nel discorso politico non c’è dialettica, al posto di questo si ricorre all’insulto, che non è un’arma dialettica. In una società in cui tu sei totalmente libero di pensare e ne hai il tempo, credo che il messaggio politico non possa essere lo stesso di quello dei nostri giorni».
Pensa che lo sviluppo ulteriore delle grandi techno-corporation come Facebook, Google - che ormai controllano o comunque sanno tutto della nostra vita - e dunque un loro strapotere, come tutti si attendono, possa rivelarsi positivo in futuro? «No. No. Io non temo le invenzioni, la tecnologia e l’avanzare della scienza, perché è sempre un punto di partenza, un dato positivo. La scienza inventa l’aereo, che è una meraviglia, però inventa anche l’aereo bombardiere, contestualmente. Si è inventato Internet, c’è cosa più bella della comunicazione? Eppure guarda cosa sono riusciti a fare della rete: una fogna, o poco meno. Dunque il problema è la gestione dell’invenzione».
Lei crede in una crescita della civiltà umana? «Certo. Non è possibile che si sia fermato l’avanzamento della civiltà. Lo dimostra lo stesso progresso scientifico. Allora, forse c’è troppo progresso scientifico rispetto alla base sulla quale questo progresso dovrebbe fondarsi. Cioè base di cultura, di filosofia ad esempio. Io credo che la famosa divisione tra le due culture, tecnologia e filosofia, via via che procediamo avrà sempre meno senso».
Però è diventata talmente forte la specializzazione... la conoscenza dovrebbe essere vastissima e, qualora ci fossero le capacità, non ci sarebbe comunque tempo per imparare tutto. «Credo che arriveremo a una riunificazione. Ci arriveremo per necessità. Nel momento in cui aboliremo la scrittura e comunicheremo chissà come, bisognerà che chi vuole comunicare — poeta, filosofo, quel che è — impari una nuova tecnologia, e questo farà sì che il filosofo a un certo punto si accorgerà di un dato tecnologico che non funziona. E lo migliorerà e da quel momento la divisione, finta, tra tecnologi e scienziati finirà».

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