"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 25 maggio 2020

Virusememorie. 22 «In questi giorni si fa un uso ricorrente dell’espressione “tornare al mondo normale”».

Scrive il filosofo Leonardo Caffo nel Suo “Dopo il Covid-19. Punti per una discussione” - “Nottetempo editore” -: (…). In questi giorni si fa un uso ricorrente dell’espressione “tornare al mondo normale” come se ciò che vivevamo prima del Covid-19 fosse davvero normale: disgregazione sociale, povertà diffusa, sfruttamento animale, distruzione dell’ambiente, danni sempre maggiori al pianeta e alle cose della natura potevano forse apparire normali alla sparuta fetta di umanità occidentale convinta che gli ultimi cinquant’anni di benessere diffuso fossero la norma, mentre erano l’alterazione che si reggeva su guerre altrui, carestie, sfruttamento dei paesi sottosviluppati, eliminazione brutale delle diversità, sofferenza di milioni di esseri umani nel mondo. (…). Leonardo Caffo mi spinge a tornare sul tema del cosiddetto “mondo normale” ed a proporre un pensiero che mi è caro. Drammaticamente caro. Mi spinge a ritornarci con la sempre bella ed interessante prosa di Umberto Galimberti nel Suo “Perché la guerra?”, scritto di già proposto nella sua interezza: (…). L'Afghanistan, come pure l'Iraq, sono solo dei capitoli di quella lunga storia che è la volontà di potenza dell'Occidente. Ma dire volontà di potenza significa dire guerra. Anche la pace, che l'Occidente dice di preferire alla guerra, è fondata sulla guerra. Ce lo ricorda Heidegger là dove scrive: - La domanda che chiede quando ci sarà finalmente la pace non può trovare risposta, non perché la durata della guerra sia imprevedibile, ma perché già la domanda stessa si volge verso qualcosa che non esiste più, dato che anche la guerra non è già più niente che possa concludersi in una pace. La guerra, infatti, è diventata una sottospecie dell'usura della terra che viene continuata in tempo di pace, nel tentativo di accaparrarsi tutti i fondi e tutte le materie prime utili al proprio potenziamento, da cui non è escluso neppure l'uomo, che ormai non può nascondere a sé stesso di essere diventato a sua volta la più importante delle materie prime -. Ne sono prova quei cinquant'anni di pace che ci sono stati regalati da quella guerra fredda che era la tensione tra Est e Ovest. Dopo il crollo del comunismo come entità politico-geografica, l'Occidente diventa insospettatamente problema a sé stesso.
L'esistenza di un modello di vita non capitalistico che si estendeva dal Danubio al Pacifico, l'esistenza di un Sud del mondo impossibilitato a esprimersi in termini capitalistici, consentivano all'Occidente di realizzare il proprio modello, la cui possibilità di attuazione poggiava sul fatto che la crescita all'infinito era limitata a una parte dell'umanità: a quella parte che popolava l'Europa e l'America. Ma che ne è del modello occidentale al di fuori di questo limite? È compatibile questo modello con le risorse della terra e il numero dei suoi abitanti? Non è forse ora, e proprio ora, che l'Occidente incontri la sua contraddizione, quella che Marx ipotizzava avrebbe generato il comunismo, e che invece si fa evidente proprio con il crollo del comunismo? Forse sarebbe bene tornare a pensare, insieme a Heidegger, prima della distinzione tra guerra e pace, e dopo che la guerra, rovesciandosi nella pace, consentirà alla pace di proseguire nella sua incontrastata usura della terra”. Ho sempre sostenuto che il cosiddetto mondo avanzato, cristianizzato ed industrializzato, avrebbe potuto mantenere il suo primato economico-scientifico, e quindi di potenza, solo escludendo dallo sfruttamento delle risorse del pianeta Terra la fetta maggiore degli uomini che lo abitano. Era questa, e lo è tuttora, la pre-condizione necessaria ed indispensabile affinché il mondo civilizzato e modernizzato potesse continuare la sua abbuffata consumistica. Lo sfruttamento unilaterale delle risorse della Terra deve poggiare necessariamente sul rapporto di forza, militare, che è oggi spaventosamente sbilanciato a favore dell’Occidente. Ma pur qualcosa sta per accadere o di già è accaduto. Immensi paesi, in fatto di popolazione e di estensione, e custodi anch’essi di grandi ed antiche civiltà, hanno in questi ultimi decenni intrapreso anch’esse lo sfruttamento sistematico, e senza limiti, delle materie prime del pianeta Terra. Cina e India, che i geopolitici individuano nella nuova area politico-economica denominata Cindia, difficilmente cederanno a condizionamenti vari affinché limitino lo sfruttamento delle risorse della Terra ed ancor più accettino le limitazioni e le imposizioni sull’emissione degli agenti inquinanti atmosferici, delle acque e dei suoli. Siamo quindi ad un punto di svolta; quell’Occidente che sempre ha irriso al preannunciato sfascio ambientale dovrà di necessità fare buon viso a quelle potenze nuove che baldanzosamente ed affannosamente stanno percorrendo, con almeno un secolo di ritardo, la strada dell’irrefrenabile sviluppo dei consumi collettivi. Con quale danno ambientale è facilissimo immaginare. Ma tutto ciò concorre a ricreare un clima di tensione planetario che potrebbe facilmente sfociare in nuove attività di aggressione preventive dell’Occidente nei confronti del resto del mondo, ovvero individuando i punti di forza – delle risorse naturali ancora disponibili - da debellare con l’indicazione dei cosiddetti stati canaglia; un bel ginepraio davvero. E del destino della Terra? Nessuna preoccupazione: il comandamento è uno solo, consumare e consumare.

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