"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 20 maggio 2020

Ifattinprima. 64 «A ciascuno il suo: al governo le prescrizioni giuridiche alla società la promozione dell'etica della responsabilità».

Tratto da “L’obbedienza e la responsabilità” di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 30 di aprile 2020: (…). L'essere umano non come persona naturalis capace di autodeterminazione, ma come persona legalis forgiata dalla legge: l'ideale del giuridicismo estremo. Nelle 70 pagine dell'ultimo Dpcm con i suoi allegati c'è il disciplinamento di buona parte delle nostre giornate, in casa propria, per strada, nei luoghi di lavoro e di ricreazione, nelle scuole, nei negozi, nei ristoranti e nelle mense, nei parchi pubblici e nel modo di sedere e di salire e scendere dai mezzi di trasporto, eccetera.
Leggiamo di divieti di spostamento, di obblighi di distanziamento, di modalità di comportamento super-dettagliate perfino sul modo di starnutire, soffiarsi il naso, collocare le mascherine tra il mento e il naso medesimo. Le situazioni personali e personalissime, come la deambulazione e l'esercizio fisico, le occasioni di socialità come nei ritrovi amicali nelle case, nei servizi funebri, nelle cerimonie religiose e nei raduni in luoghi pubblici o aperti al pubblico sono oggetto di minutissima descrizione e regolamentazione. Le attività industriali, commerciali e professionali sono distinte in categorie dettagliatissime, dagli estetisti e parrucchieri ai lavoratori negli iper-mercati e nelle fabbriche. Leggiamo ammirati questa enciclopedia. Gli storici che, nel quarto millennio, si chiederanno come si viveva nel nostro inizio del terzo, troveranno in questo documento una summa che esaudirà e quasi esaurirà le loro curiosità. Apprenderanno che c'erano passeggiate solitarie e in coppia, cinematografi, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi scommesse e bingo, discoteche e locali assimilati (?). L'insidia del virus epidemico è invasiva al massimo grado e, dunque, la risposta non può essere grossolana e generica. Questo è ovvio. Tanti, anzi tantissimi, sono i momenti e i luoghi dell'esistenza che offrono occasioni all'infezione. Giusto che si faccia attenzione a tutte le pieghe in cui il contagio può insinuarsi e riprodursi. Solo certi giuristi credono, però, che le abitudini di vita si possano cambiare a colpi di decreti: le abitudini si cambiano con altre abitudini, non soltanto con le leggi. In qualunque società libera, le leggi senza le abitudini soccombono o, comunque, durano poco. Prima o poi, la loro efficacia, senza la collaborazione dei cittadini, perde mordente e rischia di finire come le grida impotenti del tempo di un'altra epidemia, quattrocento anni fa. Già ora si riscontra, nei discorsi e nelle condotte del tempo del coronavirus, un distacco, un'indifferenza e un'insofferenza crescenti. All'allentamento del timore o anche all'abitudine al pericolo corrisponde l'allentamento dei comportamenti. C'è perfino un inizio di teorizzazione in nome della libertà: che m'importa della salute e addirittura della vita se mi si priva della libertà? Nobilissimo è l'argomento. Ignora però, e questo è molto meno nobile, il piccolo particolare che nelle infezioni epidemiche in gioco non c'è solo la propria salute, la propria vita, la propria libertà, ma anche quella degli altri. È la tipica situazione "olista" in cui bene e male del singolo e di tutti si convertono l'uno nell'altro. L'argomento della libertà, come dotazione individuale, non vale. È un prezzo che la libertà individuale paga alla "globalizzazione", la globalizzazione dei rischi. Non c'è oggi una questione di "deriva autoritaria" o di "corsa ai pieni poteri", secondo categorie ricevute dal passato e usate per interpretare il momento presente. Almeno così mi pare. Anzi, mi paiono eccessivi e, talora, anche ridicoli gli alti lai sulla democrazia sospesa, sulla Costituzione violata, sui proclami al Paese di stampo peronista del presidente del Consiglio, eccetera. Mi chiedo quanto ci sia di esagerato e di strumentale in questi "al lupo, al lupo" e quanta incomprensione della natura del problema che abbiamo di fronte a noi. La critica, piuttosto, mi pare debba essere indirizzata altrove: in quella pretesa di trasformarci in persone modellate giuridicamente, (…), come se la virtù del buon cittadino sia di essere semplicemente un "osservante" che s'inchina a un legislatore onnipossente. In una società libera e di fronte a problemi dove il bene dei singoli e il bene di tutti si implicano strettamente, la legge incontra limiti di efficacia se non può contare sulla partecipazione responsabile di ciascuno e di tutti. E questa è una questione etica. Orbene, i Dpcm da cui siamo partiti mescolano vere e proprie prescrizioni giuridiche, con annessa comminazione di sanzioni, a consigli ed esortazioni che, evidentemente, di giuridico hanno poco o nulla ma riguardano l'assunzione di condotte autonome e responsabili. Bene sarebbe distinguere: una cosa è l'ubbidienza, altra cosa è la responsabilità. Il difetto è la confusione. La prima è cosa giuridica, la seconda è cosa etica. I mezzi per promuovere l'ubbidienza non sono quelli per promuovere la responsabilità. Anche quest'ultima implica doveri, ma sono doveri autonomi che ciascuno impone a se stesso in nome della libertà propria e degli altri, in nome cioè della solidarietà. Mescolare ubbidienza e responsabilità è cosa contraria alla natura dell'una e dell'altra, come mescolare soggezione e adesione, vincolo e libertà. Chiamare all'ubbidienza e sollecitare la responsabilità sono cose profondamente diverse. A ciascuno il suo: al governo le prescrizioni giuridiche (vietare, consentire e imporre), alla società nelle sue tante articolazioni, la promozione dell'etica della responsabilità.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, la lettura di questo importantissimo post mi ha offerto un'ottima opportunità di riflessione e pertanto vorrei, prima di tutto, esprimerti la mia gratitudine. Il concetto di libertà richiama a gran voce quello di responsabilità e quello di solidarietà, dai quali, come la voce della coscienza ci suggerisce, la vera libertà non può prescindere. Se manca il senso di responsabilità e il desiderio di solidarietà, la libertà rischia di cadere nella trappola del libertinaggio che, mascherato da una finta libertà, è invece la negazione della libertà stessa. La presenza dell'altro rende la libertà responsabile, in quanto ogni scelta e decisione dovrebbe tener conto delle conseguenze, non solo per la propria vita, ma anche, e prima di tutto, per la vita degli altri. L'altro nel suo esistere ci rende sempre e in ogni caso responsabili...È necessario pertanto prendere la libertà dell'altro a misura della propria azione e del proprio limite. L'essere reciprocamente responsabili è una scelta importante, perché aprirà, sicuramente, anche la strada al diventare vicendevolmente disponibili ad aiutare gli altri nelle loro necessità e nei loro bisogni. Grazie ancora e buona continuazione. Agnese A.

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