"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 30 maggio 2020

Cosedaleggere. 44 «Sceglie l’Io o sceglie l’inconscio?».


Ha sostenuto la carissima amica Agnese A. in un Suo commento al post del 28 di maggio ultimo: “Un restringimento dello spazio dei rapporti sociali corrisponde a un'espansione dello spazio dell'anima, della coscienza”.
Non è difficile intuire che quel “restringimento” si riferisca alla condizione che ci è stata richiesta – ed imposta - in questo tempo di pandemia, tempo che siamo chiamati ad affrontare e vivere più che responsabilmente. “Un restringimento” che è al contempo una “espansione” delle coscienze scrive Agnese A., “espansione” delle coscienze tanto necessaria stante la pericolosità del morbo che affligge oramai tutte le contrade del mondo. Ebbene, come contemperare quel “restringimento” imposto - ma necessario - nella pandemia con la condizione propria degli "umani condannati alla libertà", così come sostenuto dallo psicoterapeuta Massimo Recalcati nel volume “La tentazione del muro” – “feltrinellieditore” – un estratto del quale è stato riportato sul quotidiano “La Stampa” del 28 di maggio 2020 col titolo "Noi umani condannati alla libertà"? Ha scritto la carissima amica nel Suo commento: (…). …amo tanto "solitudine e silenzio". (…). L'uomo ha necessità di fermarsi a riflettere, per sviluppare dei pensieri che rendano meno angoscianti i momenti di silenzio e solitudine, dai quali non si può perennemente fuggire, perché essi spingono a un ritorno alla propria interiorità. Il silenzio fecondo della solitudine, le letture sono autentici, nella misura in cui determinano una "metanoia" verso la solidarietà e il bene. La riflessione è necessaria per farci conoscere i nostri limiti, per mettere a punto la bussola interiore, condizioni necessarie per ritrovare la strada maestra in un mondo che cambia vorticosamente. È utile per rivedere stili e modi di comportamento, per ritrovarci e ritrovare rapporti sinceri. Un restringimento dello spazio dei rapporti sociali corrisponde a un'espansione dello spazio dell'anima, della coscienza e alla quantità di persone con cui interagire viene sostituita la qualità delle persone. La solitudine è una condizione costruttiva in cui godiamo della nostra compagnia e della nostra piena libertà. È una solitudine in cui non ci si sente soli, perché in compagnia di pensieri, contenuti, ricordi, momenti che appartengono al presente e al passato. Abbiamo bisogno di appartenerci, ritrovarci, bastarci, darci conforto, perderci nei nostri pensieri vaganti, liberi da vincoli e interferenze. È importante stare da soli con noi stessi, perché questo ci rende più consapevoli e più forti, veramente pronti ad interagire con gli altri. Attingere da sé, avere le risorse e le capacità di utilizzare in modo costruttivo questa dimensione è uno straordinario punto di forza. Devo alla carissima amica Agnese A. un doppio ringraziamento sia per il Suo straordinario commento al post sia per la Sua cortese segnalazione del brano di Massimo Recalcati che di seguito riporto: Libertà è una parola fondamentale, se non la parola fondamentale per ogni lessico civile. La vita umana non è solo domanda di appartenenza ma anche esigenza di libertà, desiderio di erranza. Tuttavia, la libertà non è solo un’esperienza di liberazione, di affermazione della singolarità della propria vita, ma è anche, paradossalmente, una «condanna». L’uomo è, infatti, come affermava Sartre, «condannato a essere libero». L’esistenza umana è, in quanto tale, sempre condannata alla libertà. A differenza del mondo animale dove la legge dell’istinto predomina univocamente determinando comportamenti reattivi, fissati geneticamente, che non implicano la dimensione etica della scelta, nel mondo umano la catena propria dello schema istintuale viene sospesa, interrotta, traumatizzata. Per questo la pulsione, rispetto all’istinto, è più libera di «scegliere» modalità di soddisfazione che non sono necessariamente previste dal carattere univoco dello schema istintuale. Il pensiero, la fantasia, l’immaginazione, l’erotismo sorgono da questa libertà dall’istinto rendendo possibili diverse modalità di soddisfazione rispetto alla rigidità di quello schema. Questo significa che non possiamo mai liberarci dalla libertà, che se siamo liberi non è perché abbiamo scelto la libertà, ma perché siamo gettati nella libertà, forzatamente consegnati, vincolati, incatenati alla libertà. Nessuno infatti può scegliere al nostro posto e, anche quando decidessimo di sottometterci senza riserve a un padrone, quando decidessimo di fuggire dalla libertà, sarebbe sempre e comunque una nostra libera scelta, una manifestazione irriducibile della nostra libertà. Per questa ragione, in quanto condanna, vincolo, consegna, la libertà è il luogo elettivo dell’angoscia di fronte al dilemma della scelta. Non posso liberarmi dalla responsabilità della scelta, non posso sottrarmi al suo peso. Anche se scelgo di non scegliere, questa opzione resterà sempre espressione di una scelta singolare. In psicoanalisi non è però mai scontato chi sceglie. Sceglie l’Io o sceglie l’inconscio? L’inconscio può essere un alibi che solleva dalla responsabilità («non sono stato Io, è stato lui, è stato l’Es!»), oppure può dilatare la nozione di responsabilità. Freud si chiedeva, non a caso, se possiamo considerarci responsabili anche dei nostri sogni. Per questa ragione la libertà non è solamente una brezza, una corsa, ma implica sempre la tentazione ambigua della sua negazione, la tentazione di disfarsi della libertà. Anzi, potremmo addirittura affermare che la vita umana sia lacerata dalla libertà. È aspirazione alla libertà e, al tempo stesso, angoscia di fronte alla libertà; è spinta a essere radicalmente libera e, al tempo stesso, è spinta a evitare la vertigine della libertà, a sabotare la propria libertà. A proposito di quest’ultima inclinazione Nietzsche parla di una «nostalgia della terra» che affliggerebbe anche i più grandi navigatori. In mezzo all’orizzonte infinito del mare non sperimentiamo solo l’ebbrezza della libertà, della dilatazione dei confini, dell’incontro con l’infinito, ma, ricorda Nietzsche, è sempre in agguato la «nostalgia della terra», per il suolo, per la propria casa. Questo significa che la libertà non può mai essere del tutto dissociata dall’angoscia per la libertà. Questa angoscia anima per Freud la pulsione securitaria, ovvero la pulsione che, anziché spingere la vita in avanti, la riporta indietro, la rivolge alla difesa autoconservativa della propria identità. Si tratta, (…), di una pulsione altrettanto fondamentale di quella erotica, che invece tende a formare aggregazioni sempre più vaste, a espandere il suo raggio d’azione, ad allargare gli orizzonti del mondo. In Fuga dalla libertà Fromm distingue la «libertà da» dalla «libertà di». La prima è ancora una forma immatura della libertà, che prende le sembianze della semplice opposizione, come accade, per esempio, nell’adolescenza, dove il figlio rivendica una libertà che è solo una libertà «da», per esempio dalle norme più o meno rigide che la sua famiglia o la scuola gli impongono. Questa libertà – la «libertà da» – mantiene ancora un legame di dipendenza con le persone che si sono prese cura della vita del figlio. In questo modo il soggetto che si dichiara libero può comunque preservare sempre il carattere «primario» dei suoi legami più profondi. Si tratta di una libertà che può sempre ritornare nel grembo da cui il soggetto si è separato. In questo senso è una forma incompiuta della libertà e del processo di individuazione. Diversamente, la «libertà di» è la forma compiuta della libertà che implica la realizzazione del processo di individuazione. Per chiarire questa differenziazione Fromm fa riferimento al mito biblico del giardino dell’Eden. La libertà di Adamo ed Eva prima del gesto della trasgressione sarebbe stata solo una forma incompiuta della libertà. Essi infatti vivevano perduti nell’immediatezza armonica della natura. È solo l’infrazione dell’interdizione di accedere all’albero della conoscenza che interrompe questa fusione senza differenza. In questo atto di disobbedienza Fromm legge la prima manifestazione della libertà umana. La sofferenza che deriva da questo atto – l’espulsione dal giardino dell’Eden – mostrerebbe che la «libertà da» Dio non coincide però ancora con la libertà autoaffermativa del soggetto, con la sua piena «libertà di» esistere autonomamente. È solo la recisione definitiva di questo rapporto di dipendenza a poter sancire il passaggio dalla «libertà da» alla «libertà di». Ma la «libertà da» in sé stessa non può mai assicurare il passaggio alla «libertà di». Questo significa che la necessaria liberazione dalle costrizioni non coincide ancora con l’esercizio compiuto della libertà.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, la libertà è radicata nella struttura più intima dell'esistenza dell'uomo e pertanto ne caratterizza l'esistenza stessa, cioè "non siamo liberi di non essere liberi". Ma l'uomo vive la propria libertà con terrore e angoscia. È condannato alla libertà, obbligato ad esercitarla, con tutte le responsabilità che ne derivano, poiché la scelta implica sempre il rischio dell'errore. Il termine responsabilità deriva dal latino "responsum" risposta e si potrebbe definire come la capacità di rispondere dei propri comportamenti, cioè la piena consapevolezza delle proprie azioni e l'accettazione delle relative conseguenze. Poiché la scelta in quanto tale costituisce l'essenza dell'uomo, ritengo che, per liberarsi dall'angoscia e scegliere responsabilmente, sia fondamentale ascoltare la propria voce interiore, la voce della coscienza e lasciarsi guidare da essa. Questo ci consentirà di essere veramente responsabili nelle scelte, ma soprattutto ci eviterà di incorrere nel pericolo di seguire i suggerimenti poco illuminanti dell'inconscio. Grazie e buona continuazione. Agnese A.

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