"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 13 marzo 2020

Lalinguabatte. 97 «La categoria della crescita è diventata una forma mentis, uno stato d'animo, un rimedio all'angoscia».


Rileggere “Se la crescita è zero” - che è stata una corrispondenza di Umberto Galimberti apparsa su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica” (del maggio 2008?) - al tempo della pandemia da “coronavirus” finalmente riconosciuta dalla OMS? Perché no. Potrebbe servire nell’occasione tragica che si sta vivendo.
Ma ancor prima. Al tempo che gli incontri conviviali non erano sottoposti alla tirannia del “coronavirus” raccontava una carissima amica come la figliola sua, appena sbarcata non molto tempo addietro dalla nave che l’aveva condotta in crociera nella stupenda Grecia, si fosse lasciata andare ad un dirotto pianto appena rimessi i piedini suoi sul sacro suolo della patria avita. Alle ammirate considerazioni di noi astanti sulla elevata sensibilità emotiva dimostrata dalla pulzella, la quale evidentemente - pensavamo noi poverelli - aveva patito il distacco dal suo nucleo affettivo, l’amica carissima prontamente precisava che lo scoppio in pianto della figliola sua era stato scatenato, con fortissimi strazianti singulti anche, per il solo motivo che la crociera fosse giunta repentinamente – a suo dire - al termine. Non ho potuto in quell’occasione non fare osservare agli astanti come un siffatto comportamento della pulzella fosse compatibile e prevedibile con il clima educativo-mediatico che si respira nel bel paese, clima che induce ad acquisire come necessarissimi anche i bisogni superflui se non quelli del tutto inutili; e citavo, in quell’occasione, lo spot seguitissimo che ha circolato per tanto tempo sugli schermi nel quale due di quei tali “bamboccioni”, appena rientrati dalla crociera organizzata dalla famosissima agenzia xyz, si lasciavano cadere in un “cupio dissolvi” da immediato internamento in centri di igiene mentale. Tale è la condizione dell’essere umano nell’era della globalizzazione; un appagamento dei propri “bisogni indotti” sfrenato, senza limiti, senza responsabilità alcuna verso gli esseri umani presenti e futuri, che si troveranno, questi ultimi, a sopravvivere su di un pianeta Terra depauperato delle sue risorse migliori. Maledettamente destinati ed ancorati alla “crescita” ed a consumare voracissimamente – come insaziabili locuste - sono questi umani del ventunesimo secolo! L’illustre Autore ne ha scritto da par Suo: Scrive Ervin Laszlo in “I limiti interni della natura umana” (Feltrinelli): - Credete davvero che le nostre responsabilità finiscono nel momento in cui garantiamo il nostro benessere e che dovremmo lasciare la prossima generazione a cavarsela da sola, come ha dovuto fare la nostra? -.  Abbiamo tutti l'impressione di diventare collettivamente più poveri. Non parlo dei poveri che il fisco risparmia, ma di quella classe media che, essendo diventata negli ultimi decenni la classe di tutti, ha finito per dissolvere perfino le rivendicazioni di classe, sostituendole con le rivendicazioni di categoria. Si può sempre dire che un po' di povertà non fa male: contiene i costumi che abbiamo spinto un po' all'eccesso, spopola i ristoranti dove la troppa gente non riesce più a scambiar parola, riduce il traffico che ha trasformato le vie della nostra città in un unico grande parcheggio, allenta la morsa dei weekend forzati, assottiglia, nelle agenzie di viaggio, le folle di quanti pensano che basta cambiar cielo per cambiar animo, costringe le discoteche a chiudere qualche ora prima, riducendo a molti giovani le loro chances di finire direttamente al cimitero. Eppure, nonostante questi vantaggi secondari, un senso d'inquietudine pervade sia i singoli individui sia le imprese che si sentono impotenti a modificare l'andamento dell'economia, la quale, per effetto della globalizzazione e forse della supremazia dell'aspetto finanziario (e virtuale) su quello produttivo (e reale), sembra sia divenuta qualcosa di trascendente, qualcosa di governato da un dio ignoto, i cui disegni nessuno davvero conosce. Tutto ciò comporta, come dicono gli economisti, un rallentamento della crescita, quando non addirittura una crescita zero. E qui siamo a quella parola subdola: “crescita”, che gli economisti applicano sia ai Paesi diseredati che raccolgono tra l'altro i quattro quinti dell'umanità, sia ai Paesi già sviluppati che nonostante ciò devono crescere. Fin dove? E a spese di chi? E a quali costi ambientali? Qui l'economia tace perché il problema non è di sua competenza, e con l'economia tacciono anche le voci degli uomini che alle leggi dell'economia si devono piegare. Quando dico economia non dico solo agricoltura, commercio, industria e finanza, ma dico soprattutto mentalità diffusa, modo di sentire, categoria dello spirito del nostro tempo, perché questo è diventato l'imperativo categorico della crescita. Figli come siamo di padri, che a loro volta sono cresciuti sul lavoro dei nonni, siamo ormai alla terza o quarta generazione che cresce con un ritmo che la storia non ha mai conosciuto. La categoria della crescita è così diventata una forma mentis, uno stato d'animo, un rimedio all'angoscia, una garanzia per sé e per i propri figli, una caparra per il futuro, per cui, se per mettere in ordine i conti, se per una finanziaria dura questa speranza nella crescita si affievolisce accade una paralisi del pensiero, una confusione del sentimento, un'ansia per il futuro, un senso di inquietudine. Se in cambio dei soldi che toglie dalle nostre tasche, la crescita zero ci desse l'opportunità concreta di incominciare a riflettere sull'assurdo ritmo che ha assunto la nostra esistenza, e soprattutto sul fatto che regolare tutto sul modello di una crescita all'infinito ha parentela con l'assurdo, allora anche la crescita zero, che finora tocca solo i nostri soldi e non la nostra pelle o la dignità dell'uomo, come ancora accade in troppe parti del mondo, può essere accettata come una buona occasione per raddrizzare non solo il nostro costume, ma anche la qualità del nostro sguardo sulla vita e sul mondo.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, non posso fare a meno di soffermarmi sulla conclusione di questo post prezioso per chi intende veramente,come si suol dire,"fare di necessità virtù"."La crescita zero... può essere accettata come una buona occasione per raddrizzare non solo il nostro costume, ma anche la qualità del nostro sguardo sulla vita e sul mondo". Bisogna imparare a vivere,riducendo il superfluo, i desideri e anche le certezze, perché le certezze non esistono, sono un'invenzione dei nostri tempi. La vita non dà certezze ed è meravigliosa proprio per questo, perché senza certezze ci stupisce tutti i giorni. Bisogna uscire dall'ipnosi della crescita economica e guardare verso una crescita diversa, una crescita della capacità di amare. Questa è la vera crescita, quella più importante e necessaria. Colui che non ha relazioni autentiche, profonde e sincere non crescerà! Per crescere veramente in umanità, l'amore verso l'altro deve basarsi prima di tutto sul rispetto e sull'accettazione consapevole dell'altro,anche nella sua differenza. Grazie e buon lavoro. Agnese A.

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