"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 18 gennaio 2020

Dell’essere. 19 «Jaques Maritain diceva: La nostra civiltà ha creato degli angeli che Dio non aveva previsto».


Di quell’illustre antropologo non mi sovviene il nome, né tanto meno il suo scritto che tanto mi indusse a riflettere. E della fallacia della mia memoria me ne dolgo assai. Ma la storia è questa. Quel tale illustre antropologo, dedito alla scoperta ed allo studio di gruppi umani viventi agli estremi margini della cosiddetta civiltà, aveva organizzato una spedizione per addentrarsi nella foresta la più impenetrabile che avesse mai visto. Assieme ai suoi collaboratori si accompagnava, per quei luoghi inesplorati, ad un ben nutrito gruppo di indigeni molto più esperti del territorio. Alla testa del folto gruppo il nostro procedeva spedito, con passo lesto assai, su per i tracciati di sentieri, guadando lestamente piccoli corsi d’acqua, manna insperata per quei luoghi che furono indubitabilmente la culla della intiera razza umana. Giunti su di un pianoro erboso, dal quale la vista spaziava per distese infinite, il nostro vide i portatori, e l’intiero gruppo di indigeni che coadiuvava alla impresa, lasciar cadere pesantemente in terra zaini e fardelli vari come presi improvvisamente da una stanchezza invincibile. Al nostro non rimase che chiedere al capogruppo la causa di quella inattesa stanchezza che aveva sconfitto quegli uomini adusi alle fatiche le più immani. La risposta dell’altro uomo fu sorprendente. Quegli uomini non erano niente affatto stanchi, è che erano stati costretti a correre tanto che le loro anime erano rimaste indietro, lontane dai loro passi affrettati, e necessitava pertanto attenderle per ricomporre quell’unità di corpo e mente che si era inutilmente e pericolosamente spezzata. Storia veramente straordinaria. Viviamo per l’appunto tempi nei quali la frattura tra la nostra realtà corporea e la nostra mente determina comportamenti che generano paura, paura dell’altro, paura forse anche di noi stessi, sol che avessimo il tempo per rifletterci sopra. Ho ripensato a questa storia dopo aver letto la corrispondenza, come sempre straordinaria e dotta, di Umberto Galimberi “Adolescenza e amore”, pubblicata sul supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di agosto dell’anno 2009 che di seguito trascrivo nella quasi sua interezza.
Scrive Denis de Rougemont: - Ma quanti uomini conoscono la differenza tra un'ossessione che si subisce e un destino che si sceglie? - Se l'adolescenza è l'età in cui i gesti non sono ancora diventati stili di vita, e le azioni si esauriscono nei gesti, se i progetti si dileguano nei sogni e le passioni di un giorno si cancellano in una notte, se il corpo si fa e si disfa a secondo delle ore del giorno, e i modelli che si assumono per darsi un contegno registrano quotidianamente la nostra infedeltà, se è l'età in cui il cuore non ha ancora deciso se avere legami con l'ideale o col sesso, perché crucciarsi? L'adolescenza è questo. Una stagione della vita caratterizzata dall'incertezza, dall'ansia per il futuro, dall'irruzione delle pulsioni, dal bisogno di rassicurazione accompagnato dal rifiuto di essere rassicurati, dal desiderio sfrenato di libertà intesa non come stile di vita, ma come revocabilità di tutte le scelte. E siccome è una stagione che non si può evitare, basta vivere con tranquillità tutte queste contraddizioni, che nell'adolescenza si danno convegno per assaggiare tutte le possibili espressioni in cui in seguito, ma solo in seguito, può cadenzarsi la vita. (…). …un filosofo cattolico, Jaques Maritain, diceva: - La nostra civiltà ha creato degli angeli che Dio non aveva previsto -, che poi siete voi adolescenti che a dodici, tredici anni già disponete di una capacità sessuale che la nostra cultura non vi consente di impiegare per fini riproduttivi. So benissimo che angeli non siete e come angeli non vi comportate, però non bruciate troppo rapidamente quell'intervallo che esiste tra il desiderio e la sua soddisfazione, perché in quell'intervallo si alimenta il desiderio che la soddisfazione estingue, mentre il potenziamento del desiderio genera l'idealizzazione dell'altro, l'immaginazione, la creazione di un linguaggio che potenzia la seduzione, in una parola, in quell'intervallo tra il desiderio e la sua soddisfazione, si crea la psiche. E tutti sappiamo che un amore solo carnale non potenziato dalla psiche è idraulica. Penso, ad esempio, che uno degli effetti più devastanti, e forse anche studiati, della pornografia è l'estinzione del desiderio che, come ci insegna la filosofia da Platone e Deleuze, è potenzialmente rivoluzionario. Forse tanta sessualità diffusa e propagata a buon prezzo ha come obbiettivo quello di creare una generazione di giovani conformisti, omologati, assuefatti, annoiati. E quindi quieti. Va da sé che un po' di inquietudine non guasta. Serve per ispezionare tutte le possibili vie che la vita dischiude con più attenzione, con più riguardo, affinché quei percorsi siano davvero i nostri. E nostre, e non di chiunque, le orme che lasciamo sulla strada che abbiamo deciso di percorrere. Spesso le strade dei giovani, più che giuste o sbagliate, sono strade anonime, scelte da una sorta di si fa così, senza davvero sapere se così è proprio la nostra scelta, il nostro stile, in cui davvero poterci riconoscere con il nostro nome.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, la storia, a cui tu fai riferimento in questo post eccezionale, è veramente molto significativa e quindi un validissimo motivo di riflessione. A volte la disconnessione tra anima e corpo è causata dalla fretta quotidiana, perché corriamo da un impegno all'altro, senza dedicare un minuto a noi stessi. Quando siamo immersi in questo stile di vita, sicuramente il rischio che corriamo è quello di separarci dai nostri veri desideri e bisogni e da noi stessi. Ogni volta che si corre, l'anima resta indietro. Bisogna, invece, cercare di far vivere in sintonia mente e corpo, di essere pazienti e non permettere che la fretta con cui viviamo ci separi dal nostro "io". Anche quando la nostra anima è ferita, è consigliabile arrestarsi durante il cammino e aspettare pazientemente che la nostra anima guarisca e ci raggiunga. Bisogna prendersi il tempo necessario e recuperare i pezzi rotti per rimetterli a posto. Se, invece di aspettare, prendere tempo per riflettere e attendere che le ferite guariscano, torniamo a vivere intensamente, solo per dimenticare, corriamo il rischio di separarci dalla nostra vera essenza.Il segno della ferita latente condiziona il nostro comportamento, anche se non ne siamo sempre consapevoli. È necessario un cambiamento interiore, possiamo uscirne rafforzati, solo se impariamo la lezione. Grazie e buona continuazione. Agnese A.

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