"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 20 dicembre 2019

Letturedeigiornipassati. 76 «Quel circolo vizioso in cui si è incagliata la nostra economia».


Tratto da “L'ossessione del lavoro al tempo della crisi”  di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 20 di dicembre dell’anno 2014: Più l’occupazione scarseggia, più nella sua ricerca riponiamo ogni speranza di realizzazione.
Un circolo vizioso che si può spezzare solo ripensando la società. (…). Segue la vera domanda: «Perché, oggi, in tempi di crisi globale, la ricerca di un lavoro in se stessa è, semplicemente, tutto?». La risposta non è difficile. Quando il lavoro è visualizzato nel solo ambito dell'economia, che oggi vive nella morsa tra l'imperativo della crescita da un lato e una società, che per il solo fatto di diventare sempre più tecnologica, comporta inevitabilmente una riduzione dei posti di lavoro, il sogno più antico del mondo, la liberazione dal lavoro, si trasforma in un incubo, e trovare un lavoro il massimo desiderio, perché l'attività lavorativa è diventata l'unico indicatore della riconoscibilità dell'uomo. Già nel 1932 il filosofo tedesco Ernst Jünger scriveva: «Il lavoratore sta diventando il "tipo umano" che si avvia a occupare la scena della storia, dietro le macerie della cultura e sotto la maschera mortuaria della civiltà». Infatti, quando il lavoro è imprigionato in quel circolo vizioso in cui si è incagliata la nostra economia, che ci prevede unicamente come produttori e consumatori per garantire la crescita, difficilmente il lavoro può diventare il luogo in cui l'uomo realizza se stesso, la sua capacità, le sue ideazioni, la sua progettualità, perché ciò che incontra è unicamente la sua strumentalità all'interno di un apparato economico diventato fine a se stesso. E qui sorge ineluttabile la domanda: è davvero il caso di assegnare per intero all'economia il compito di dare espressione all'uomo, senza nessun'altro orizzonte di senso che non sia quello del fare produttivo? Se così fosse ci troveremmo di fronte alla più grande alienazione mai conosciuta nella storia, dove a regolare la società resta in campo un solo valore: il valore del denaro assunto a unico generatore simbolico di tutti i valori, con quel che ne consegue in ordine a tutte le possibili espressioni che la vita umana potrebbe dispiegare e che, nell'egemonia dell'economia, vengono conculcate perché a suo giudizio improduttive. Che fare? Nulla finché a regolare la nostra vita ci saranno esclusivamente valori economici e altri non se ne profilano all'orizzonte.

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