"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 11 novembre 2019

Letturedeigiornipassati. 66 «L’America è fatta così».


Tratto da “Le campagne di Trump” di Siegmund Ginzberg, pubblicato sul quotidiano la Repubblica dell’11 di novembre dell’anno 2016: Guardando le mappe del risultato delle presidenziali americane, ho una strana sensazione di deja vu. Specie quella dei risultati contea per contea. Ancora più della mappa del voto stato per stato, mostra un piccolo numero di poligoni azzurri (il colore che tradizionalmente indica il voto democratico) accerchiato da un mare immenso di poligoni rossi (il colore del voto repubblicano). Le periferie (le campagne, avrebbe detto Mao un tempo) hanno accerchiato e sommerso le città. (…). Hillary Clinton ha preso il 93 per cento dei voti nel District of Columbia, il cuore della capitale Washington. L’80 per cento e più a Manhattan e negli altri distretti di New York City. Oltre il 70 a Los Angeles e Chicago. In numero assoluto di voti, Clinton ne ha presi almeno 200.000 più di Trump. Che alla Casa Bianca vada Trump, che di voti ne ha presi meno di lei, dipende dal sistema dell’Electoral College, per cui in ciascuno Stato il primo arrivato prende tutti i grandi elettori. Nessun sistema elettorale è perfetto. Loro se lo tengono com’è da due secoli. Rispondeva, pare, alla preoccupazione dei padri fondatori della Costituzione che i più popolosi Stati del Nord pesassero molto più degli altri. Ma la mappa del voto contea per contea mette ancor più in risalto un’altra anomalia: il voto democratico (blu) si concentra in alcune piazzeforti assediate da un mare repubblicano (rosso). L’America è fatta così: grandi città circondate da enormi estensioni molto meno abitate. Persino a New York se si esce dalla città si è subito immersi nel verde infinito della Hudson Valley. Anzi, in questa stagione di foliage autunnale, da infinite sfumature di rosso e giallo, di struggente bellezza. Nelle grandi città la percezione dominante è quella delle élite. Nel resto del paese è sparso l‘“americano medio”. La mappa delle contee sarebbe dominata dal rosso anche se avesse vinto la Clinton, e lo era anche quando vinse Obama. Anche in America le città sono in genere più “di sinistra”, più moderniste, e le campagne più “di destra”, più conservatrici. È sempre stato un po’ così. Anche in Europa. La Parigi della Rivoluzione francese ebbe i suoi guai con la Vandea cattolica e contadina che parteggiava per Nobili e Monsignori. Un classico degli anni ’60, “Le origini della dittatura e della democrazia” di John Barrington Moore, faceva delle campagne la culla della prima e delle città la culla della seconda. Il nazismo, contrariamente a quel che si può credere, non si era affermato a Berlino, città ad esso ostile, ma nella provincia. Nel suo “E adesso piccolo uomo”, Hans Fallada raccontò quasi in presa diretta come i kleine mann avevano cominciato ad amare Hitler. In America, per spiegare Trump ritorna il concetto, che risale agli stessi anni Trenta, dei forgotten men, la classe media bianca arrabbiata, “dimenticata” e “invisibile”, tanto da sfuggire ai sondaggi. Allora non andò allo stesso modo dappertutto. In America i “dimenticati”, avevano votato per Roosevelt, che gli offriva il New Deal. In Francia avevano votato per il Fronte popolare di Léon Blum. La cosa più sgradevole delle mappe di queste presidenziali Usa è che ritraggono un vento cattivo che non soffia solo in America. C’è chi ha notato che la vittoria di Trump è una sorta di Brexit, ma di portata mondiale. (…). Le campagne che accerchiano le città erano una delle immagini più fortunate di Mao e della sua rivoluzione militare e contadina. Se però ci sia in Cina un vento analogo a quello che soffia in America e in Europa non ci è dato sapere: semplicemente perché la Cina non vota.

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