"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 16 novembre 2019

Lalinguabatte. 82 «La grettezza è incapace di pensieri generali».


Scrive Nietzsche: «Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sé al manicomio». (…) Se dopo il crollo del muro di Berlino si è diffuso nel mondo il pensiero unico, in Italia, oltre al pensiero, si è diffuso anche il “sentimento unico” che guarda al massimo con compatimento, quando non con disinteresse e a colpi di rimozione, i più disagiati della terra, che non sono solo i migranti, ma quanti ogni giorno perdono il lavoro e, nella scala sociale, scendono ai livelli minimi di povertà. Il sentimento unico esonera dal pensiero e fa da linea guida acritica alle proprie convinzioni, che diventano ogni giorno sempre più radicate, perché, a differenza del pensiero, il sentimento non è mai attraversato dal dubbio, per coltivare il quale bisognerebbe avere fonti di informazioni che non si riducano ai programmi televisivi, dove parlare di disagio, di sofferenza, di ingiustizia, non solo non fa ascolti, ma addirittura infastidisce. (…). …occultare la realtà, indebolire le fonti di acculturazione, dalla scuola all'università, all'editoria, oggi più attenta agli autori di successo che alle idee, indebolisce il senso critico e fa sentire chi la pensa diversamente fuori tempo, senza referenti, senza rappresentanti, senza speranza, finché, per evitare l'isolamento e la solitudine, si adegua, e si adagia in quello stato di passività emotiva che toglie slancio e voglia di impegno. Tutto ciò può essere vantaggioso sul presente a chi governa, ma che futuro può attendere un popolo ridotto a massa inerte che assorbe tutto e non reagisce più?. Ove si parla di seguito – “Parte terza. L’uomo gretto” - della “grettezza”, della quale magistralmente ne scriveva il professor Umberto Galimberti in una Sua corrispondenza del 17 di aprile dell’anno 2010, corrispondenza pubblicata sul supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica” col titolo “Il sentimento unico”, corrispondenza che ho appena trascritto in parte. E la memoria di quella autorevolissima riflessione e la sua ricerca affannosa tra i miei ritagli, per associarla alla parte terza dell’”Antropologia del conformista che fugge dalla libertà” del professor Gustavo Zagrebelsky, che trascrivo, penso rappresenti un giusto tratto d’unione poiché essa, l’autorevole riflessione intendo dire, individua e delinea la “misura” esatta della figura nuova che emerge dai “tipi umani” tratteggiati in quello straordinario intervento del professor Zagrebelsky, intervento tenuto il 16 di giugno dell’anno 2011 all’Auditorium della Musica di Roma nell’ambito delle lezioni “Le parole della politica”, intervento pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”: (…). L'uomo gretto è interessato solo a ciò che tocca la piccola sfera dei suoi interessi privati, indifferente o sospettoso verso la vita che si svolge al di là, che chiama spregiativamente la politica. Rispetto alle questioni comuni, il suo atteggiamento l'ipocrita superiorità: certo gli uni hanno torto, ma nemmeno gli altri hanno ragione, dunque è meglio non immischiarsi. La grettezza è incapace di pensieri generali. Al più, in comune si coltivano piccoli interessi, hobby, manie, peccatucci privati, unitamente a rancori verso la società nel suo insieme. Nell'ambiente ristretto dove si alimentano queste attività e questi umori, ci si sente sicuri di sé e aggressivi ma, appena se ne esce, si è come storditi, spersi, impotenti. La grettezza si accompagna al narcisismo e alla finta ricerca della cosiddetta autenticità personale che si traduce in astenia politica accompagnata dal desiderio d'esibirsi. In apparenza, è profondità esistenziale; in realtà è la vuotaggine della società dell'immagine. Il profeta della società gretta è Alexis de Tocqueville, nella sua analisi della uguaglianza solitaria: vedo una folla innumerevole di uomini simili ed eguali che girano senza posa su se stessi per procurarsi piccoli, volgari piaceri. Ciascuno di loro, tenendosi appartato, è estraneo al destino degli altri: se ancora gli rimane una famiglia, si può dire almeno che non abbia più patria. Su questa massa solitaria s'innesta la grande, terribile e celebre visione del dispotismo democratico: ‘al di sopra di costoro s'innalza un potere immenso e tutelare, che s'incarica da solo di assicurare il godimento dei loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Ama che i cittadini siano contenti, purché non pensino che a stare contenti’. Ora, chi invoca su di sé un potere di tal genere, immenso e tutelare, è un uomo libero o è un bambino fissato nell'età infantile? (…).

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