"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 4 luglio 2019

Letturedeigiornipassati. 11 Paolo Villaggio: «La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca».


Questo post è per ricordare un grande, Paolo Villaggio, mancato il 3 di luglio dell’anno 2017. Ho avuto la fortuna, tante estati fa, di assistere ad un Suo spettacolo allestito nel teatro greco di Tindari. Una esperienza straordinaria, indimenticabile. Poiché in quell’incantevole scenario affacciato sul Tirreno quel “genio” tenne da solo il peso di tutto lo spettacolo con un monologo mozzafiato. Da solo. Ma mi va di ricordarlo anche quando, sotto la direzione del grande Federico Fellini, interpretò una figura straordinaria – il prefetto Gonnella – in “La voce della luna”, interpretazione che gli valse il David di Donatello quale “Miglior attore protagonista”. Era l’anno 1990. Marco Travaglio lo ha ricordato il 4 di luglio dell’anno 2017 con l’editoriale “L’ultimo genio” pubblicato su “il Fatto Quotidiano”:
(…). Se rinascesse oggi, Fantozzi resterebbe clandestino. Me ne accorsi una decina di anni fa, quando lo conobbi nei camerini di Victor Victoria. Ospiti della Cabello, attendevamo il nostro turno. Lui, vestito col solito caftano per risparmiarsi il fastidio di infilarsi i pantaloni, aprì un bustone che teneva sottobraccio e ne srotolò il contenuto: “È la mia colonoscopia, appena fatta. Ho pensato di mostrarla in diretta alla signorina-bambina. Non crede, professor Marco, che farò cosa gradita?”. Me lo disse con aria serissima, solenne. Victoria, appena vide la lastra, finì lunga e distesa a terra per le risate. Villaggio era così: cattivissimo dalla testa ai piedi. Dunque comicissimo, sempre. Un pazzo vero. Il genio è sregolatezza, o non è. Per questo, quando cercava un giornale su cui scrivere, si rivolse a noi. Lui, così avido di tutto, anche di denaro, mandò i suoi pezzi al quotidiano che paga meno di tutti. Ho trovato la sua prima email, 10 ottobre 2015: “Caro Marco, ti mando 7 pezzi in visione. Sarei molto felice di poter collaborare col tuo giornale. Le mie coordinate sono: Paolo Villaggio, via…, Roma, tel…”. Risposi che eravamo onorati. E lui: “Grazie, mi puoi dire un compenso indicativo per ogni articolo?”. Gli esposi le nostre misere tariffe, scusandomi. Risposta: “Caro Marco, non lo faccio certo per denaro, ma perché sono un animale famelico del prestigio che la mia presenza nel tuo giornale mi può regalare. Mi scrivi che non c’hai denaro e che voi del Fatto siete quasi alla fame… Sono quindi pronto a fare anche qualche rapina per aiutarti in questo momento difficile della tua vita”. Iniziò a spedirmi fiumane di pezzi, anche 7 o 8 alla volta, accompagnati da messaggi del tipo: “Carissimo Marco, sarei ferocemente contento se volessi pubblicare questo pezzullo…”. Poi, di punto in bianco, non ne mandò più, per l’aggravarsi della malattia. Peccato, perché scriveva da dio: la trilogia dei romanzi sul rag. Ugo – Fantozzi, Il secondo tragico libro di Fantozzi e Fantozzi contro tutti – è un capolavoro di letteratura umoristica. E riesce persino a superare le vette comiche dei film. La maschera sovrastava l’attore, com’era accaduto in Italia solo per Totò e Alberto Sordi. Infatti, come di quei due, anche di lui ricordiamo e ricorderemo tutto, mentre dei suoi aspiranti eredi di oggi – tutti così pettinatini, bravini e correttini – non ricorderemo nulla. La partita di tennis nella nebbia con Filini. La battuta di caccia col collega dal labbro leporino preso per una lepre e abbattuto. La Coppa Cobram di ciclismo. La gara di sci finita al mercato del pesce. La partita di calcio sott’acqua. Il campeggio con montaggio tende, martellata sul pollice incorporata e urlo ritardato nel bosco. La polentata a Courmayeur, dopo il viaggio in piedi sulla decappottabile con sciarpa gelata tipo stoccafisso. La figlia-bertuccia-babbuina Mariangela. Quella “specie di strano animale domestico” della Pina e i suoi impacchi caldi. La signorina Silvani eternamente concupita fino all’agognato amplesso nel mefitico motel. I ganascini di Calboni al suo puccettone. La crocefissione in sala mensa. La corazzata P/Kotemkin. La frittatona con cipolle, birra e rutto libero davanti alla partita. La poltrona in pelle umana. L’acquario dei dipendenti. La vacanza dei cari inferiori sullo yacht del capo. Il torneo di biliardo. L’acqua più gasata del mondo al casinò col direttore scaramantico (“Fantozzi, mi tocchi il culo!”). L’autobus preso al volo. La telefonata con patata in bocca e accento svedese. Il cane della Silvani arrostito al ristorante giapponese. Il varo della nave della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare. La nuvoletta sulla Bianchina. Il sellino della bici che salta subito prima della seduta alla bersagliera. Le gite di Filini. Il funerale sbagliato con bara rotolante e calci nel ventre alla vedova. Il Capodanno anticipato alle 23 perché poi l’orchestrina ha da fare. Il pomodorino da 3 mila gradi Fahrenheit. L’inchino alla statua della madre del megadirettore con ferro da maglia nell’occhio. E continueremo a parlare come lui, con le sue iperboli grottesche e personalizzate: mega, galattico, tragico, mostruoso, clamoroso, agghiacciante, fantocci, coglionazzo, cagata pazzesca, vadi, venghi, batti, facci, dichi, bevi, lingua felpata, salivazione azzerata, sudorazione a mille, Duca-Conte, Sire, Maestà, Grand’Uff. Cav. Gr. Cr. Gran Figl. di Putt., Gran Consiglio dei Dieci Assenti, com’è umano lei. Piero, il figlio, mi racconta che prima di perdere conoscenza Paolo aveva dato disposizioni per il funerale: “Cerimonia laica, a meno che non mi diano la basilica di San Pietro, come ai papi”. E dài, Francesco, fai uno strappo. Sarebbe un gran finale, da Fantozzi in Paradiso.

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