"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 14 giugno 2019

Letturedeigiornipassati. 01 «La trasformazione dei nostri stadi in luoghi di violenza».


Da “Dove nasce la rabbia da stadio” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 14 di giugno dell’anno 2014: La violenza giovanile è solo un sintomo di quello che Freud chiamava "il disagio della civiltà". Per questo ha radici profonde, e per combatterla si deve partire da lontano. Il filosofo Gomez Dàvila ha ragione quando dice che l'entusiasmo dell'imbecille degrada il mondo, ma la domanda che oggi dobbiamo porci è perché ci sono così tanti "imbecilli" che scambiano una competizione sportiva per una guerra. Il calcio (…) apparteneva a un tempo che per i giovani era pieno di promesse, mentre oggi, come scrive Miguel Benasayag in “L'epoca delle passioni tristi” (Feltrinelli), è gravido di minacce. E quando il futuro non promette niente, perché non vivere l'assoluto presente, scaricando ogni domenica tutta l'aggressività covata per un futuro senza speranza? Paradossalmente mi verrebbe da dire che gli ultrà che popolano le curve nord o sud degli stadi sono molto più in sintonia col mondo attuale, quello che abbiamo loro preparato, di quanto non lo sia chi depreca il loro comportamento. Non li giustifico, ovviamente, ma mi chiedo perché i genitori hanno rinunciato al principio di autorità e stabiliscono con i figli un rapporto simmetrico offrendosi come loro amici, per poi dover giustificare ogni loro divieto, che se il genitore è un amico non ha alcun effetto. Quando poi i genitori si accorgono che il rapporto amicale ha concesso ai figli una libertà che non sanno gestire, allora recuperano l'autorità perduta con l'autoritarismo, macchina perfetta per creare conflitti che allontanano i figli dalla famiglia e li spingono in compagnie il più possibile violente, ove poter scaricare l'aggressività che dentro hanno covato. E poi la scuola, dove gli insegnanti si lamentano di non riuscir più a insegnare (non dico "educare", missione impossibile) a giovani che non credono in se stessi e nel mondo che li attende, e che vanno a scuola solo per socializzare con quanti, simili a loro, si allenano al gioco dell'adolescenza, che ha come suo motore propulsivo la trasgressione. Ho conosciuto il medico di un Sert che, dopo essersi occupato di tossicodipendenza in carcere, aveva pensato di intervenire anche per gli studenti di un istituto professionale vicino alla prigione, dove si spacciava droga. Disse che sarebbe stato opportuno spostare la sede del Sert in quell'istituto. Se le trasgressioni e i conseguenti richiami all'ordine in famiglia fanno parte della normale dialettica che contrappone la forza del desiderio giovanile al principio di realtà, una volta trasportate nei quartieri, nelle manifestazioni e negli stadi, le trasgressioni diventano ciò che una volta si chiamava "rito di passaggio", con la differenza che l'Edipo non consumato con i genitori viene scaricato sulla polizia, che non ha il compito di supplire le carenze educative di famiglia e scuola. E a quel punto si gioca alla guerra. Allora, (…), invece di rimpiangere i vecchi tempi, vediamo di capire se la trasformazione dei nostri stadi in luoghi di violenza non sia il sintomo di quello che Freud chiamava il disagio della civiltà, di cui i giovani di oggi si fanno interpreti. Va da sé che per porvi rimedio non bastano, se pur necessari, provvedimenti repressivi, perché le cause sono molto più profonde.

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