"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 3 maggio 2019

Sullaprimaoggi. 76 «Il recordman mondiale dei paradossi».


Tratto da “Paradossi&Paraculi” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 27 di aprile 2019: (…). …il recordman mondiale dei paradossi rimane Salvini. Ieri si è saputo che due pentiti del clan Rom di Latina hanno raccontato ai pm di aver “fatto campagna elettorale per la Lega” e “affisso manifesti della lista ‘Noi con Salvini’”. Altro che xenofobia: se tutto fosse confermato, si tratterebbe di un mirabile caso di integrazione. Manca soltanto che, alle prossime elezioni, la Lega si apparenti con una lista “Rom con Salvini”.
Un paradosso che fa il paio con quello dei soi disant “sovranisti” ministri leghisti che disertano il 25 Aprile, festa “sovranista” quant’altre mai (la liberazione dell’Italia dall’occupazione degli odiati tedeschi). Ma c’è di più e di meglio. Da quando aveva smesso di insultare i meridionali e i romani, cancellando il “Nord” dal logo e la “Padania” dal vocabolario, ci eravamo fatti l’idea che Salvini volesse accreditare la sua nuova Lega nazionale e nazionalista. E, visti gli attacchi quotidiani alla Raggi, volesse partire dalla conquista di Roma. Ora però si scopre che lo stop da lui imposto l’altro giorno, in Consiglio dei ministri, alla norma Taglia-debiti della Capitale e assurdamente subìto dai 5Stelle manderà Roma in default dal 2022. Occhio alle date: il mandato di Virginia Raggi scade nel 2021 e, nei piani di Salvini, da allora Roma dovrebbe avere un sindaco leghista. Non sappiamo chi sarà il fortunato vincitore, ma sappiamo già che cosa gli toccherà in sorte appena insediato in Campidoglio: la bancarotta della sua città a causa delle scelte scellerate del suo leader. Il quale, nel 2019, credendo di fare un dispetto alla Raggi, aveva piazzato nell’ufficio del sindaco una bomba a orologeria col timer puntato al 2022. Così da far esplodere non la Raggi, ma il leghista. Non è meraviglioso? Naturalmente non è ancora detto che le cose vadano così: il no al Taglia-debito, che farà fallire la capitale d’Italia, rischia di costare molti voti all’aspirante sindaco leghista: i romani informati tutto faranno, fuorché votare per un partito che Roma l’ha prima chiamata “ladrona” e poi condannata a morte. Ad approfittarne potrà essere persino la Raggi, che col suo assessore Lemmetti e la sottosegretaria Castelli aveva escogitato una norma per salvare Roma senza gravare sugli altri cittadini. Basta chiudere la fallimentare gestione commissariale del debito capitolino (15 miliardi nel 2010, ora ridotti a 12, accumulati dalle giunte di pentapartito, di sinistra, di centrodestra e di centrosinistra dagli anni 50 al 2008) e cedendo la parte finanziaria al ministero dell’Economia perché rinegozi gli interessi (ora vicini al 6%, roba da usura), con risparmi per i romani e gli altri italiani fino a 2,5 miliardi. L’aveva confermato lo stesso ministro Tria: “La norma è a costo zero, senza alcun onere per lo Stato”. Cioè non è affatto “salva-Roma” né tantomeno “salva-Raggi”, ma un “Salva-Italia”. E fin dal 4 aprile la Lega, con una email del sottosegretario Garavaglia, aveva dato l’ok a inserirla nel dl Crescita. Poi è esploso il caso Siri e Salvini ha deciso di prendere in ostaggio non la Raggi, ma la Capitale, per salvare il culo al sottosegretario e la faccia alla Lega: e giù sproloqui sui “debiti della Raggi” (inesistenti: sotto la sua giunta il debito si è ridotto), “altre città da salvare” (ce ne sono a centinaia, ma nessuna ha il debito commissariato, dunque non c’entrano una mazza con Roma) e naturalmente delle “buche” (le stesse che un anno fa, quando doveva leccare i piedi ai 5Stelle, Salvini disse di non vedere, anche se erano molte più di oggi). L’idea di sabotare le città governate dai 5Stelle per favorire quelle care alla Lega non è nuova: il Carroccio aveva già sabotato la candidatura di Torino alle Olimpiadi invernali del 2026, cioè l’unica che avrebbe avuto un senso: Torino ha già le strutture sportive e ricettive dello stesso evento di 13 anni fa. Ma la Lega sponsorizzò Cortina e Milano, una con le montagne e l’altra senza, per giunta distanti su strada 409 km. Ora, se la strana coppia avesse la meglio, il governo dovrebbe tirar fuori mezzo miliardo (infatti le Olimpiadi non le vuole più nessuno: oltre ai nostri eroi, è rimasta solo Stoccolma). Ma Torino s’è rimboccata le maniche e, contro ogni previsione, ha battuto 40 concorrenti (pure Londra e Tokyo) e si è aggiudicata un evento molto meno costoso (78 milioni dal governo) e più lucroso: le Atp Finals di tennis, che non durano 15 giorni, ma 5 anni. E portano alla città centinaia di migliaia di turisti e centinaia di milioni di introiti. Altro che un terzo di Olimpiadi invernali. Ora si attende la contromossa di Salvini. Tipo marciare su Torino in divisa da tennista e spaccare la racchetta in testa a Chiara Appendino.

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