"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 31 maggio 2019

Riletture. 95 «Solo chi ha lasciato la sua terra ha allargato i suoi orizzonti».


Tratto da “La nostalgia è il prezzo del proprio futuro” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 31 di maggio dell’anno 2014: La terra natìa e le radici sono rassicuranti, ma non è dei giovani la capacità di osare, invece di acquietarsi nella rassicurazione?
(…). …mi sono venute in mente tre parole. La prima è "nostalgia". Un termine che è stato coniato nel 1688 da uno studente di medicina, Johannes Hofer, che compose due parole greche: nóstos (ritorno) e álgos (dolore): il dolore che deriva dalla lontananza dalla propria terra e dalla voglia di tornare. La psichiatria adottò questo termine come una variante della malinconia, che colpiva i militari in terra straniera e le ragazze al servizio di famiglie lontane dalla propria terra. L'interesse della psichiatria fu dovuto al fatto che non pochi militari e non poche ragazze, per nostalgia, si suicidavano. (…). …la nostalgia ci segnala che quando l'anima è rapita dal passato e dalla terra lontana, il presente si scolora, e una demotivazione strisciante ci porta a dire, come spesso capitava a Bruce Chatwin: «Che ci faccio qui?». (…). …la seconda parola che mi viene in mente è "esilio", dove non si va solo per ragioni politiche (…). A questo punto la nostalgia diventa rabbia: contro l'ignavia dei politici che non hanno mai affrontato seriamente i problemi del Sud? Certamente. Ma anche contro l'ignavia di una popolazione che non ha creduto in se stessa e nella sua voglia di riscatto da una sudditanza passivamente accettata, costringendo i suoi giovani ad affermarsi altrove, in esilio, appunto. Quando si è in esilio, la condizione che si vive, e qui siamo alla terza parola, è quella dello "straniero", afflitto da quell'insolubile contraddizione per cui: se si assimila troppo alla gente del luogo, perde le sue radici, e con le radici la sua identità. Se invece le conserva e le custodisce come basi irrinunciabili, diventa "estraneo" a quelli del luogo e va incontro a un vissuto di solitudine. Questa contraddizione è insolubile e la sofferenza che produce la si può compensare solo con la forza d'animo, che riconferma la propria scelta e la determinazione di raggiungere, a livelli di eccellenza, gli scopi per cui quella scelta, al momento dolorosa, è stata fatta. (…). …posso confermare che solo chi ha lasciato la sua terra, che sia del Sud o del Nord, ha allargato i suoi orizzonti e ha capito in anticipo che se il proprio paese non offre futuro, non resta che migrare, non solo da una regione all'altra, ma anche da una nazione all'altra. E questo i giovani più avveduti già lo fanno, perché la nostalgia della propria terra lontana è pur sempre una sofferenza minore della depressione che può generare la mancanza di futuro nella propria terra.

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