"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 11 marzo 2019

Riletture. 70 L’«inconveniente dell'egemonia della razionalità tecnica».


Tratto da “Che ne sarà dell'uomo sotto l'egemonia della tecnica?” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” dell’11 di marzo dell’anno 2017: Quella degli strumenti sta diventando l'unica razionalità vigente. Ma allora dove finiscono l'amore e l'amicizia? La "tecnica" non è l'insieme degli strumenti (dall'automobile al telefonino, dal frigorifero al computer) di cui ci serviamo. Questa è piuttosto "tecnologia". La tecnica è quel tipo di razionalità che prevede che sia "razionale" solo e unicamente raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi. Un telefonino di ultima generazione di piccole dimensioni che compie molte funzioni è molto più razionale di un telefonino di prima generazione di grandi dimensioni che compiva una sola funzione.
Se questo tipo di razionalità, che i filosofi della Scuola di Francoforte chiamavano "Razionalità strumentale" dovesse diventare, come sta diventando, l'unica forma di razionalità vigente, dove va a finire l'uomo che, oltre alla razionalità, ospita grandi manifestazioni irrazionali come l'amore, l'amicizia, il dolore, la gioia, la poesia, la conversazione non funzionale, la contemplazione disinteressata e tante altre forme che è bello vivere anche se non sono strettamente razionali? Un incontro d'amore, dal punto di vista razionale potrebbe esaurirsi in un semplice "ti amo", tutto il resto è sovrabbondanza linguistica, affabulazione, copiosità verbale, dal punto di vista della razionalità tecnica: perdita di tempo e spreco linguistico. Non è un caso che dal punto di vista della tecnica burocratica, i nostri nomi e cognomi sono diventati numeri della carta di identità, del codice fiscale, della tessera sanitaria, perché il numero è molto più preciso della parola. Il secondo inconveniente dell'egemonia della razionalità tecnica è che chiunque di noi viene considerato a partire unicamente dai criteri di efficienza e di produttività. Ciò significa: realizzare gli obiettivi assegnati dall'apparato di appartenenza nel minor tempo possibile e nel miglior modo possibile, senza che tu possa dir parola sul contenuto di questi compiti assegnati. A partire da questo criterio, Günther Anders fa iniziare l'età della tecnica dalla Seconda guerra mondiale, caratterizzata dall'esperimento nazista, dove il direttore di un campo di concentramento era considerato un ottimo funzionario se riusciva a stare nei tempi di uccisioni di massa coordinati con i tempi di arrivo dei convogli carichi di persone da eliminare nei tempi previsti (si legga In quelle tenebre, Adelphi). La sua bravura era misurata dalla sua efficienza, a prescindere dal contenuto del lavoro. Lo stesso dicasi, ad esempio, degli operai che costruiscono le mine antiuomo. La loro bravura è misurata dalla loro capacità nel far esplodere immancabilmente la mina da chi la calpesta, il contenuto del loro lavoro fuoriesce dalla loro responsabilità. Interrogato da Günther Anders su cosa avesse provato nello sganciare la bomba su Hiroshima, l'aviatore ha risposto: «Niente, era il mio lavoro». Per la razionalità tecnica non rientra nella tua competenza, e quindi nella tua responsabilità, la qualità del tuo lavoro, ma semplicemente la modalità più o meno efficiente con cui lo svolgi. Quando i generali nazisti rispondevano ai giudici che chiedevano conto dei loro crimini: «Ma io ho ubbidito agli ordini», questa, dal punto di vista della razionalità tecnica, era una risposta corretta, perché, per questo tipo di razionalità, la tua responsabilità è solo nei confronti del superiore e non nel contenuto e nelle conseguenze della tua azione. Per convincersene basta presentarsi a uno sportello e fare una domanda che, a parere dell'impiegato, fuoriesce dal suo mansionario. L'immancabile risposta è: "Non è di mia competenza». Tradotto: io rispondo solo del compito che mi è stato assegnato, la mia responsabilità finisce qui. E qui finisce anche la storia dell'uomo come l'abbiamo conosciuto, se la razionalità tecnica diventa l'unica forma riconosciuta di razionalità, come sta accadendo sempre più pervasivamente in tutte le pratiche di vita. (…).

Nessun commento:

Posta un commento