"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 27 marzo 2019

Memoriae. 09 «Guardo il mondo globalizzato».


Questa “memoria” risale nel tempo al martedì 10 del mese di ottobre dell’anno 2006. Dal mondo “globalizzato” non ci giungevano ancora le sue tragiche storture, era tutto un gioire, o solamente uno sperare nelle nuove prospettive che la globalizzazione del mondo, realizzata selvaggiamente dalla finanziarizzazione del capitale, avrebbe di lì a poco saputo e potuto realizzare. Non si era ancora arrivati ai prodromi di quella che sarebbe stata la “grande crisi”, quella “stagnazione” (secolare) che in pochi intravvedevano al tempo. Soltanto uno “spirito” alto avrebbe potuto non guardare, come spigolando attraverso uno spiraglio, ma vederci davvero dentro a quel tempo oramai andato. Ha scritto Curzio Maltese in tempi più recenti – il primo di aprile dell’anno 2016, un decennio dopo insomma – in “Il moralismo dei ricchi che incolpano i poveri della povertà” pubblicato sul settimanale “il Venerdì”: (…). La ricchezza è un merito, la povertà è colpa. Fine del dibattito. In pochi anni il potere ha cambiato paradigma e racconto. Negli anni Ottanta il modello era la cicala. Il messaggio era che tutti potevamo essere ricchi, bastava volerlo sembrare.
Le banche prestavano soldi a interesse zero perché ci indebitassimo per comprare la casa e poi magari il fuoristrada e, perché no, la tv al plasma e il nuovo prodotto Apple. Poi è arrivata la crisi e il potere è diventato moralista. La povertà è la punizione per aver vissuto troppo a lungo al di sopra dei propri mezzi. Un gigantesco apparato mediatico e politico si è messo al servizio di un sistema assurdo, dove l’un per cento dei ricchi spinge verso la miseria l’altro 99 per cento della popolazione, ma pretende pure di fargli la morale. È in fondo anche questa un’antica favola: superior stabat lupus, inferior agnus. Scrivevo al tempo: Invito gli incauti ed in pari tempo intrepidi navigatori della rete che dovessero, loro malgrado, approdare sui siti del “cavalierdelamancia”, li invito  alla lettura di queste stupende pagine di riflessioni tratte da uno scritto - “Ho fatto un sogno. Vivere nel socialismo dell’anima” - di Zygmunt Bauman, riflessioni apparse di recente su di un supplemento settimanale del quotidiano “la Repubblica”. Confesso:non oso, non ho proprio il coraggio di aggiungerci alcunché di mio, quasi per non dissolvere la magia delle parole dell’Autore. Non oso neppure pensare ad un titolo alla memoria proposta che non sia l’incipit di queste straordinarie riflessioni: Guardo il mondo globalizzato. È pieno di uomini costantemente in cerca di qualcosa d'altro. Sembra che corrano e invece sono fermi, in una condizione di angosciante staticità. Credono di intercettare, di interpretare il cambiamento. Stanno bene solo quando arrivano prima degli altri, e questo indipendentemente da quale sia la meta. Ma pensiamoci un attimo: in realtà non progrediscono mai. Inseguono qualcosa che è fuori da sé, un modello che non esiste e che non possono raggiungere, perché non ha radici nella propria identità: un nuovo taglio o un nuovo colore di capelli, una nuova macchina, un nuovo lavoro, un nuovo corpo, una casa nuova. Una volta conquistati, sono già vecchi. E la corsa non finisce mai. È un movimento circolare, un falso progresso che non produce nulla, perché non poggia su nulla. Il risultato è il trionfo dell'individualismo, che ha generato relazioni interpersonali in frantumi, rituali religiosi ridotti a parate carnascialesche. Un polverone di contraddizioni. Crescono l'ansia, la paura, l'inquietudine, e nascono dalla consapevolezza dell'impermanenza. Il disagio è capillare, diffuso. Le ragioni di questa crisi sono varie. Troppo lungo e difficile enumerarle tutte insieme. Certamente, la fisionomia effimera che ha assunto il mondo ha spiazzato tutti quanti. La velocità di cambiamento che investe l'economia e informa di sé ogni aspetto della realtà ha creato nella gente una condizione di continua incertezza, il terrore di essere sempre colti alla sprovvista e di rimanere indietro. È il trionfo della società liquida. "Una società - ho scritto nel mio ultimo libro (Zygmunt Bauman, La vita liquida, Laterza, 2006, ndr) - può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma, o di tenersi in rotta a lungo". Mi accorgo che siamo di fronte al declino dell'Occidente, del suo senso di competitività esasperato, del suo liberismo selvaggio, del suo progressivo ridimensionamento delle strutture sociali. E penso che il mito del cambiamento e della velocità, che pure ha causato una crisi di valori senza precedenti, porta con sé gli anticorpi che serviranno a ricomporre il mondo. Sono un ottimista e credo che proprio adesso ci sia spazio per una rivoluzione in cui la sociologia si riapproprierà di un ruolo centrale: guidare chi sta cercando una nuova morale. L'individualismo, il culto di se stessi, la ricerca esasperata della felicità sono le ragioni della crisi, ma insieme offrono opportunità straordinarie. L'idea che l'altro è solo un oggetto funzionale alla nostra auto-realizzazione andrà in frantumi. Tutto questo inseguire la realizzazione dell'io ci ha alienati ma anche responsabilizzati. E a questa nuova consapevolezza della responsabilità individuale, che pian piano stiamo introiettando, potrà nascere una nuova morale, adatta ai nostri tempi. Il mio collega britannico Anthony Giddens ha cercato di tratteggiare un possibile percorso di rinnovamento etico e spirituale. E per primo ha parlato di relazioni pure, non più cioè contraddistinte da rapporti gerarchici e da patti di convenienza, ma basate sul rispetto reciproco e su una comunicazione emozionale. È un ragionamento che lui ha applicato alla famiglia, ma che vale anche per la società nel suo complesso. Una comunità che insegue il culto dell'io è decadente, ma è anche capace di valorizzare una consapevolezza nuova, e di notevole portata etica. Se io sono il fine, sono anche il mezzo, lo strumento del cambiamento. Ecco, il mio sogno è che tutto ciò pian piano si strutturi nella mente. Nelle aspirazioni di ognuno di noi. Siamo chiamati in causa tutti quanti. Oggi più che mai è importante capire che la frammentarietà della realtà ha una potenza creativa di notevole portata. Fin qui è accaduto che, abbattuti dogmi e valori, piuttosto che liberarci ci siamo conformati a modelli culturali da spot. L'individualismo è stata una falsa liberazione: ha solo alimentato il conformismo. Ma, partendo da questo individualismo, potremo abbattere il conformismo. Bisogna solo agganciare e sviluppare in senso positivo il culto della responsabilità individuale. Ecco perché credo che ancora oggi si debba lavorare per dar vita a un nuovo socialismo. Non quello delle dittature, certamente, ma quello che traccia le linee guida di una società eticamente sana. Contro il consumismo ossessivo, i legami fragili e mutevoli, lo stress e la paura che tutto ciò genera, c'è l'antidoto. Proviamo a riflettere su un concetto semplice: la globalizzazione ci ha alienati ma ci ha fornito anche conoscenze fino a qualche anno fa insospettabili. E la conoscenza è di per se stessa libertà. Le nostre possibilità di scelta sono cresciute a dismisura. Adesso tocca capitalizzare questa libertà: invece di uniformarci a comportamenti sociali stereotipati abbiamo tutte le carte in regola per trovare una morale fatta di solidarietà e capacità di comprendere che ciascuno gioca un ruolo insostituibile. Il meccanismo della delega a autorità sociali e religiose altre, da noi è crollato? Bene, fatta tabula rasa di tutto ciò, possiamo dare alla modernità una valenza positiva. Non sta nei diktat eterodiretti la nostra possibilità di riscatto, né in una religiosità da hooligans, capaci di dichiararsi cristiani e devoti di Giovanni Paolo II e anche di uccidere, ma in un nuovo socialismo. Abbiamo inseguito il mito dell'io. Non dimentichiamo che la portata etica di una società si misura nella sua capacità di offrire a tutti pari opportunità di scelta e pari libertà, di proteggere i deboli, gli emarginati. Io ce l'ho un sogno, è quello di perseguire l'ideale rinascimentale di armonia. Per Leon Battista Alberti la bellezza era strettamente connessa all'equilibrio fra le parti. La centralità dell'individuo è una risorsa. Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma saper star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente. È una felicità solo all'apparenza più difficile da perseguire. In realtà sta lì, alla nostra portata. E riguarda tutti. A quale punto si è giunti di quella “profezia” (mancata forse?) di Zygmunt Bauman di “una nuova morale” che scacci “l'idea che l'altro è solo un oggetto funzionale alla nostra auto-realizzazione”? A quale punto?

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