"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 6 gennaio 2019

Lalinguabatte. 69 I doni del Natale.

Il ricordo di un qualsiasi 6 di gennaio dell’anno 19**. A quel tempo uno storico negozio – il negozio “Domus” - sito in quella “strettoia” che era caratteristica propria del corso Mazzini nella città di C*** ebbe la felice idea di fissare all’esterno, sulla pubblica via, una cassetta “postale”. Per farne cosa? A quale scopo? L’idea fu in verità geniale. Ci si imbucava le letterine indirizzate alla “Signora Befana”.
Ed il tornaconto del negozio dove stava? Essendo il più conosciuto e sempre ben fornito negozio di giocattoli di C*** avrebbe soddisfatto le innocenti, ingenue richieste di noi all’epoca ingenui richiedenti. Con buon gioco per i nostri genitori che avrebbero trovato nel negozio “Domus” i giocattoli richiesti. E così nelle giornate precedenti al 6 di gennaio mi peritavo a scrivere la mia letterina alla “Signora Befana”. Ricordo tutt’oggi l’indirizzo di quella benefattrice al quale inoltrare le mie richieste: Alla Signora (al maiuscolo poiché così si usava a quel tempo) Befana, via delle tegole, Paese dei balocchi. Immancabilmente i giocattoli arrivavano per come richiesti. Andava di moda a quel tempo declamare, a nostra consolazione, il 6 di gennaio la semplice strofetta: “l’Epifania tutte le feste porta via“. Ed era la verità. Non si aveva a quel tempo – da parte di noi infanti - la pressione incontrollabile di proiettarsi sulle richieste future di doni o regali. Oggigiorno è un continuo richiedere - lo verifico da nonno di tre incontentabili nipotini - senza limiti e senza quel godimento da noi provato per i regali al momento pervenuti. E poiché “l’Epifania tutte le feste porta via“ si aveva a quel tempo l’impegno solenne ed un po’ malinconico di riporre il “bambinello” ed i suoi augusti genitori, ed i Magi, ed i pastori e tutto il bestiario utilizzato, nelle scatole al tempo di cartone, sempre pronti per il presepe futuro. Non c’era l’albero di Natale a quel tempo, che venne tanto tempo dopo. E Voi? Avete addobbato il vostro albero di Natale? E cosa ci avete messo sopra e/o sotto di esso? Lo chiedo sommessamente, tanto per non apparire indiscreto. Scommetto che ci avete messo le solite cose. Quelle cose che negli anni hanno reso di un’insignificanza straordinaria, per i più, per i tanti, una ricorrenza che ben altro spessore dovrebbe avere, per i più o per i tanti comunque, o meglio, da incallito laico, dico per tutti quanti. Senza “moralismo” di sorta, termine in verità periglioso assai, ché il solo proferirlo si rischia d’essere messi al bando, sarebbe bene che dal più profondo di ciascuno venisse fuori un rifiuto di questa ossessione consumistica che non rispetta e non risponde affatto ad alcun dettato che si dica morale, nell’accezione più piena del termine. C’è chi, da che mondo e mondo, molto più realisticamente parlando, ha da mettere sotto o sopra il suo alberello di Natale ben altre cose, di ben altra sostanza. Pacchi e pacchetti che contengano privilegi, portino nuove ed abbondanti ricchezze e sostanze sempre nuove inimmaginabili per tutto il resto del popolo che tribola attorno al suo alberello. E mentre addobba il suo alberello quel tale – o quei tali - invitano, al fine di santificare la santa festa, tutti gli altri a far scendere nel proprio cuore quella pace che consenta di trascorrere in serenità e letizia i giorni della “festa”. Serenità e letizia per chi? Ed una volta riposto l’alberello di Natale? Vale invero il detto che “passata la festa gabbato lu santu”. E poi, a tribolare sempre e più di prima. Si aggirano per le contrade del bel paese i novelli “padroni delle ferriere” che racimolano, raggranellano “ad personam” nell’anno 400 volte e più di uno di quelli preposto a produrre. È come un ritorno, in verità prevedibile visti i tempi, ai tempi oscuri dei “padroni delle ferriere”, quando si mettevano in atto tutte le strategie affinché venisse ad essere impedita qualsivoglia “mobilità sociale”. Non è questo allora il senso di questo ricorrente ed incombente – per un laico - tempo di Natale, non santificato ma mercificato? Un impietoso, direi volgare “tu scendi dalle strenne”. Di pacchi e pacchetti lucrosi per i soliti furbi ne ha scritto Massimo Giannini sul settimanale “Affari&Finanza” del 20 di dicembre dell’anno 2010 col titolo “Pacchi natalizi da Vegas a Marchionne”. Buone feste, ma solamente per i soliti furbi: (…). Primo pacco. Camera: Giuseppe Vegas vota no alla sfiducia al governo. Porta anche lui la sua piccola pietra, per non far crollare la diga berlusconiana. È il suo ultimo atto da deputato Pdl, o il suo primo atto da neopresidente Consob, che dovrà vigilare sulle società quotate, Mediaset compresa? Brutta scena. Sul piano etico ed estetico. Secondo pacco. La Consulta confindustriale respinge il diktat di Sergio Marchionne, che vuole buttare al macero l’accordo del ’93 sulle rappresentanze sindacali. Bella scena. Qualcuno dovrà pur spiegare al supermanager che gestisce il «reverse takeover» mascherato tra Torino e Detroit che non tutto quello che va bene alla Fiat deve andar bene alla Confindustria. Terzo pacco. Il Cda di Telecom Italia rifiuta l’azione di responsabilità contro i vecchi vertici per la gestione della security di Tavaroli e le frodi fiscali della Sparkle. I grandi azionisti (da Geronzi per le Generali a Pagliaro per Mediobanca) non vogliono colpire la Pirelli di Tronchetti e Buora. Scena orribile. Cane non mangia cane. Ma così il mercato muore di fame. Quarto pacco. Voci su Edison, per un possibile takeover di Edf, tensioni su Fonsai, per una probabile Opa di Groupama, ipotesi su Alitalia, per una definitiva acquisizione di Air France. Fioccano smentite. Scena patetica. La Francia comprerà a saldo mezza Italia. Alla faccia di chi dice che il Sistema-Paese è solido. Quinto pacco. Il sindaco di Roma Alemanno promette regole severe sulle assunzioni nelle municipalizzate. Poi si scopre che, tra picchiatori fascisti, veline e famigli dei famigli, ha fatto entrare all’Atac anche «Zara 33», al secolo Giuliano Falcioni, ex tassista che guidò la rivolta violenta contro la liberalizzazione delle licenze. Scena disgustosa. È la destra italiana, bellezza: «moderata e liberale». (…).

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