"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 26 dicembre 2018

Memoriae. 04 L’identità di questo Paese ha ben poco di cristiano.


Il 20 di aprile dell’anno 1993 veniva a mancare don Tonino Bello, vescovo di Molfetta. È di questi giorni (il 23 di dicembre) l’iniziativa del settimanale Famiglia Cristiana di ri-pubblicare, con un titolo - “Gli auguri scomodi di don Tonino Bello” - che vorrebbe rendere omaggio al coraggio ed alla lungimiranza di quel vescovo, una lettera augurale che quell’alto prelato indirizzava in occasione del Natale ai fedeli. Saranno forse i tempi bui che siamo chiamati a vivere - durante i quali politici spergiuri e menzogneri osano far politica con il rosario ed i sacri testi in mano - ad aver spinto quel settimanale a ri-pubblicare quella “tremenda” lettera la cui lettura non può lasciare indifferenti sol che si possegga un minimo di animo disposto alla comprensione ed alla caritatevolezza che la festa cristiana dovrebbe suscitare tra i suoi adepti? L’iniziativa non è che lodevole ma sembra proprio cadere in quel vuoto che “riempie” le anime delle italiche genti d’oggi. È come se la chiesa di Roma si fosse dimenticata per sì lungo tempo di quel coraggioso don Tonino per riscoprirlo – come “strumento” di cosa? - dopo più di venti anni. È stato certamente uno di quei “preti scomodi” alla Don Gallo o alla Don Farinella, invisi alle alte gerarchie d’oltre Tevere; cantori, quelli, di una spiritualità in contrasto con i tempi.
Scriveva Edmondo Berselli - in “Postitaliani”, pag. 288 - che alla osservazione del Paese ed alla sua evoluzione ha dedicato, nella Sua pur breve vita, tante Sue inesauribili ed intelligenti energie: È un fluido, l’Italia televisiva (ed oggigiorno anche l’Italia politica e sociale n.d.r.), in cui sono omogeneizzati ormai tutti gli atteggiamenti e i comportamenti di una società che si è illusa di cambiare passando, per dirlo in una formula, dalla volgarità al trash, e che quindi celebra se stessa, nei ludi dell’etere, sperimentando ogni giorno la propria postmodernità e nascondendo dietro le quinte di una fiction e di un talk show i propri arcaismi. In quello sconfinato presente che è l’orizzonte televisivo, anche gli italiani provano finalmente a essere eterni, sempre dalla parte dell’ultimo ritrovato intellettuale di massa, fedeli e conformi al tabù individuale e collettivo dell’assenza di tabù. Appena spenta, la televisione ricomincia identica domani. E anche l’Italia, la post-Italia, domani riapre. A quell’Italia così ben rappresentata da Edmondo Berselli don Tonino Bello così si rivolgeva, inascoltato tanto in basso come in alto: “Buon Natale”. Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa. Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro. Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame. I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.  Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative. I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza. Scrivevo – il 10 di novembre dell’anno 2003 in “La religiosità e l’identità sonnacchiosa di un Paese” – a proposito delle puntuali, allora come oggi, immancabili polemiche suscitate dalla decisione di un giudice sulla esposizione del crocefisso in un’aula scolastica: Alte volteggiano ancora le lamentazioni dei “moderni templari”, accorsi prontamente a difesa di una sonnacchiosa e senza nerbo identità minacciata al grido ancestrale “mamma, arrivano li turchi!”. Ma di quale identità codesti templari siano accorsi a difesa è ben difficile capire, dopo decenni e decenni di manipolazione mediatica che ha stravolto gli usi ed i costumi ed il sentire collettivo, imponendo peraltro fasulli consumi e nuove e dissacranti certezze. Ed alla “nuova identità” il Paese è accorso ad abbeverarsi, fonte copiosa e rinfrescante di modernità o modernismo che dir si voglia, che è riuscita a creare il miracolo di una identità “nuova” nella quale le moltitudini si sono riconosciute senza difficoltà alcuna, tradendo gli insegnamenti dei vecchi, dei padri e delle madri, del maestro e della maestra, della parrocchia, del partito. Nessuna delle preesistenti istituzioni è riuscita nella impresa di salvare e di fare coesistere quanto esistente nel tessuto sociale e nella memoria collettiva del Paese, proprio perché in fondo di collettivo vi era ben poco, se non il riconoscersi negli stereotipi più negativi per i quali gli altri, europei e non, ci hanno sempre guardato e ci guardano con divertito e preoccupato stupore. E questi “moderni templari”, estremi difensori di una sonnacchiosa e senza nerbo identità estesa d’ufficio a tutti i cittadini di questo Paese, senza distinzione alcuna, siano essi indifferenti, agnostici, avversi ad ogni forma di ritualità, avversi ad ogni idea che non sia legata al contingente, questi “moderni templari” che si è scoperto sorprendentemente appartenere ad ogni credo politico, stanno lì a rappresentare in fondo solo se stessi e neanche quella minoranza, che tale è divenuta nel Paese, che nel concreto della vita quotidiana vive la sua religiosità nelle opere, nel servizio e nella solidarietà verso i bisognosi, senza ostentare stinte bandiere e labari. Alle lamentazioni dei “moderni templari” accorrono invece le moltitudini educate da decenni al “talk show nazionale”, durante il quale si urla a più non posso senza concedersi la meravigliosa pratica della riflessione e del confronto collettivo, come azionate da un gigantesco ed invisibile telecomando che sintonizza sulla lunghezza d’onda della nuova identità masse sempre più ottuse e teledipendenti (oggigiorno socialweb-dipendenti n.d.r.). La vera e nuova identità di questo Paese ha ben poco di cristiano, e come una novella fede ha ancora da rivelarsi ai suoi adepti nella sua interezza e nella sua sostanza; essa ha messo da parte ed a tacere la sonnacchiosa identità preesistente, ma nel contempo cela la sua vera natura di nuova identità senza anima, senza un respiro che possa aiutare a guardare gli orizzonti più vasti del destino di questo Paese. Ora che il Tribunale di quella città ha sospeso l’esecutività della ordinanza di rimozione di quel crocefisso in quell’aula scolastica, anche se lo stesso crocefisso da  tempo è stato rimosso dalle coscienze di tante moltitudini di questo distratto Paese, i “moderni templari” potranno rinfoderare le loro durlindane e prepararsi a menare le mani alla occasione prossima ventura, che immancabilmente allieterà il talk show quotidiano nazionale.

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