"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 14 ottobre 2018

Sfogliature. 99 «Chaplinesque» di ieri e dell’oggi.


Oggigiorno abbiamo da piangere – o laicamente da ricordare – i morti del ponte Morandi. Ma nell’infinita successione di catastrofi nel bel paese ci sarebbero da ricordare i tanti, tantissimi morti del Belice, dell’Irpinia, dell’Aquila, ché sarebbe oltremodo oltraggioso non ricordare le tante, tantissime altre vittime di tutte quelle sciagure che, seppur minime tanto da non tener desti i mass-media per lungo tempo, punteggiano amaramente la vita italiana. La “sfogliatura” risale al martedì 14 di aprile dell’anno 2009, l’anno dell’immane sciagura dell’Aquila e dell’Abruzzo tutto.
Altri i personaggi politici dell’epoca. Che, come con un maledetto “comandamento”, sembra abbiano trasmesso ai protagonisti dell’oggi il pressapochismo, l’incompetenza che a memoria d’uomo hanno sempre caratterizzato il dopo-sciagure nella solatia italica terra. Andavo annotando allora: Scrive nella lettera a Guido Bertolaso Sergio Bianchi, padre di Nicola, 22 anni, studente morto nel terremoto: “Al civico 11 di via D’Annunzio ho visto delle lesioni sui muri. Ho chiesto spiegazioni e mi hanno risposto che la situazione era sotto controllo. Nicola, caro viceministro, è stato ucciso dall’imprudenza delle istituzioni”. “Chaplinesque”. Di grazia, cos’è? Si ha traccia del neologismo leggendo lo splendido volume di Edmondo Berselli “Venerati maestri” edito, per i tipi Mondadori, nell’anno del signore 2006. Controllare alla pagina 168, ultimo periodare dell’illustre Autore. Una scrittura tagliente assai, che taglia  in profondità. Un particolare: il volume ha per sottotitolo “Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia”. Si evincerebbe tutto già dal sottotitolo. “Intelligenti pauca”. Basterebbe per non andare oltre. Si direbbe: è la solita narrazione della arlecchinesca messa in scena allestita nel bel paese. Si direbbe: è il solito teatrino ambulante della politica e della vita pubblica più in generale, con tanto di burattini e di burattinai del bel paese. I sempiterni burattini. Manovrati dai sempiterni burattinai. Ed invece no. La lettura deve essere fatta e portata a termine. Coraggiosamente. Implacabilmente. Ossessivamente quasi. È vero che se ne esce “distrutti”. Nei falsi miti. Nelle illusioni epocali. Nello strabismo che coglie il lettore sofferente e temerario. Ma è giusto che lo si legga il volume di Edmondo Berselli. Torniamo al neologismo di cui sopra. E del titolo quindi del post d’oggi. Si apprende che esso, il neologismo, sbarcò da questa parte dell’Atlantico per merito dell’Elefantino, quello del “Foglio”. Elefantino auto-confesso d’avere fatto lo spione prezzolato per una potenza straniera. A mio parere, sommessamente, ma molto sommessamente, un modo di dire per darsi importanza. Per costruirsi un personaggio. Per darsi delle arie. Per “aumentarsi”. Come essere comunista quando la cosa faceva chic e clamore. Allora, illuminato sulla sua personale via di Damasco e risorto a nuova vita non più comunista ma approdato ad altri lidi politici più confortevoli da buon ateo devoto sempre genuflesso, l’Elefantino aveva fatta sua una missione delicata, decisiva e salvifica per l’intera italica schiatta: importare d’oltre oceano tutte le stroncature giornalistiche del film degli Oscar  “La vita è bella”. Il film di Benigni, per l’appunto. Del Roberto nazionale. Non certo, in verità, una prova d’Autore, quella di un Autore con la lettera iniziale maiuscola. Una prova che sfida l’oblio del tempo. O dei biblici tempi. Comunque, opinioni personali, sempre restando nella sfera del civile confronto culturale. Un film controcorrente, nuovo forse, per raccontare l’inenarrabile. L’inimmaginabile. L’Olocausto. Evidentemente all’Elefantino il film non piaceva. O c’era altro da fare. O c’era da ubbidire a qualcun altro. E quindi giù mazzate tremende. Meglio se le scazzottature portassero anche i colpi vibrati d’oltre oceano. E così scovò il neologismo. Forse rimasto, a suo dispetto, nell’ombra. Che sembra invece, a mio modesto parere, debba di diritto  entrare nel vocabolario che regola e sanziona le cose politiche e pubbliche del bel paese. Del politichese e di quant’altro della vita pubblica non proprio commendevole. Almeno alla luce dello  “spettacolo”  indecente “inscenato per”, e tramite il piccolo mostro domestico riversato senza limiti della decenza e dell’umana ragionevolezza e pietà cristiana tra le indifese mura delle case nostre, non più protette dai sacri, antichi e cari lari, nell’occasione del dramma abruzzese. Agire alla “chaplinesque”. Essere alla “chaplinesque”. Trascrivo di seguito, in parte, l’editoriale di Concita De Gregorio “Il dolore e i sondaggi”, editoriale pubblicato nel giorno della pasqua cristiana sul quotidiano l’Unità. “Chaplinesque” sarebbe da aggiungere alla prosa toccante dell’illustre giornalista e direttore di quel quotidiano: (…). Duecento bare. I morti sono quasi trecento, forse molti di più. Dei clandestini, si mormora, nessuno racconta né racconterà mai la storia. Vivevano negli scantinati, non hanno nome, non hanno chi li cerchi. Una sconcezza a cui nella vita ci siamo assuefatti perché conviene, è la morte a restituircela per quello che è: indecente, lercia.(…). I giornali avvisano che la popolarità di Silvio Berlusconi è arrivata al 73 per cento dopo il terremoto. C’è da vergognarsi a riferirlo. Incredibile pensare che sia stato commissionato un simile sondaggio. La sedia del premier vuota, il giorno dei funerali, parlava da sola. Lui non era tra le autorità, era a baciare e carezzare e piangere ad uso di telecamera, a dire – darò le mie case a questa gente -. Quali case? Quelle di Antigua o la villa sul Lago Maggiore? È vero. Anche far polemica in giorni così costa fatica. Preferiremmo tacere. Preferiremmo non dover dire faccia silenzio, signor presidente, e stia composto al suo posto. Se desidera rendere un servizio agli abruzzesi faccia in modo che si sappia subito chi ha speculato, raddoppi e triplichi le forze di chi indaga. Poi vigili sulla ricostruzione. Pietra su pietra rifaccia l’Aquila proprio dov’era e ne parliamo dopo. Ci vorranno anni, pazienza. Possiamo aspettare, anzi dobbiamo. Questa volta mostri di realizzare le promesse. Dopo, semmai, potrà anche commissionare un sondaggio. E “chaplinesque” sia.

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