"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 25 ottobre 2018

Lalinguabatte. 64 «Il mito della sicurezza» e la «morale eteronoma».


Ha scritto Nicolao Merker in “Filosofie del populismo” – Editore Laterza, Biblioteca di cultura moderna (2009) -: “Per il populista il popolo non è un vero interlocutore, non ha vera voce in capitolo. È perciò populista anche chi del popolo diffida e lo considera una bruta massa indistinta che ostacola l’emergere di rari spiriti superiori”. “Dio, patria e famiglia”. Con una variante, forse non molto diffusa, di “Dio, patria, lavoro”, quest’ultimo meno ricercato. Mi pare siano state da sempre le triadi preposte alla formazione civile, allo sviluppo emozionale, delle generazioni giovani del bel paese. Escludo che altre entità possano aver contribuito, o possano essere state ammesse, almeno nel passato anche più recente, allo sviluppo della educazione sentimentale dei giovani senza distinzione di generi.
Quest’ultimo aspetto della formazione personale delle giovani generazioni era, e forse lo è tuttora, affidato alle esperienze dirette e non mediate culturalmente, per la strada o in tutte le occasioni di socializzazione possibili, con gli inevitabili contraccolpi allorquando una maturazione non adeguata conduce ad una distorta interiorizzazione dei predetti processi formativi e di crescita. Un’anarchia quindi, almeno nell’educazione e formazione della sfera sentimentale delle giovani generazioni, è sempre esistita ed esiste. Oggigiorno, perdurando quelle manchevolezze pedagogiche, altre preoccupazioni si aggiungono. Nella complessità sempre più articolata delle moderne società globalizzate la formazione di coscienze altamente autonome e non etero-dirette diviene un imperativo ineludibile. La pericolosità insita nella frequentazione incontrollata dei moderni mezzi di comunicazione di massa, con la richiesta subliminale da parte di coloro che li gestiscono di una quasi assoluta passività – chi guarda la televisione è un buon dodicenne ma non dei più scaltri, secondo la vulgata di un noto imprenditore del settore, ancor più reggitore della cosa pubblica - e di un sollecitato e coltivato obnubilamento della razionale criticità,  pone la questione del recupero di una qualificata azione pedagogica della scuola e dei suoi operatori più avvertiti e consapevoli. È sperabile? Che assieme alle famiglie abbiano anch’essi riposto l’idea ed abbandonato il piglio pedagogico proprio di un educatore inteso nell’accezione più vera del termine? Se solo si riducesse il ruolo degli insegnanti a semplici trasmettitori di un sapere codificato ma, come nella realtà attuale del mondo globalizzato, di un sapere che di continuo viene superato e messo in forse, se non si recupera nella sua pienezza la valenza pedagogica della formazione della persona nelle sue sfere emozionali più ampie, si prospetta un divenire delle società avanzate difficoltoso, composte come esse saranno da individui facilmente condizionabili nei comportamenti ovvero nella cosiddetta “morale eteronoma” per come la definisce il professor Umberto Galimberti nella Sua sempre dotta riflessione che ha per titolo “Il mito della sicurezza”. La riflessione, che di seguito trascrivo nella quasi sua interezza, è stata pubblicata su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica”: Scrive Freud ne “Il disagio della civiltà”: - L'uomo civile ha barattato una parte della sua felicità per un po' di sicurezza -. Il passato non ritorna, perché il nostro stile di vita non accetta più le forme truculente con cui il regime fascista regolava il modo di vivere degli italiani. Avere quel modello come punto di riferimento significa non comprendere cosa c'è di insidioso nel neoproibizionismo che caratterizza il nostro tempo dove, (…), le ordinanze comunali sembrano facciano a gara per assediare il mondo della vita con divieti che non consentono, ad esempio, di mangiare cornetti di notte a Roma, di vendere kebab a Lucca, di baciarsi in auto a Eboli, di sedersi sulle panchine a Vicenza, di mendicare a Venezia, di fumare nei parchi pubblici a Napoli e a Bolzano o di sostare con più persone a Novara. Si tratta ovviamente di ordinanze che non possono essere ottemperate se non con un controllo massiccio delle forze dell'ordine, della vigilanza urbana e, da ultimo, delle ronde. E buona regola sarebbe non emanare leggi che non possono di fatto trovare attuazione, trascurando magari il controllo sull'ottemperanza di altre leggi ben più significative che vietano ad esempio l'evasione fiscale, lo smaltimento dei rifiuti tossici, l'abuso edilizio, lo spaccio delle droghe nelle discoteche dove non sembra applicata la tolleranza zero. E allora che cosa di insidioso nascondono tutte quelle micro-proibizioni che assediano il nostro quotidiano modo di vivere? Un'infantilizzazione della nostra società, dove gli individui sono trattati come bambini, a cui implicitamente si dice - Tu non sai darti una regola da te e allora ti governo io: Comune, Stato, Chiesa -. Si diffonde così una morale eteronoma, dove io non passo col semaforo rosso non perché ho maturato un senso civico (morale autonoma), ma perché un vigile è appostato all'angolo o una telecamera potrebbe riprendermi. La morale eteronoma, che mi fa assumere comportamenti corretti solo in presenza di chi potrebbe punirmi, denuncia un fallimento dei processi educativi non avvenuta in famiglia e ancor meno a scuola, per cui è da lì che bisogna ricominciare e non dalle proibizioni che hanno come unico risultato quello di incentivare le trasgressioni. Ma abbiamo la pazienza di insegnare fin da piccoli che cos'è bene e che cosa è male, che cosa è grave e che cos'è irrilevante? Perché se questa distinzione non è stata insegnata, se questa differenza non è stata acquisita e interiorizzata, non c'è punizione che tenga, perché non si ha la percezione dell'infrazione, ma solo l'impressione che chi ci richiama ci sta facendo un torto. E allora il proibizionismo che vuol mettere ordine nella società denuncia solo il fallimento in quella società dei processi educativi. 

2 commenti:

  1. Sempre felice di leggerti ,Aldo.Condivido quanto riportato nel testo,solo ho l'impressione che l'educazione che si richiede diventa sempre più una chimera.C'è un affermazione della prima parte del tsto in contradizione con col nostro desiderata. Mi pongo una domanda : " può e fine a che livello una autonoma educazione dei valori alla base dei comportamenti civici garantire ( assicurare ) la comune convivenza se non guidata da un autorità (anche se eletta) al di sopra dei singoli?".

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    1. Carissimo Saverio, riconoscente e grato per le tue frequentazioni di questo blog che mi lusingano ed incoraggiano. Vengo alla tua domanda: nel testo che hai letto non si preconizza la scomparsa di "un'autorità" che guidi il divenire sociale, bensì la "formazione" di una autorità che sia autorevole (scusami per il bisticcio lessicale). E devi convenire che senza una azione "propedeutica" della buona politica saremo semore ed a fasi alterne in balia di una politica e di politicanti senza autorevolezza. E' ciò che è avvenuto e che sta sotto i nostri occhi giustamente inorriditi. Saluti fraterni.

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