"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 1 ottobre 2018

Lalinguabatte. 62 «Non acquisti un'auto, ma un pezzo di te stesso».


Ha scritto Luigi Meneghello in “Le carte” editato da Rizzoli nel febbraio dell’anno 1978 - un bel tempo andato -: “Sembra evidente che alla gente si può far credere ciò che si vuole, purché si abbia pieno controllo dei mezzi d’informazione. Per quanto tempo (anni, decenni) la gente ci creda e perché smetta di crederci non è chiaro”. G.S., da un rapido conto, avrebbe oggi diciannove anni. Divenuta finalmente cittadina maggiorenne ed elettrice, che ne sarà di G.S.? È stata questa la domanda angosciante che al tempo mi sono posto leggendo la straordinaria rubrica “Lettere dal mondo liquido” del sociologo  Zygmunt Bauman, rubrica che un supplemento del quotidiano “la Repubblica” proponeva con una cadenza quindicinale. L’ultima corrispondenza dell’illustre Autore ha avuto per titolo “L’ansia magra”. Di seguito ne trascrivo ampi stralci, a mio parere i più significativi.
La lettura, dicevo, al tempo mi si è resa quanto mai angosciante nella prospettiva di ciò che sarebbero state le società umane a venire. Traspariva allora, dalla lucida analisi del sociologo della cosiddetta “vita liquida”, l’effetto ultimo del divenire delle umane società, almeno di quelle che siano soggiogate dal consumismo più sfrenato: la mercificazione dell’essere umano negli aspetti suoi più deteriori. Non mancavano allora precisi segnali laddove, per l’appunto nel bel paese, in ambiti istituzionali pur gravati da enormi responsabilità, si parlava senza remore della mercificazione degli esseri umani nella materialità dei loro corpi e della invocata deresponsabilizzazione degli autorevoli personaggi in quanto “ultimi utilizzatori” degli stessi, come se si parlasse di un bagno-schiuma, di un qualsivoglia oggetto. È che i moderni sistemi politici, i cosiddetti “mostri miti” del tanto citato sociologo Raffaele Simone, spingono proprio in questo verso affinché si realizzino le condizioni “migliori” per l’asservimento delle masse popolari – prive di una identità di classe - per disporne liberamente sul piano di un consenso “deresponsabilizzato” e subdolamente, artatamente indotto. Che ne sarà di G.S. quando avrà raggiunto l’età dei trentenni di oggi – nel non lontano 2029! -, trentenni di oggi dei quali si denuncia l’apatia, il senso di smarrimento, di vuoto esistenziale, il conformismo più allarmante e l’asservimento al consumismo più selvaggio? I dispotici “miti”, moderni sistemi politici del terzo millennio, avranno realizzato a quella data il miracolo ultimo di una coscienza collettiva resa unica e magistralmente tele-guidata dai media? Il sogno dei poteri dispotici di tutti i tempi, di tutte le ispirazioni, a tutte le latitudini, è ad un passo dalla sua materiale realizzazione? È l’inquietante domanda che spontaneamente insorge alla luce degli avvenimenti ultimi conseguenti al risultato elettorale del 4 di marzo, con quell’affermarsi di forze politiche che nel loro orizzonte delle idee intravvedono il superamento – se non l’annientamento – degli attuali ordinamenti della vita politica. Scriveva Zygmunt Bauman:  Georgie Swann legge tutte le settimane due riviste di moda e trascorre molto tempo nella sua stanza, provando i suoi capi preferiti e abbinandoli a scarpe e borsette, di cui possiede una vasta collezione. Adora il trucco, e ha una ventina di lucidalabbra. Inoltre, sta mettendo da parte i soldi per un intervento al seno, a cui non vede l'ora di sottoporsi e che la farà assomigliare al suo idolo, la modella Jordan. Be', penserete voi, di donne come Georgie ne esistono molte, e questa storia non ha nulla di particolare. Il fatto è che Georgie ha dieci anni. Secondo Diana Appleyard, autrice di un articolo uscito su dailymail.co.uk, Georgie è un'esponente della categoria - sempre più nutrita - di quelle che lei definisce bambine-donne. L'articolo riporta i dati emersi da una ricerca compiuta nel Regno Unito da Bob Reitemeier, direttore della Children Society, da cui risulta che meno del 20% dei bambini gioca regolarmente all'aria aperta, e che all'età di dieci anni la maggioranza delle bambine sono ossessionate dai capelli, dalla moda e dal trucco, mentre il 26% di loro ritiene di non essere sufficientemente magra ed è ossessionata dal proprio peso. Tra le ragazzine che non si ritengono abbastanza magre né belle e che si confrontano con le immagini ritoccate e inarrivabili dei loro idoli, Reitemeier ha riscontrato dei livelli d'ansia in rapida crescita. (…). Ma se le ragazzine come Georgie sono sempre più numerose, ciò è dovuto a motivi più influenti. Come fa notare Neal Lawson nel suo recente e perspicace All Consuming (pubblicato da Penguin), la commercializzazione dell'infanzia è ormai un considerevole elemento di traino nel nostro mondo di turbo-consumismo. Un turbo-consumismo che, aggiunge l'autore, avanza su molti fronti e di cui i bambini non rappresentano che uno dei territori occupati, conquistati e colonizzati. Noi tutti (o quanto meno molti di noi) siamo stati convinti del fatto che se non ci manterremo al passo con le ultime tendenze la nostra vita sarà un fallimento. E aggiunge: - Compriamo oggetti per comunicare ciò che vogliamo essere e cosa vogliamo gli altri pensino di noi -. In breve:- Ciò che compriamo si è fuso con la nostra identità. Ormai siamo ciò che acquistiamo-. Si potrebbe forse dire che il tratto caratteristico del nostro tempo è il dissolversi della linea di demarcazione tra gli atti di consumismo e il resto della nostra esistenza: non andiamo più nei negozi per procurarci l'ingrediente necessario a preparare una minestra, o per sostituire un paio di scarpe divenute inutilizzabili. I motivi per non tenersi mai a lungo lontani dalle vetrine sono altri, molto meno pratici ma ben più invitanti. Tutte le strade portano ai negozi - o quanto meno questo è ciò che ci viene fatto credere con insistenza. Hai paura di non riuscire a mantenerti in contatto e di non riuscire a coltivare le tue amicizie? Senza gli altri la vita è insignificante annuncia, a conferma dei tuoi timori, la pubblicità dell'ultimo modello di cellulare, in cui il telefono non viene presentato come un pratico strumento che consente di trasmettere informazioni, ma come oggetto capace di dare senso alla vita. Il tuo orologio parla di te più di ogni altra cosa, urla un altro slogan, pensato per chi desidera spasmodicamente indicare agli altri il modo in cui vorrebbe essere visto e fruito. La pubblicità di una nuova automobile riassume ogni promessa, affermando senza mezzi termini: - Non acquisti un'auto, ma un pezzo di te stesso -. Un pezzo - aggiunge implicitamente il messaggio - che rappresenterà il tuo volto pubblico, la tua immagine agli occhi degli altri e diventerà il tuo interfaccia con il mondo. E nel mondo in rapida trasformazione in cui viviamo, questo prezioso pezzo ha bisogno di essere continuamente aggiornato. Ed è questa una delle ragioni della popolarità dei social network come MySpace o Facebook, che offrono aggiornamenti continui e costanti della propria identità. Come è emerso da un recente studio condotto dalla professoressa Felicia Wu Song, molti studenti universitari ammettono di essere 'dipendenti' da Facebook, che lasciano costantemente aperto sullo schermo in modo da poterlo controllare non appena si alzano al mattino, mentre studiano, e persino all'università, durante le lezioni. Non lo fanno semplicemente per soddisfare un'oziosa curiosità, ma per trarre conclusioni istantanee e concrete in base a cui stabilire una linea di condotta per oggi, e forse per domani e la settimana prossima. - Nei loro rapporti personali -, conclude Wu Song, - i giovani americani non hanno alcun problema a porsi come consumatori- (e, permettetemi di aggiungere, come beni di consumo). (…). Come ci ricorda Appleyard, - impedire a bambine di dieci anni di chattare con le amiche, leggere certe riviste e preoccuparsi dell'apparenza del loro corpo è quasi impossibile -. (…). Ha scritto Umberto Galimberti in “L’economia ha un’anima nichilista” sul settimanale “D” del 16 di giugno 2018: “Tra le contraddizioni con cui il capitalismo, divenuto ormai la forma mondiale dello scambi, divora se stesso c’è la circolarità produzione-consumo, per cui se non si consuma non si produce, e se non si produce si perdono posti di lavoro e i relativi stipendi, con conseguente riduzione del numero delle persone che possono acquistare e ulteriore depressione dell’economia. Siamo quindi costretti a un consumo forzato, anzi, dopo le cose che abbiamo detto, consumare diventa quasi un dovere civico”.

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