"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 6 settembre 2018

Sullaprimaoggi. 22 Quella che non ha la «terzietà».


Tratto da “Cara Finocchiaro, nessuna poltrona dev’essere eterna” di Luisella Costamagna, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di settembre 2018:

Cara Anna Finocchiaro, ho letto con apprensione la sua intervista al Corriere della Sera: “Dopo 30 anni di politica il ministro mi costringe a fare il pm”. Già dovermi rivolgere a lei senza più alcun appellativo – onorevole, senatrice, ministro – genera struggimento, ma scoprire addirittura che, dopo decenni di impegno al servizio delle istituzioni e di tutti noi, il nuovo Guardasigilli Alfonso Bonafede le nega il posto al dicastero di via Arenula chiesto (e ottenuto) per lei al Csm dall’ex ministro Andrea Orlando, mettendo così a repentaglio il suo futuro professionale, sfiora la commozione. Com’è possibile che una figura di così alto profilo, per di più donna di polso che fa onore al genere, si possa “costringere”? I paladini della dignità del lavoro e le vestali del femminismo dove sono? Ancora in vacanza? “Dopo 30 anni di Parlamento non posso tornare a fare giurisdizione attiva”, “i giudici che fanno politica non hanno la terzietà per rientrare nel loro ruolo”: parole sacrosante che arrivano dritte al cuore. Asciugo la lacrima e provo a recuperare un po’ di lucidità: se pensa (giustamente) che i magistrati in politica non possano, una volta finito il mandato, avere l’indipendenza necessaria per tornare al vecchio mestiere, perché non ha lasciato definitivamente la toga? Non dico subito, ma quando ha capito che il sacro fuoco istituzionale era ormai la sua strada e gli anni diventavano decenni, non poteva dimettersi dalla magistratura? Perché invece ha rinnovato l’aspettativa a ogni tornata elettorale, ottenendo anche avanzamenti di carriera fino al massimo, se la toga non voleva più indossarla? Anche un normale ufficio giudiziario, che farebbe tesoro della sua esperienza, le andrebbe stretto? Mica vorrà farci pensar male, cioè che teneva alla doppia poltrona – giudice e parlamentare – soprattutto per la doppia pensione, maturata in questi 30 anni anche grazie ai contributi pagati dalla collettività (fino al 2000 interamente dall’Inps, poi per due terzi)? No, una persona elevata come lei non può aver fatto calcoli così bassi. Donna-simbolo della politica nazionale che ha deciso onorevolmente di lasciare il Parlamento (nel Paese in cui al massimo i politici lasciano la moglie) senza aspettare rottamazioni sommarie, mica avrà contato sul “tanto un posticino al ministero ce l’ho”? E non è certo per farle evitare il ritorno in aula che l’Orlando Sereno s’è speso per lei in zona Cesarini del governo Gentiloni (la richiesta al Csm è del 18 aprile scorso, dopo le elezioni). Non scherziamo. Cara dott.ssa Finocchiaro – una qualifica le spetta, chiedo venia – a questo punto non crede sia meglio farsene una ragione? Se Bonafede non vuole portarla alla Giustizia, mica lei vuole portarlo in tribunale, vero? Con un “assegno per il reinserimento nella vita lavorativa” da 45 mila euro a legislatura – e lei ne ha un record – qualche giorno di tranquillità per guardarsi intorno lo ha. E se proprio non trova niente, come molti italiani, può sempre (a differenza loro) godersi il vitalizio da parlamentare: certo ci sono i tagli del presidente della Camera Roberto Fico (‘sti grillini senza rispetto per le “istituzioni”!), ma partendo da circa 9 mila euro lordi al mese, vedrà che le resterà abbastanza almeno per un altro shopping all’Ikea. Anche se senza scorta. Un cordiale saluto.

Nessun commento:

Posta un commento