"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 19 agosto 2018

Sullaprimaoggi. 18 «Alle privatizzazioni non si comanda, e soprattutto non si domanda».


Tratto da “United Dolors” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di agosto 2018: (…). A un certo punto – era il 1999, in piena età dell’oro del centrosinistra – scoprimmo che i fratelli turchini (i Benetton n.d.r.) s’erano aggiudicati la concessione di Autostrade per l’Italia, che gestisce oltre la metà della rete nazionale. Nessuno spiegò perché mai un bene pubblico, costruito con le tasse dei cittadini, dovesse fruttare miliardi a un privato, né cosa c’entrassero col cemento e l’asfalto quei simpatici tosatori di pecore e fabbricanti di maglioni. Eppure quella “privatizzazione”, (…), era piuttosto singolare. Immaginate un contadino che, dopo tanti sacrifici, riesce ad acquistare una cascina, la ristruttura a sue spese e va ad abitarci. Un brutto giorno, si ritrova all’ingresso un bel casello con dentro un Gilberto o un Luciano che sbuca dalla finestrella e lo apostrofa: “Lei dove va?”. “A casa mia, dove vuole che vada? Lei piuttosto chi è?”. “Sono Gilberto (o Luciano, ndr), il nuovo concessionario: da oggi casa sua è mia, se vuole entrare mi deve 15 euro”. “E perché dovrei pagare lei per entrare in casa mia?”. “Perché l’ha deciso il governo, io sono un imprenditore”. “Ah sì, e cos’ha fatto per la mia casa?”. “Beh, incasso il pedaggio e i dividendi in Borsa, le par poco?”. “Quindi, se si rompe qualcosa, ora ci pensa lei?”. “Non esageriamo: dipende dagli azionisti e dal titolo in Borsa”. Il fatto che nel caso Autostrade il contadino fosse lo Stato, cioè milioni e milioni di italiani che per decenni avevano finanziato con le imposte la rete viaria, avrebbe dovuto sollevare qualche obiezione su un’operazione che regalava a un privato una gallina dalle uova d’oro in regime di monopolio e senza rischi d’impresa, mentre privava la collettività di un bene pubblico che non può sottostare alle regole del mercato: perché le autostrade non devono produrre profitti, ma risorse da reinvestire in manutenzione, sicurezza, nuove infrastrutture e, se avanza qualcosa, taglio delle tariffe. Il contrario di quanto accade da 19 anni: sempre meno manutenzione e sicurezza, sempre più utili ai Benetton (nascosti dietro sigle rassicuranti, tipo “Atlantia”, più adatta a un’astronave, o “Sintonia”, che fa pensare a un gruppo rock). Ma, si sa, alle privatizzazioni non si comanda, e soprattutto non si domanda. Specialmente se i beneficiari elargiscono qualche aiutino per le campagne elettorali dei partiti che, appena vanno a governo, si sdebitano aumentando le tariffe autostradali senza badare troppo a dettagli tipo gl’investimenti previsti dal contratto (peraltro coperto da segreto di Stato). E se, dal tavolo dei loro banchetti, ogni tanto cade qualche boccone dritto in gola ai giornaloni e alle tv sotto forma di pubblicità. Questo forse spiega perché, dopo il crollo epocale di Genova, stampa e tg non riuscivano proprio a ricordare il nome del concessionario che avrebbe dovuto garantire la sicurezza del Ponte Morandi e che, mentre si cercavano cadaveri, feriti e superstiti fra le macerie, favoleggiava di “costanti monitoraggi”. Molto meglio puntare il dito contro il fulmine, la pioggia, il traffico, la fatalità, il governo che è lì da due mesi, i 5Stelle che avevano osato fidarsi dei comunicati di Autostrade sulla granitica resistenza del ponte e opporsi al progetto faraonico della “Gronda” (che costerebbe, se va bene, 5 o 6 miliardi e soprattutto non sostituirebbe il Ponte Morandi, fermo restando che l’alternativa a un ponte pericolante è un ponte solido, non una grande opera inutilmente cara). (…).

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