"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 28 luglio 2018

Sfogliature. 97 “Marchionne, il lavoro, la FIAT”.


Come sempre i turiferari di turno hanno perso la buona occasione di tacere per non far scompisciare dal ridere i loro incolpevoli lettori (o colpevoli per il solo fatto di continuare a comprare quei sottoposti “fogli” quotidiani). È tutto un fiorire di sperticate memorie e di agiografie da brividi. C’è chi arriva a scrivere – sul quotidiano la Repubblica - che “nella sua filosofia comandare non significava solo decidere ma essere il capobranco”. Ecco, per l’appunto, un “branco”. Gli umani resi permanentemente lupi, ovvero homo homini lupus”. Ma il vertice inarrivabile lo si scopre su il “Corriere della Sera” laddove un Aldo Cazzullo in straordinaria forma non trova di meglio che scrivere: “Trovò un segno per raccontare la propria alterità: il maglione scuro al posto della giacca e cravatta dell'establishment, concedendosi anche il vezzo - non per mancargli di rispetto da morto, ma per restituirne la fisicità da vivo - della forfora sulle spalle". Solamente sublime, irripetibile. Ora, per meglio illuminare l’opera meritoria di quel “grande” che ci ha inopinatamente lasciati, mi soccorre una “sfogliatura” che risale ad un  venerdì 25 di marzo dell’anno 2011. Scrivevo: Ho ricevuto una graditissima e-mail dal “compagno *****”, così come si soleva chiamarlo nelle interminabili riunioni alle quali partecipavamo nel fiore dei nostri “anni verdi”. E senza voler indulgere troppo nella memoria di quegli anni di impegno grande nelle organizzazioni sindacali della sinistra democratica del bel paese, mi corre l’obbligo di affermare che, nel ricevere le Sua graditissima e-mail, è stato come ricevere un refolo fresco e pregno degli odori inebrianti della cara montagna sulla quale è abbarbicato il Suo stupendo paese natio, lassù sui contrafforti del Reventino, che di questi tempi  diffonde e spira soavemente sulle primaverili distese erbose, ora che l’inverno rigido cede il passo al risveglio della natura più dolce ed incontaminata, deliziando gli esseri umani tutti. Mi scrive il “compagno *****”, nella Sua e-mail, che di seguito trascrivo in parte, a proposito delle vicende politico-sindacali ultime del bel paese, una Sua riflessione che è una realistica presa d’atto di come la globalizzazione, inevitabile anche nei suoi aspetti più crudeli e spesso tragici, abbia determinato e determinerà ancor di più un arretramento nelle conquiste del movimento operaio internazionale e nella conservazione dei diritti acquisiti. Sull’argomento della Sua e-mail ho di già espresso le mie personali convinzioni nel post del 16 di gennaio che ha per titolo “La classe operaia va in paradiso?”. Mi piace in questa occasione inserire, sull’argomento, una riflessione del professor Angelo D’Orsi apparsa sul Suo blog col titolo “Dalla resistenza di Mirafiori la speranza per un’altra Italia”:
(…). …sono ritornato a riflettere sull’esito del referendum di Mirafiori. Ebbene, io non credo si sia trattato di un sconfitta: al contrario, è stata una vittoria. Solo poco meno della metà dei votanti (circa il 95% degli aventi diritto) ha detto No. Mentre almeno una metà dei Sì era, dichiarazioni alla mano, un’accettazione del diktat di Marchionne, con le mani tremanti e il cuore spezzato. Un Sì che dentro quel cuore e sotto quelle mani avrebbe voluto essere il suo opposto: un no forte, coraggioso, come quello dei compagni di reparto che quel coraggio hanno trovato. E che sono stati stragrande maggioranza là dove il lavoro è pesante, là dove il peggioramento delle condizioni sarebbe insopportabile. Ma non ho avuto mai un moto di sdegno verso coloro che hanno tracciato la croce su quel Sì, in quanto essi sapevano che quella era la croce che li avrebbe inchiodati a una condizione di lavoro semiservile, premoderno, antecedente alle grandi, secolari lotte per l’emancipazione degli sfruttati, che sono state combattute, a carissimo prezzo, da generazioni di uomini e donne, in Italia e altrove. E che ora il signor Marchionne, il modernissimo cosmopolita delle stock options, pretende di cancellare dietro quella crocetta. No. Non con chi, piegandosi al ricatto, ha detto di sì, sono indignato; a loro, bisogna guardare con lo stesso rispetto con cui guardiamo a chi ha resistito. Sono “uomini (e donne) di carne ed ossa”, scrisse Gramsci, amaro e compassionevole, commentando la sconfitta operaia del 1920, (…). Il ricatto del lavoro, su chi non ha che le proprie braccia per sopravvivere, e del lavoro sotto padrone ha bisogno, funziona. Ma oggi, a differenza di allora, gli operai e le operaie della Fiat non sono soli: e dobbiamo continuare a stare al loro fianco. (…). Ebbene, dietro l’apparente sconfitta emerge un’altra Torino, un’altra Italia – e forse un altro possibile mondo – che non si piega al turbocapitalismo dei Marchionne, al neopopulismo autoritario e, ormai, mignottocratico (Paolo Guzzanti docet), al becerume secessionistico e razzista della Lega Nord (Padania…), al moralismo ipocrita del Santo Padre. (…).
Le considerazioni del professor D’Orsi non vogliono essere una contrapposizione alla nobile scrittura del “compagno *****”, che ringrazio vivamente per il contributo, ma solamente un di più alla riflessione su di un argomento che, esaurita l’emozione del referendum e lo schiamazzo mediatico conseguente, sembra non interessare proprio più nessuno. Ha scritto: Catanzaro 17.1.2011 “ - Oh mà (mamma n.d.r.) , viani ch’è pronto – “. Ogni tanto penso alla comare R. che dal panificio a Serrastretta chiamava la mamma che filava a casa sua alla fontanella (trecento metri di strada ed una cinquantina in linea d’aria), e la comare L. lasciava la faticosa tela e s’incamminava verso la casa della figlia per mangiare. Comunicazioni veloci a viva voce. Oggi si comunica all’istante con persone a distanza di migliaia di Km. E non solo si comunica. Viviamo, ahimè, in quello che è stato definito “il villaggio globale”. Il mondo è diventato piccolo come un villaggio i cui confini però coincidono con il mondo intero. Il termine globalizzazione è diventato di uso comune. Anche il mercato si è enormemente allargato. Da noi un tempo circolavano autovetture quasi esclusivamente italiane. Oggi le italiane in circolazione sono in minoranza. Volkswagen, Toyota,  Kia, Nissan, Audi sono solo alcune delle macchine che circolano in Italia. Le economie  poi  sono diventate interdipendenti. Tutti ci rallegriamo se parte l’economia tedesca perché sappiamo che questo fatto avrà effetti benefici anche per l’Italia; se gli Usa vanno in crisi la cosa nuocerà anche a noi.  Lo stesso dicasi per gli investimenti.  A mia cugina che voleva far fruttare al meglio qualche suo risparmio, un operatore bancario, anni addietro, propose di “buttarsi  sullo Yen”. Se un risparmiatore vuole acquistare azioni o obbligazioni su New York o su Tokio, può farlo con la stessa facilità  con cui può acquistare titoli italiani. Il compagno P. S., dirigente della Camera del Lavoro di Catanzaro, rivoluzionario di vecchia data, che esprimeva giudizi estremamente negativi su Marchionne e sull’accordo Fiat, ammetteva, da ex bancario,  che se avesse avuto qualche risparmio da investire in titoli, si sarebbe indirizzato verso quei mercati che gli avrebbero proposto  condizioni più convenienti.  Le contraddizione di vecchi rivoluzionari. I mercati esteri vanno bene per i piccoli investimenti, ma non vanno più bene per le grandi imprese. Le multinazionali, e tra queste la Fiat, hanno fabbriche in tutto il mondo ed investono nei paesi in cui le condizioni di mercato sono più favorevoli. Se non si facesse così, a volte non si potrebbe sostenere la concorrenza. Ed anche M., il mio vecchio amico di Serrastretta che non è socio di riferimento di una multinazionale, emigrato a Milano negli anni 60 e che per le sue capacità ha fatto fortuna, è stato costretto a delocalizzare in  Cina la produzione di altoparlanti ed altro di bassa qualità. In Italia non avrebbe potuto reggere la concorrenza. A Milano produce pezzi più raffinati ed ha comunque grosse difficoltà a stare sul mercato. Ha dovuto chiedere a L., suo dipendente ed amico di vecchia data, di farsi la partita Iva;  L. lavora con lui da autonomo, ma in effetti è un lavoratore dipendente. Questo è il mercato, crudele e cinico, ma, ahinoi, si è dimostrato l’unico sistema capace di produrre maggiore benessere. La fase che attraversiamo oggi, quella dei mercati globali, è ancora più crudele. La stessa crudeltà che caratterizzò l’epoca della rivoluzione industriale, epoca in cui nei borghi putridi vivevano lavoratori in condizione di  estrema miseria. Ci fu chi, anche allora, auspicava un ritorno al passato; si opponeva ad ogni novità ritenendo che la condizione di miseria dei lavoratori fosse attribuibile all’introduzione delle macchine nei processi produttivi. Un certo Ludd  propose addirittura la distruzione delle macchine ed aveva iniziato l’opera di demolizione. È fuori discussione che anche oggi, come allora, c’è un arretramento complessivo delle condizioni di lavoro. Nei periodi di grandi trasformazioni  forse è inevitabile che sia così. Anche alla Fiat l’accordo stipulato e che è stato sottoposto a referendum segna  per qualche verso un arretramento nelle condizioni di lavoro, degli operai soprattutto. Ma c’era una alternativa a quell’accordo? Non so, mi mancano gli strumenti e le conoscenze per poter giudicare problematiche così complesse. Una cosa mi sento di poter dire; bisogna forse sforzarsi di ragionare con la testa e non con il cuore. La Fiat è una fabbrica di auto che opera in un mercato in cui la concorrenza è spietata. Gli Agnelli a suo tempo avevano deciso di dismettere la produzione di auto. La cosa non si realizzò anche se la fabbrica viveva una vita preagonica. In altri termini stava fallendo. Arriva Marchionne e salva la fabbrica. Gli incentivi statali han favorito una certa ripresa. Finiti gli incentivi la crisi economica che si è accentuata e che ha colpito soprattutto il ceto medio, ha penalizzato sopratutto la Fiat la cui gamma di prodotti era indirizzata verso quella classe sociale. La Fiat cambia strategia; si allea con Chrysler e pensa di poter sfornare prodotti per la classe medio alta. A Mirafiori  prevede di investire 1 miliardo e 300 milioni di euro. Grosse cifre. Ma per far questo Marchionne chiede ai sindacati di contrattare nuove relazioni industriali. Non è il caso di soffermarsi sui singoli aspetti  della trattativa. Su ognuno dei vari punti ci sarebbe da discutere e non poco. Sta di fatto che l’intesa è raggiunta con tutti i sindacati ad eccezione della Fiom. Da un lato gli affossatori dei diritti dei lavoratori, dall’altro l’unico sindacato che difende i lavoratori. Mi pare semplicistico e puerile. Non c’è forse il fatto che qualche sigla sindacale è portata a ragionare troppo in termini ideologici, senza tenere conto della cruda realtà? È fuori discussione che alla catena di montaggio il lavoro è durissimo. In altri tempi P., altro mio vecchio amico di Serrastretta , operario Fiat, mi raccontava che ogni tanto preso dalla rabbia per il lavoro ripetitivo e stressante cui era costretto, avvitava male qualche vite come atto di ritorsione verso la Fiat. È fuori discussione altresì, che i dieci minuti in meno di pausa, in parte pagati, sono una penalizzazione. Ma se l’alternativa è la probabilità della perdita del lavoro come la mettiamo? Certamente nell’accordo qualcosa  va modificato. Le norme sulla rappresentanza sindacale in fabbrica vanno cambiate; non è possibile che una sigla sindacale sia esclusa dalla rappresentanza in fabbrica per il solo fatto che non ha firmato un accordo. Bisogna quindi riaprire su qualche punto la trattativa ed un governo che si rispetti deve fare la sua parte. Ma detto questo, è fuori discussione che  i problemi della competitività non sono stati interamente risolti dall’accordo. Marchionne ed i sindacati firmatari han fatto la loro parte, adesso altri debbono mettere mano ad una serie di  riforme tese a facilitare investimenti,  anche esteri , in Italia. (…). La realtà, come spesso accade, è molto più complessa di quanto appare!! P.S.:  Tutti i miei punti di riferimento politici e culturali si sono schierati per il si o comunque han dichiarato che quanto ratificato dal Referendum non può essere messo in discussione.

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