"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 9 maggio 2018

Lalinguabatte. 56 “La democrazia come «possibilità»”.


Ora che il pifferaio pazzo d’America ha tuonato con il suo orribile ghigno indicando in altri i sobillatori dell’ordine terrestre riconosco che, seppur dopo tanto tempo oramai, non riesco ad individuare con certezza l’inconfessabile motivo per il quale, nell’Irak di Saddam Hussein, migliaia e migliaia di innocenti, donne e bambini soprattutto, abbiano perso la vita a quel tempo in nome di una “democrazia” che necessitava essere  esportata sulle rive del Tigri e dell’Eufrate.
Mi pare di rivedere ancora l’imperturbabile, impresentabile, segretario di stato Colin Powell  mostrare all’intero mondo la prova inoppugnabile della pericolosità di quel sanguinario regime, agitando su tutti i media la famosissima provetta all’interno della quale, a suo dire, sarebbe stata racchiusa la famosa arma di sterminio di massa. Una bugia e nulla più. Allorché i giovani del Nord d’Africa, con sprezzo anche delle loro vite, invadevano le piazze di quel continente in nome di una speranza di vita diversa, allorché i pietosi veli ricoprivano le vergogne, anche sanguinarie e sanguinanti, di quei regimi fintamente democratici, la domanda che l’Occidente cosiddetto cristiano e democratico avrebbe dovuto porsi era una ed una sola: come è stato possibile far finta di non vedere, far finta di non capire, che non solo l’Irak necessitava di una esportazione di democrazia ma che questo imperativo, per l’Occidente tutto, avrebbe dovuto essere applicato per tutte quelle oligarchie di satrapi con le quali l’Occidente intesseva strettissimi rapporti economici e politici? È la durezza della realpolitik? Oggi è tutto un dire che la democrazia non può essere esportata come una merce qualsiasi. Esatto. Da sempre. La democrazia è forma. La democrazia è un lungo cammino, una lunga applicazione, è un esercizio costante che non si presta ad improvvisazioni e a populistici proclami. La democrazia è un esercizio duro assai. Ha scritto Gustavo Zagrebelsky, nel Suo stupendo scritto che è la prefazione al volume "L´interesse dei pochi, le ragioni dei molti. Le letture della Biennale Democrazia" – edito per i tipi Einaudi (2011) -: “(…). …la democrazia non è - nel senso che non può essere - l´autogoverno del popolo che si afferma durevolmente. È invece la possibilità istituzionalizzata, dunque resa stabile secondo procedure riconosciute e accettate, di combattere e distruggere sempre di nuovo le oligarchie ch´essa stessa nutre dentro di sé. (…). Da questo punto di vista, la democrazia è tutt´altro che un ideale impossibile. È invece una possibilità, cioè una serie di strumenti che spetta a noi di utilizzare, per tradurre in pratica l´avversione alle oligarchie”. La democrazia unicamente come “possibilità”. Il testo del professor Zagrebelsky è stato pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 5 di marzo dell’anno 2011 col titolo “La democrazia contro le oligarchie”. Lo trascrivo di seguito in parte:
(…). Per secoli, democrazia è stata la parola d´ordine degli esclusi dal potere per contestare l´autocrazia dei potenti; ora sembra diventare l´ostentazione di questi ultimi per rivestire la propria supremazia. (…). Quando si sente esclamare con fastidio: tanto sono tutti uguali (quelli della cosiddetta classe dirigente), questo non significa forse che la democrazia ha perso di valore presso questi cittadini, che la considerano semplicemente la vuota rappresentazione o l´occultamento di un potere dal quale essi sono comunque esclusi? (…). Il paradosso sopra segnalato si scioglie pensando alle capacità mimetiche o camaleontiche della democrazia, rispetto alle quali è imbattibile. Sotto le sue spoglie ideologiche si può comodamente annidare mimetizzandosi, cioè senza mettersi in mostra (questo è il grande vantaggio), perfino il più ristretto e il meno presentabile potere oligarchico. Le forme democratiche del potere possono essere un´efficace maschera dissimulatoria. È stato così in passato e così è anche nel presente. Basta consultare la storia. Essa ci dice che la democrazia, come parola, può contenere l´anti-democrazia, come sostanza. Anzi, oggi il potere antidemocratico ha bisogno di passare per la porta rassicurante della democrazia (...). Realisticamente o, come si dice, sperimentalmente, dobbiamo prendere atto che la democrazia deve sempre fare i conti con la sua naturale tendenza alla riduzione del potere in poche mani, nelle mani di élites. (…). Ma le cose cambiano quando dalle élites si passa alle oligarchie, anzi a quella che è stata definita la ferrea legge delle oligarchie: una legge che esprime una tendenza endemica, cioè mossa da ragioni interne ineliminabili, sia della democrazia sia delle stesse élites. (…). La ferrea legge si basa sulla constatazione che i grandi numeri, quando hanno conquistato l´uguaglianza, cioè il livellamento nella sfera politica, cioè quando la democrazia è stata proclamata, e tanto più è proclamata allo stato puro, cioè come democrazia immediata, senza delega, per ragioni strutturali ha bisogno di piccoli numeri, di gruppi di potere ristretti. Non basta. L´oligarchia non è però l´élite. L´oligarchia - si potrebbe dire così - è l´élite che si fa corpo separato ed espropria i grandi numeri a proprio vantaggio. Trasforma la res publica, in res privatae. Poiché, poi, questa è una patente contraddizione rispetto ai principi della democrazia, occorre che queste oligarchie siano occulte e che esse, a loro volta, occultino il loro occultamento per mezzo del massimo di esibizioni pubbliche. La democrazia allora si dimostra così il regime dell´illusione. Il più benigno dei regimi politici, in apparenza, è il più maligno, in realtà. (...). Poiché le oligarchie del nostro tempo sono costruite e finalizzate all´accaparramento di ricchezza - sempre questo: pecunia regina mundi - il potere di cui si parla oggi è il potere illegale e corruttivo del denaro di cui si occultano il possesso e la gestione per poter corrompere ogni altro ambito della vita sociale. È una tendenza naturale, per l´ovvia, antropologica legge del potere che già Montesquieu ha chiarito, nella sua crudezza: chi detiene il potere, se non incontra limiti, è portato ad abusarne. Le oligarchie del nostro tempo non incontrano altri limiti se non quelli rappresentati da altre oligarchie. Ma l´abuso come limite all´abuso è semplicemente una complicazione dell´abuso. È anche una tendenza necessaria, perché i regimi dei pochi sono incompatibili con la legalità uguale per tutti. Le oligarchie hanno bisogno di privilegi, cioè di leggi che valgono solo per loro, diverse da quelle che valgono per tutti gli altri. O, quanto meno, hanno bisogno che le leggi generali e astratte siano interpretate e applicate a loro in modo tale da non contraddire l´esistenza dell´oligarchia stessa. Ciò che occorre loro è una giustizia dei pari, diversa da quella comune; un foro speciale non di giudici imparziali, ma di giudici amici. Un´aristocrazia - ha scritto Tocqueville, e noi potremmo senz´altro dire: un´oligarchia - non potrebbe lasciarsi sfuggire i suoi privilegi senza cessare d´essere una aristocrazia. La legalità uguale per tutti - lo si comprende senza spiegazioni - è incompatibile con la divisione della società in appartenenti ed esclusi dal potere oligarchico. Quando, alla fine, nel senso comune si sommano due percezioni: l´estraneità al potere e la sua illegalità e corruzione, ecco la miscela esplosiva che può indurre a chiedere che la si faccia finita con la democrazia, se essa, in concreto, significa queste cose. (…). Allora, (…), alla domanda se le promesse della democrazia siano tali da non poter essere mantenute, la risposta sembra che debba essere: sì, non possono essere mantenute. Si fondano le democrazie e si mette in moto un processo destinato alla rovina delle società. Fermiamoci un momento, però, prima di questo passo fatale, del quale, se lo facessimo leggermente, ci dovremmo presto pentire, perché, abbandonata la democrazia, avremmo solo autocrazie e le autocrazie non sono un rimedio, sono anzi l´accentuazione dei mali. (...) Potremmo forse dire così: la democrazia non è - nel senso che non può essere - l´autogoverno del popolo che si afferma durevolmente. È invece la possibilità istituzionalizzata, dunque resa stabile secondo procedure riconosciute e accettate, di combattere e distruggere sempre di nuovo le oligarchie ch´essa stessa nutre dentro di sé. (…). Da questo punto di vista, la democrazia è tutt´altro che un ideale impossibile. È invece una possibilità, cioè una serie di strumenti che spetta a noi di utilizzare, per tradurre in pratica l´avversione alle oligarchie. Se gli strumenti esistono e non sono utilizzati, non si può dire che non c´è democrazia, ma si deve dire che la democrazia (come possibilità) c´è e ciò che manca è la pratica della democrazia. Allora, la responsabilità dello scacco non deve essere addossata alla democrazia come tale, ma deve essere assunta da noi, incapaci di utilizzare le possibilità ch´essa ci offre. Se cediamo all´accidia della democrazia, è perché prevale sulla libertà morale il richiamo del gregge e la tendenza gregaria, che sono il lato biologico profondo degli esseri umani che l´avvicinano agli altri esseri viventi, come ha messo in luce Sigmund Freud nel suo studio sulla psicologia delle masse. Ma il gregge è una possibilità, non un destino. (....) Diciamo così, a costo di cadere nell´enfasi: la democrazia vuole potenti gli inermi e inermi i potenti; vuole forti i giusti e giusti i forti. (…).

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