"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 11 aprile 2018

Quellichelasinistra. 13 “Se ne vanno”.


“Se ne vanno” è il titolo che il disegnatore (?) della vignetta posta di fianco ha voluto dare alla Sua creazione. O chi per lui. L’ho “pescata” in quel mare magnum che è divenuta la rete. Le “figurette” in essa rappresentate non porgono i loro volti ma paiono non essere interessate a farsi riconoscere da chi aveva avuto il mandato di riconoscerle e parlare con esse. Sono avviate, quelle “figurette”, verso un luogo non identificato, straniero forse, non certo quel mondo che esse avevano pure contribuito a costruire. Sono “figurette” viste come su di un negativo fotografico, al contrario di quelle ben visibili e riconoscibili che hanno fatto la fortuna di Giuseppe Pellizza da Volpedo. “Se ne vanno” lontano, con passo stanco ed incerto, non certamente per andare incontro al “sole dell’avvenire”. Poiché il “tradimento” di quella che soleva chiamarsi la “sinistra” è stato dei più terribili che la Storia possa ricordare. È che la cecità degli uomini della politica, al pari della cecità degli uomini della strada, ha invertito ed indirizzato il passo a quelle moltitudini che un tempo avanzavano invece orgogliosamente sul sentiero del progresso, della uguaglianza e della equità. “Se ne vanno” e se ne andranno sempre più, poiché il più grande tradimento che oggigiorno si possa fare a quella idea della “sinistra” è continuare a rimanere in quelle organizzazioni e con quegli abominevoli attori che della “sinistra” hanno fatto, negli anni più recenti, fetido strame. Essere stati “quellichelasinistra” ha voluto dire abbandonare repentinamente ed ai primi segnali appena la nave destinata a naufragare tra i marosi di un tempo che sta stravolgendo valori e vita di popoli sempre più indifesi e non più rappresentati. Ha raccontato lo scrittore Maurizio Maggiani a Concita De Gregorio nell’intervista “Togliatti ascoltava anche Celentano ora la sinistra non sente più nessuno” pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 23 di marzo 2018: (…). «Mio nonno era anarchico. Poco prima di morire, io avevo 16 anni ed era il ’68, mi ha detto: “Ricordati che siamo tutti uguali. Ma non perché siamo servi come dicono quelli là. Siamo uguali perché siamo tutti dei signori”. Ecco, io ci penso spesso a questa frase. Mi ha insegnato la cosa più importante».
Di quella azione propedeutica, pedagogica, di formazione, se ne è abbandonata la pratica tutti protesi, politicanti e non, ad inseguire programmi e traguardi ritenuti quasi immeritati doni del destino e perciò irrinunciabili, di un destino liberista che al contrario ha prodotto povertà sempre più estese e precarietà nelle vite di milioni e esseri umani. “Se ne vanno” poiché non è cessata la ricerca di un mondo più equo, più solidale, in una parola sola, più di “sinistra”. Non ho potuto fare a meno di pensare ai tanti di quei miei “compagni” della “sinistra” che si sono lasciati ammaliare da un verbo tonitruante a tratti ma falso e senza prospettive sempre. Una magniloquenza bugiarda che, nella frequentazione di quella “sinistra” alla quale mi sono nella mia vita sempre riferito e rapportato e con la quale mi sono tante volte anche duramente confrontato, in quella “sinistra” non avrebbe trovato ascolto sol che la “cecità” di vanagloriosi politicanti e di affiliati parimenti resi ciechi non ne avessero determinato la tragica ascesa. Chiede Concita De Gregorio quale sia per Maurizio Maggiani «la cosa più importante» alla quale accenna ma non esplicita. La risposta è stata: «Cosa dobbiamo pretendere, e da cosa si riconosce la sinistra». E cosa si dobba pretendere per riconosce sì la sinistra?. E Maurizio Maggiani: «È un fatto di una semplicità e di una chiarezza assolute. Pane, giustizia e libertà. Questo è lo scopo della sinistra. Il pane interessa al popolo, la libertà alle élite, la giustizia alle élite e al popolo assieme. Forse non ce ne siamo accorti, ma siamo stati governati dalla sinistra per lunghi periodi in questi anni. C’è stato più pane, più giustizia, più libertà? No. Ed è stato forse perché il pane era già stato distribuito la giustizia data e la libertà ottenuta? Se così fosse allora non ci sarebbe più bisogno di sinistra. Come di una sostanza chimica quando ha compiuto la funzione di catalisi, non servirebbe più. Ma no. Rispetto a giustizia e libertà questa sinistra mi ha solo detto che le mie richieste erano fuori luogo. Quanto al pane, cioè al lavoro: dimmi tu».
Qualche diritto è stato riconosciuto. Le unioni civili, dopo tanta attesa. «Sì, me lo ha ricordato per sms alla vigilia del voto anche qualche propagandista che non so come sia in possesso del mio numero. Ne parlavo giorni fa con una commessa del supermercato, lesbica e precaria. Le ho chiesto se le preme di più avere un lavoro stabile o sposarsi. Mi ha risposto naturalmente: il lavoro. Nel pane c’è giustizia, e forse c’è anche libertà».
Cosa è mancato nell’azione dei governi di sinistra? «L’ascolto. Il pensiero. La parola. (…). Se la sinistra non funziona è perché non ha saputo costituirsi al suo interno una élite di pensiero. Di strategia, di dottrina. Ha solo gestito il suo potere. Ha preso il potere non il governo dei processi».
Stai parlando di Renzi? «Matteo Renzi ha rubato la sinistra. Ma prima di lui Bersani. Ha chiamato il suo partito, in pubblico, “la ditta”. Con un umorismo distratto da benzinaio, rispetto i benzinai, ne ha decretato la fine. Io non ho nessuna intenzione di affidarmi a una ditta. L’unica di cui mi fido è quella del mio aspirapolvere che continua a funzionare. E D’Alema. Tutti dicono: intelligentissimo. Ma ti pare possibile che si copra di ridicolo senza rendersi conto di quanto è sceso nel ridicolo? Le parole sono il mio lavoro. A Renzi non ho mai creduto per una questione di parole. Rottamazione, ha detto: gli uomini non sono elettrodomestici. Però capisco anche: in quella situazione, in quella pentola chiusa e tenuta sul gas il fatto che ci fosse chi diceva “apriamo la valvola”. È comprensibile che in tanti ci abbiano creduto. Ma solo perché era giovane».
L’età non è una virtù. Non è una qualità politica. «Eppure non ha avuto altra dote se non la sua gioventù. Che cosa ha detto se non quello? Guardate come sono fresco, come sono belli freschi e giovani i miei. E qui torniamo al fascismo. Che carta ha giocato il fascismo a livello di massa? La giovinezza. Io credo con Gobetti che il fascismo non sia stato una parentesi, ma che sia nella psicologia di questo paese una presenza eterna. Come Edipo, come Elettra in ciascuno di noi. Poi la giovinezza si sa che dura un giorno».
È tornata la destra a Genova. In tutta la Liguria. «Ti racconto una storia. Il nuovo sindaco di Genova, la giunta, hanno avviato una procedura che punisce fino all’espulsione chi è sorpreso ad essere ubriaco, a rovistare nei cassonetti. Solo nel centro storico, in periferia naturalmente puoi fare quello che vuoi. Fino a qualche anno fa la città di Genova sarebbe insorta coralmente. Non è indecoroso frugare nei cassonetti. È indecoroso avere la necessità di farlo. Oggi l’unica voce che si è alzata è stata quella di un paio di preti. La sinistra che ha avuto potere per 30 anni è terrorizzata dall’idea di sbagliare la risposta. Di passare dal 18 al 15 per cento. Non ha saputo costruire una comunità».
Cosa pensi del successo del Movimento 5 Stelle? «È un’azienda che conosce bene la gestione del potere nella contemporaneità. Non mi dire che esagero, ma mi pare un filo più pericoloso del nazionalsocialismo».
Esageri. «Lo spero. Quello pure era andato al governo con un voto di massa, ma lì c’erano uomini, personalità. Qui ci sono ombre, fantasmi. Di Maio è un’ombra. Ti sembra casuale che siano così improvvidi, inconsapevoli? Non è affatto un caso... devono essere così. Le loro regole non parlano di rappresentanti ma di portavoce. Devono portare un’altra voce. Che non mi pare quella del popolo. Il giovane Casaleggio parla della realizzazione della democrazia attraverso la piattaforma digitale. Lo dice nei giorni in cui è apparso palese a tutto il mondo come Facebook sia una sentina di perversione. Non ti sembra sinistro? La democrazia non è una piattaforma in cui tutti dicono quello che vogliono».
Che cosa è, la democrazia? «È fatica. È passare da sudditi a cittadini, attraverso la cultura. Un peso sublime, ma un peso. Se chi governa non sostiene questa fatica quotidianamente – il lavoro della cultura - è facile che il cittadino ripieghi nella sua antica plebità. Non ti pare sospetto tutto questo denigrare la cultura? Il sapere, lo scherno dell’intelletto e di chi ne fa uso: come se sapessero che proprio quella è la chiave, il nemico da abbattere. Da quanto sentiamo parlare di governabilità? Ma la governabilità passa attraverso la depressione della sovranità: la devi ridurre al minimo, la sovranità dei cittadini, per governare. Oggi è preferibile l’efficienza alla competenza. Quindi servono servi, plebe. Montanelli parlava di plebe borghese».
Molti tra gli elettori dei Cinquestelle e parecchi anche tra gli amministratori vengono da una sinistra da cui si sono sentiti traditi. «Ma certo. La responsabilità è di chi ha lasciato che questo accadesse. Di chi a sinistra non ha voluto ascoltare, vedere. Di chi nei giornali ha tenuto il sacco a chi governava e non ha raccontato. Questo è solo l’esito: una cosa quando succede è già successa, è la fine di un processo. Poi molti nei Cinquestelle vengono anche da una cultura di destra. Così come nella Lega, ma la Lega mi spaventa di meno».
Cosa si salva, nel tuo orizzonte? «I luoghi in cui resiste un sistema di comunità. Di relazioni prepolitiche, non di partiti. Di cooperative, che non sono tutte bande di delinquenti. Le persone.
A Faenza i ragazzi richiedenti asilo puliscono le strade in campagna, i fossati. Sai chi li dirige? Il capo spazzino che è anche capo della Lega. Gli dice delle cose terribili ma poi gli insegna come fare le cose. Ci vive insieme tutti i giorni. Faenza è uno dei non pochi luoghi dove la comunità fuori dai partiti regge. Non serve nemmeno un sindaco genio».
E di cosa si nutre, la comunità prepolitica? Cosa deve fare la sinistra politica per ritrovare quella comunità? «Stare in ascolto. Cosa se non l’ascolto è lo stile sorgivo della sinistra? Anche Togliatti sentiva Celentano perché voleva capire. Era in ascolto. Cosa deve fare oggi la sinistra politica non lo so. Ti dico quello che faccio io. Vado nelle scuole, dai ragazzi. Hanno bisogni di adulti, di maestri. Un bisogno disperato di parola. Rispondo alle domande. Dico loro quello che so con onestà, disciplina, molta disciplina, e con l’umiltà di cui sono capace. Mio nonno almeno una persona l’ha educata. Se ci riuscissi anch’io, con uno solo di loro, una cosa l’avrei fatta».

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